Annali d'Italia, vol. 2 - 58
emolumenti ai professori di grammatica, eloquenza e giurisprudenza.
Udita che ebbe l'imperador Giustiniano la nuova dell'ingiusta prigionia
d'_Ilderico_ re dei Vandali, suo singolare amico[2623], aveva spedito
ambasciatori a _Gelimere_ usurpatore del regno africano, con esortarlo a
rendergli la libertà, e ad aspettare di entrar con giusto titolo nel
dominio, giacchè Ilderico era in età molto avanzata; e se pur voleva
ritenere il governo, lo ritenesse, ma con lasciar qualche apparenza di
decoro a chi, secondo il testamento di Genserico, era legittimo
possessor di quel regno. Se ne tornarono gli ambasciatori a
Costantinopoli senza frutto alcuno; anzi peggiorarono gli affari
d'Ilderico, perchè Gelimere, col pretesto ch'egli meditasse di fuggire,
maggiormente il ristrinse, e fece cavar gli occhi ad Oamere di lui
nipote, uomo bellicoso, e tenuto dai Vandali pel loro Achille. Avvisato
di ciò Giustiniano, tornò a spedirgli nuovi ambasciatori, con richiedere
che gli mandasse Ilderico ed Oamere, acciocchè potessero, l'uno privo
del regno, e l'altro degli occhi, passare in pace il resto della lor
vita, altrimenti protestava rotta la pace, e ch'egli si studierebbe di
vendicar l'ingiuria fatta ad un amico e insieme alla giustizia. La
risposta di Gelimere fu, ch'egli era stato alzato di comun concordia dai
Vandali al trono, a lui dovuto, come discendente da Genserico, più che
ad Ilderico. E che un saggio imperadore doveva attendere a governare il
suo imperio senza impacciarsi de' regni altrui. Che se pur gli saltasse
in testa di rompere i patti e di fargli guerra, si persuadesse che nol
troverebbe a dormire. A questa risposta montò in collera Giustiniano, e
determinò di muover guerra a Gelimere. Ma ad una tal risoluzione trovò
contrarii tutti i suoi ministri, e massimamente _Giovanni_ prefetto del
pretorio, ricordandosi tutti dello sforzo inutilmente fatto da Leone
Augusto per riconquistar l'Africa, e spaventati dalle immense spese che
sarebbe costata una armata navale, e dal pericolo di portar la guerra sì
lontano, e in paese ben provveduto di gente e di denaro, e però capace
di far abortire tutte le idee di chi se ne volesse render padrone. Tanto
dissero essi, che in Giustiniano calò la voglia di quella impresa.
Quand'eccoti un giorno capitare un vescovo che dimandò all'imperadore
un'udienza segreta. In essa gli fe' saper d'essergli stato in una
visione comandato da Dio di andare a trovarlo, e sgridarlo, perchè, dopo
d'aver preso a liberare i cattolici dell'Africa dalla tirannia degli
ariani, per una vana paura se ne fosse poi ritirato, con aggiugnere: _Il
Signore mi ha detto, che facendo V. M. questa guerra, la assisterà, e
infallibilmente l'Africa tornerà sotto il romano imperio_. Di più non
occorse, perchè Giustiniano, senza più far caso delle difficoltà
proposte, coraggiosamente intraprendesse la guerra dell'Africa, per la
quale fece nell'anno presente i necessarii preparamenti. Ma non si vuol
tacere che nel gennaio di questo medesimo anno avea lo stesso imperadore
corso grave pericolo per una sedizione mossa in Costantinopoli contra di
lui dalle fazioni veneta e prasina[2624]. Il caricarono d'ingiurie nel
circo, poscia si diedero a scorrere per la città, con attaccar fuoco
alle più magnifiche fabbriche e chiese della medesima. Unissi con loro
la plebe, e tale fu l'apparenza di questo turbine, che Giustiniano già
avea preparata una nave per fuggirsene. Anzi essendosi sparsa la voce
che egli fosse fuggito, il popolo acclamò imperadore _Ipazio_ figliuolo
di Magna sorella del fu Anastasio Augusto, che era stato console
nell'anno 500; e se fosse riuscito loro d'entrare nel palazzo imperiale,
peggiori conseguenze avrebbe avuto l'attentato di tanti sediziosi. Ma
uscito _Narsete_ capitan delle guardie, e guadagnati con denaro molti
della fazione veneta, cominciò a calare il tumulto. E mentre il popolo
si trovava raunato nel circo, uscirono da varie parti le guardie e i
soldati dell'imperadore, condotti parte da esso Narsete, parte da
_Belisario_, generale delle milizie, e da un figliuolo di Mondo, ossia
Mundone generale dell'Illirico, e fecero man bassa addosso alle fazioni,
anzi a chiunque de' cittadini e forestieri incontravano, di maniera che
vi restarono uccise circa trenta o trentacinque mila persone: colla
quale strage terminò affatto il bollore della sedizione. _Ipazio_ preso,
e con lui _Pompeo_ e _Probo_ suoi cugini furono condotti in prigione, e
poco si stette a far vedere al pubblico i lor cadaveri. Marcellino
conte[2625] scrive, che per loro suggestione fu mossa questa tempesta
contra di Giustiniano, e ch'erano entrati molti de' nobili in questa
congiura. Però furono confiscati tutti i lor beni con profitto
indicibile dell'imperiale erario. Curiosa cosa è il leggere presso
Teofane il principio di questa tragedia nel circo per le varie
acclamazioni, dimande e gridi de' prasini, e risposte del ministro
cesareo; senza che si possa ora da noi intendere come si facessero
simili dialoghi, e si potessero discernere quelle voci. Giustiniano,
uscito di questo terribil cimento, generosamente si applicò a rimettere
in piedi gli edifizii rovinati dalle fiamme durante la sedizione; e
soprattutto essendo bruciata l'insigne cattedrale fabbricata da
Costantino, tutto si diede ad alzarne un'altra senza paragone più
magnifica e bella, che fu poi appellata la chiesa di santa Sofia, e
riuscì un tempio mirabile a tutti i secoli avvenire.
NOTE:
[2619] Cassiod., lib. 9, ep. 15.
[2620] Idem, ibid., ep. 16.
[2621] Idem, ibid., ep. 18.
[2622] Idem, lib. 8, ep. 21.
[2623] Procop., de Bell. Vandal., lib. 1. ep. 9.
[2624] Chron. Alexandr. Theoph., in Chronogr. Procop., de Bell. Pers.,
lib. 1, cap. 24.
[2625] Marcell. Comes, in Chron.
Anno di CRISTO DXXXIII. Indizione XI.
GIOVANNI II papa 2.
GIUSTINIANO imperadore 7.
ATALARICO re 8.
_Console_
FLAVIO GIUSTINIANO AUGUSTO per la terza volta, senza collega.
L'Occidente non ebbe console in quest'anno. Stava forte a cuore
all'imperador Giustiniano la guerra meditata contra l'Africa, e
verisimilmente non mancavano a lui incitamenti degli antichi abitatori
cattolici di quelle contrade. Ma trovandosi egli tuttavia impegnato
nella guerra co' Persiani, e perciò impedita la presa risoluzione contra
de' Vandali, fece trattar di pace co' medesimi Persiani[2626], e gli
venne fatto di concluderla ne' primi mesi del presente anno per mezzo di
_Rufino_ patrizio e di _Ermogene_ suo maggiordomo. Quindi, messa insieme
una poderosa armata navale, piena di soldatesche agguerrite, ne diede il
comando a _Belisario_ suo generale, nato nel paese situato tra
l'Illirico e la Tracia, che già avea segnalato il suo nome con azioni
gloriose nella guerra contra de' suddetti Persiani. Accompagnato dallo
storico _Procopio_, sciolse le vele il prode capitano da Costantinopoli
sul fine di giugno; arrivato in Sicilia, vi rinfrescò l'armata; e
continuato poscia il viaggio, nel dì 15 di settembre fece senza
opposizione la sua discesa in Africa. Prima di questo tempo s'era
ribellata ai Vandali la città di Tripoli, per opera di un cittadino
appellato Prudenzio, che tosto, spediti alcuni messaggeri, chiese
soccorso a Giustiniano; ed avutolo, ridusse alla divozione di lui e
tenne forte tutta quella provincia. Erasi parimente rivoltata contra de'
Vandali la Sardegna ad istigazione di un certo _Goda_, Goto di nazione,
uomo di gran valore che vi era stato posto al comando dal nuovo re
_Gelimere_, e poscia assunse il titolo di re. Questi ancora, fatto
ricorso a Giustiniano, con offrirsegli suddito, ottenne un rinforzo di
quattrocento soldati, piccolo aiuto nondimeno al suo bisogno. Discese in
terra la felice armata cesarea in Africa al Capovada; giacchè per ordine
del re Genserico, primo conquistatore di quelle provincie, in tutte le
città, fuorchè in Cartagine, erano state diroccate le mura: risoluzione
che parve allora di gran prudenza, acciocchè, se mai gl'imperadori
romani avessero voluto ricuperare il paese, o gli Africani, divoti del
nome romano, far delle novità, non restasse loro luogo alcuno forte per
infestare i Vandali; ma risoluzione che in fine si tirò dietro la rovina
del regno vandalico. Però Belisario senza difficoltà s'impadronì della
città di Silletto, e quivi cominciò a sentire la vicinanza dell'esercito
de' Vandali, condotto dal re Gelimere, il quale, udito ch'ebbe l'arrivo
dei Greci, comandò che si levasse di vita il re _Ilderico_, già nelle
carceri ristretto. Al primo incontro Gelimere prese la fuga: dal che
animato Belisario si presentò davanti a Cartagine coll'armata di terra e
colla flotta, e non avendo trovata resistenza, ebbe l'ingresso in quella
capitale, senza sapersi intendere come Gelimere prima non v'entrasse
alla difesa, e come con tanta felicità riuscisse questa impresa a
Belisario, il quale finalmente non avea seco se non dieci mila fanti e
cinque mila cavalli. Come di una ammirabil avventura se ne stupì lo
stesso Procopio, da cui abbiamo la descrizione di questa guerra.
Giovò sommamente a Belisario l'aver Gelimere dianzi spedita la sua
armata navale con _Zazone_ suo fratello, per ricuperar la Sardegna, non
immaginando sì vicino l'arrivo e lo sbarco della flotta de' Greci. Entrò
bensì costui in Cagliari, trucidò _Goda_ occupator dell'isola con tutti
i suoi partigiani, e di questa vittoria inviò tosto l'avviso al fratello
Gelimere; ma la nave che lo portava, andata a dirittura a Cartagine,
senza saper la mutazione ivi seguita, cadde in mano de' Greci
vittoriosi. Fu cagione eziandio la presa improvvisa di Cartagine, saputa
in Ispagna, che niuno effetto producesse un'ambasciata di Gelimere
incamminata colà per indurre _Teode_ re de' Visigoti ad entrare in lega
coi Vandali. Dappoichè Belisario ebbe abbastanza assicurata con nuove
fortificazioni la città di Cartagine, uscì in campagna con la sua
armata, per assalire Gelimere, con cui si era riunito Zazone suo
fratello colla flotta richiamata dalla Sardegna. Vennesi ad un fatto
d'armi; fu sbaragliato l'esercito vandalo, e Gelimere, colla fuga si
mise in salvo. Nel campo loro aveano i Vandali le lor mogli, figliuoli e
tesori, sperando forse che la difesa e presenza di pegni sì cari avesse
da ispirare più coraggio ai combattenti. Ma nulla giovò ad essi; tutto
andò a sacco, e sì grande fu il bottino toccato ai vincitori, chè parve
cosa incredibile. Oltre alle eccessive prede fatte da que' Barbari sul
principio della conquista sopra i sottomessi Africani, aveano essi
raunate immense somme d'oro negli anni addietro colla vendita de' loro
grani. In quella giornata perderono tutto. Succedette questa fortunata
battaglia verso la metà di decembre nell'anno presente, di modo che
fatte in tre mesi tante azioni, recarono somma gloria a Belisario. In
questo medesimo anno, perchè gli eretici aveano sparso voce che
Giustiniano Augusto concorreva ne' loro empii sentimenti, egli, a fine
di distruggere questa ingiuriosa diffamazione, pubblicò un suo
editto[2627], in cui espose la credenza sua uniforme alla dottrina della
Chiesa cattolica. Inviò ancora degli ambasciatori a papa _Giovanni_ con
sua lettera, in cui protesta di accettare i quattro concilii generali
della Chiesa di Dio, e coll'ambasciata, secondo l'attestato di Anastasio
bibliotecario[2628], vennero ancora varii regali preziosi ch'egli
mandava ad offerire a san Pietro nella basilica vaticana. Scrisse
inoltre una lettera ad _Epifanio_ patriarca di Costantinopoli[2629],
dove parimente espone la sua fede, condanna gli eretici tutti e conferma
i suddetti quattro concilii: cose tutte che gli acquistarono gran
credito in Roma e presso tutti i cattolici. Finalmente nel dicembre del
presente anno furono pubblicate da esso imperadore le _Istituzioni_ del
diritto civile e i libri dei _Digesti_, siccome apparisce dalle due
prefazioni stampate in fronte di queste opere insigni.
NOTE:
[2626] Marcell. Comes, in Chronico. Procop., de Bell. Vandal., lib. 1,
cap. 5.
[2627] L. 6, C. de Summa Trinitate.
[2628] Anastas. Biblioth., in Vita Johannis II.
[2629] L. 7, C. de summ. Trin.
Anno di CRISTO DXXXIV. Indizione XII.
GIOVANNI II papa 3.
GIUSTINIANO imperadore 8.
TEODATO re 1.
_Consoli_
FLAVIO GIUSTINIANO AUGUSTO per la quarta volta, e FLAVIO TEODORO PAOLINO
juniore.
Questo _Paolino_ console, creato in Occidente, secondochè abbiamo da una
lettera del re _Atalarico_[2630] scritta al medesimo, fu figliuolo di
_Venanzio_, stato console nell'anno 507, ed era della famiglia _Decia_.
Seguitò _Belisario_ in questo anno il felice corso delle sue vittorie
con impadronirsi della città d'Ippona, oggidì Bona, dove gli venne alle
mani buona parte del tesoro di Gelimere, mentre egli pensava di
rifugiarlo in Ispagna. Scorrendo la di lui flotta il Mediterraneo fino
allo stretto di Gibilterra, sottomise al dominio cesareo la Sardegna, la
Corsica, Ceuta, Evizza, Majorica e Minorica. Entrarono parimente le sue
armi in Cesarea città; e _Gelimere_, assediato nel monte Pappua, con
proporgli nella corte dell'imperadore il grado di patrizio ed altri
vantaggi, s'indusse a rendersi a Belisario, da cui fu condotto a
Costantinopoli. Colà portossi il valoroso capitano, perchè avea scoperto
di essere stato calunniato presso di Giustiniano Augusto, quasichè egli
meditasse di farsi padrone delle provincie in sì poco tempo conquistate.
L'andata sua dissipò queste nebbie. Fu egli introdotto in Costantinopoli
trionfalmente, come ne' secoli addietro si praticava in Roma. Presentò
all'imperadore non solo Gelimere e i prigioni vandali, ma eziandio le
immense ricchezze asportate dall'Africa, e specialmente i vasi antichi
del tempio di Salomone, che appresso furono da Giustiniano inviati alle
chiese di Gerusalemme. Fece Giustiniano sentire la sua liberalità a
Gelimere, con assegnargli molti beni nella Galazia; ma non gli fu già
conferita la dignità di patrizio, perchè costui non potè indursi giammai
a rinunziare all'arianismo. A queste allegrezze succederono delle
tristezze; imperocchè non sì tosto fu partito dall'Africa Belisario, che
i Mori si ribellarono, e Salomone, lasciato quivi per governatore, ebbe
molto da fare a sostenersi; ed ancorchè in una battaglia desse loro una
rotta, pure i medesimi si rimettevano presto in forze, e seguitavano a
far testa. Finalmente andarono in fumo tutti i loro sforzi. Intanto
anche in Italia cangiarono faccia gli affari, perchè il re _Atalarico_
mancò di vita in quest'anno. Giacchè _Amalasunta_ sua madre era stata
forzata ad allevarlo come vollero i Goti, egli sfrenatamente si era dato
in preda alla crapula e ad altri vizii, per i quali contrasse una lunga
malattia che il condusse in fine al sepolcro[2631]. Allora fu che
Amalasunta, temendo di cadere affatto, cominciò segretamente a trattare
con Giustiniano Augusto di rinunziargli l'Italia, e di ritirarsi a
Costantinopoli. Ma non istette poi salda in questo pensiero. _Teodato_,
ossia _Teodoto_, figliuolo del primo matrimonio di Amalafreda sorella
del fu re Teoderico, menava allora vita privata in Toscana, dove
possedeva di gran beni, uomo ben istruito nelle lettere latine e nella
filosofia di Platone, ma dappoco, ignorante nell'arte militare, e
straordinariamente dato all'interesse, aveva egli fatto non poche
estorsioni e prepotenze in quei paesi; e per i ricorsi e doglianze di
varii particolari chiamato a Ravenna, era stato processato ed obbligato
a restituire il mal tolto, perlochè odiava a morte Amalasunta. Cominciò
anch'egli segretamente un trattato con Giustiniano per farlo padrone
della Toscana. Non andò più oltre l'affare, perchè Amalasunta, parte per
paura che i Goti, abbandonata lei, si volgessero a Teodato, unico
germoglio della famiglia Amala, parte per isperanza di cattivarsi
l'animo di costui con un gran benefizio, il chiamò a Ravenna, e gli
propose di farlo collega nel regno, purchè promettesse di portare bensì
il nome di re, ma di lasciare in fatti proseguir lei nel comando. Quanto
ella volle Teodato giurò di eseguire.
Salito che fu Teodato sul trono, non men egli che Amalasunta[2632] ne
scrissero a Giustiniano Augusto, con pregarlo di continuar la pace con
loro. Ma durò poco la festa. Teodato, ridendosi delle promesse fatte, e
sol ricordevole delle procedure precedentemente contra di lui fatte,
unissi coi nemici di Amalasunta, fece levar la vita ad alcuni de' suoi
aderenti, e in fine cacciò lei stessa in esilio[2633], confinandola in
un'isoletta nel lago di Bolsena, dove la misera da lì a poco, per
comandamento oppure con saputa di esso Teodato, fu strangolata dai
parenti di quei Goti ch'ella avea nel tempo del suo governo fatti
privare di vita. Gregorio Turonense[2634], mal informato di questi
affari, racconta una diceria che dovea correre per le piazze, ed ha
tutta la ciera d'una fola, ma che nondimeno potrebbe contenere qualche
vestigio di verità. Racconta, dico, egli, che dopo la morte di Teoderico
restò in vita Anafleda moglie di lui, e sorella di Clodoveo re de'
Franchi, con una figliuola. Dee intendere di _Amalasunta_, ma senza dir
parola di Atalarico. Questa figliuola si diede in preda ad un suo
famiglio appellato Traguilla, e con esso lui scappò in una forte città.
Bisognò mandare un esercito per levarla di là, e ridurla a casa, il che
seguì dopo aver tolto di vita il suo drudo. Irritata la figliuola pose
del veleno nel calice, da cui dovea bere la madre nella comunione
eucaristica. Erano essi tutti ariani. Morì sua madre, e i Goti sdegnati
contra della figliuola parricida, elessero in re loro _Teodato_, il
quale in un bagno sommamente riscaldato la fece morire. Aggiugne che i
re de' Franchi _Childeberto_, _Clotario_ e _Teodeberto_ fecero querela
di questo col re Teodato, minacciandogli la guerra; e che Teodato li
placò e fece tacere con un regalo di cinquanta mila scudi d'oro. Così il
Turonense. La verità si è, se pur s'ha da credere a Procopio, che
dispiacque forte all'imperador Giustiniano l'ingratitudine e crudeltà di
Teodato contra di una principessa che fin allora avea mantenuta sì buona
corrispondenza coll'imperio d'Oriente. Ma dall'altro canto si rallegrò
in suo cuore, perchè la fortuna gli avesse somministrato così plausibil
ragione di muover guerra ai Goti, cioè una congiuntura tanto da lui
desiderata di poter ricuperare l'Italia. Covò egli questo pensiero
nell'anno presente, ma con fare gli opportuni preparamenti pel
susseguente; e intanto dalle lettere da Cassiodoro si ricava avere
Teodato ricevuto di belle parole da Giustiniano, il quale s'infinse per
un pezzo di non sapere l'iniquo trattamento fatto ad Amalasunta, ma
senza dar sicurezza alcuna di pace. Perlochè Teodato di nuovo spedì
altri ambasciatori a Giustiniano, e la regina _Gundelina_ sua moglie
anch'ella scrisse a _Teodora_ Augusta con ansietà di assicurar fra di
loro il nodo di una buona amicizia. Niuna apparenza di verità ha ciò che
il suddetto Procopio nella storia segreta di Giustiniano lasciò scritto,
cioè che Teodato fece morire Amalasunta per consiglio di Giustiniano,
istigato a ciò da Teodora Augusta, che avea conceputa gelosia in
iscorgere l'ansietà del marito per vedere Amalasunta in Costantinopoli,
temendo ch'ella potesse torle la mano nel cuore di lui. Ancorchè si sia
già da noi veduta la pubblicazione del Codice di Giustiniano, fatta
nell'anno 529, pure nel presente fu pubblicato quel libro con varie
giunte e mutazioni, e tal quale noi ora lo abbiamo. Se in Oriente era
tutto rivolto l'animo di Giustiniano a dilatare i confini dell'imperio,
non era minor la sete nei re de' Franchi. Per appagarla non si perdonava
a tradimenti e scelleraggini, nè si teneva sicuro l'un fratello
dell'altro. Miravano essi con occhio ingordo il confinante regno dei
Borgognoni, e per ingoiarlo, secondochè s'ha da Mario Aventicense[2635],
s'unirono insieme nell'anno presente _Childeberto_, _Clotario_ e
_Teodeberto_ figliuolo del re Teoderico, ossia Teodorico. Gregorio
Turonense[2636] e Fredegario[2637] scrivono che solamente Childeberto e
Clotario impresero la guerra contra de' Borgognoni, e che Teoderico lor
fratello non vi volle intervenire. Ma sembra ben più fondato il racconto
di Mario. Vedremo fra poco che Teodeberto di lui figlio mandò in Italia
dei Borgognoni: segno che anch'egli entrò a parte della conquista. La
conclusione fu che quei re si misero all'assedio della città di Autun,
ruppero in una battaglia _Godomaro_ re de' Borgognoni, e divennero con
ciò padroni di quel regno, che abbracciava allora il Lionese, il
Delfinato, la Borgogna moderna ed altri paesi, ch'essi divisero fra
loro. Credesi che in quest'anno terminasse i suoi giorni _Teoderico_
suddetto fratello d'essi re, con avere per suo successore il mentovato
Teodeberto suo figliuolo. È di parere il cardinal Baronio[2638] che
anche all'anno presente appartenga la terribil carestia, di cui parla
_Dazio_ arcivescovo di Milano nella Storia Miscella[2639], deducendolo
da una lettera[2640] scritta da _Cassiodoro_ prefetto del pretorio in
questi tempi al medesimo Dazio per significargli il soccorso di panico
destinato dal re in sovvenimento de' popoli. Ma più probabilmente la
carestia rammentata da esso arcivescovo appartiene all'anno 538. Per
altro, da altre lettere del medesimo Cassiodoro apparisce afflitta
l'Italia ancora in questo anno dalla carestia, e qual provvisione si
facesse per aiutare i popoli in sì fiera congiuntura.
NOTE:
[2630] Cassiod., lib. 9, epist. 22.
[2631] Procop., de Bell. Goth., lib. 1, cap. 3.
[2632] Cassiod., lib. 10, epist. 1 et 2.
[2633] Jordan., de Reb. Getic., cap. 59.
[2634] Gregor. Turonensis, lib. 3, cap. 31.
[2635] Marius Aventicensis, in Chron.
[2636] Gregor. Turonensis, lib. 3, cap. 11.
[2637] Fredegarius, in Ep., cap. 37.
[2638] Baron., Annal. Eccl.
[2639] Hist. Miscell., lib. 16.
[2640] Cassiodor., lib. 12, ep. 27.
Anno di CRISTO DXXXV. Indizione XIII.
AGAPITO II papa 1.
GIUSTINIANO imperadore 9.
TEODATO re 2.
_Console_
FLAVIO BELISARIO senza collega.
In ricompenza delle gloriose azioni di _Belisario_, fu a lui in
quest'anno conferito l'onore del consolato. Niun console fu creato in
Occidente, perchè già si erano cominciati ad imbrogliare gli affari tra
_Giustiniano_ Augusto e il re _Teodato_. E da qui innanzi per questa
ragione cessarono affatto i consoli occidentali. Pose fine nel presente
anno ai suoi giorni papa _Giovanni II_, e la sua morte vien riferita dal
padre Pagi[2641] al dì 27 di maggio. Ebbe per successore nel pontificato
_Agapito_ arcidiacono, Romano di patria. Lusingavasi tuttavia il re
Teodato, coll'andar mandando ambasciatori e lettere, di poter pacificare
l'imperadore Giustiniano, che si mostrava sdegnato non poco per la morte
data alla regina Amalasunta, attribuendo ad ingiuria propria l'aver
privata di vita una principessa ch'era sotto la sua protezione. Ma si
avvide in quest'anno quanto fossero fallaci la speranze sue.
Giustiniano, a cui non era ignoto come fosse vil di cuore e timoroso il
re Teodato, e che i popoli cattolici d'Italia amerebbono più il comando
di un principe cattolico che de' Goti ariani[2642], finalmente alzò la
visiera, e spinse la flotta sua, comandata dal valoroso e saggio suo
generale Belisario, addosso alla Sicilia, ch'era allora della
giurisdizione de' Goti, con fingere di passare in Africa. Non più che
circa otto mila armati tra fanti e cavalli venivano su questa flotta:
del che si maraviglierà chiunque è avvezzo a vedere con quanta gente si
facciano le guerre e gli assedii de' nostri tempi. Ordinò parimente
Giustiniano a Mondo, ossia Mundone, suo general dell'armi nell'Illirico,
di passare colle sue genti in Dalmazia, e ridurre, se si poteva, alla
sua ubbidienza Salona capitale di quella provincia. Nè contento di ciò,
perchè ben apprendeva le forze dei Goti, scrisse ai re cattolici de'
Franchi, affine di indurli ad una lega offensiva contra dei medesimi
Goti, facendo valere il motivo della religione, ed accompagnando le
premure sue con un regalo di molta moneta, e con promessa di molto più,
se seco si univano ai danni dei Goti. Volentieri accettarono essi un
tale impegno. Riuscì a Mundone, giunto che fu nella Dalmazia, di
sbaragliare in un conflitto quanti Goti gli vollero contrastare il
passo. Assediata poi Salona, in pochi giorni la costrinse alla resa: con
che la Dalmazia venne in potere di Giustiniano. Non fu men favorevole a
Belisario la fortuna in Sicilia. Sbarcata la sua gente, venne tosto alla
sua divozione Catania, poi Siracusa, e di mano in mano tutte le altre
città di quella felice isola, a riserva di Palermo, in cui il presidio
gotico mostrò di volersi bravamente difendere. Ma entrate nel porto le
navi greche, ed osservato che gli alberi di essa sopravanzavano
l'altezza delle mura della città, fece Belisario tirar lassù un gran
numero di arcieri, che colle saette offendevano i difensori, in guisa
che non passarono molti giorni che la città capitolò la resa. Però senza
gran fatica passò tutta la Sicilia sotto il dominio di Giustiniano,
vantaggio considerabile per la meditata impresa d'Italia, essendosi in
questa maniera tolto ai Goti il granaio, da cui erano soliti di cavarne
i grani loro occorrenti pel bisogno della stessa Italia. Con questa
felicità terminò il primo anno della guerra gotica; e Belisario, che
avrebbe dovuto deporre il suo consolato in Costantinopoli, nell'ultimo
dì dell'anno fece la solennità di quella funzione entrando in Siracusa,
con ispargere monete d'oro al popolo tutto festoso per trovarsi libero
dal giogo de' Barbari. Attese in questi tempi l'imperador Giustiniano a
rimettere in buono stato le città e chiese dell'Africa, dove fece non
poche fabbriche. E perchè egli si voleva mostrar grato e benefico verso
la patria sua, ch'era un piccolo luogo appellato Tauresio nella
Dardania, ossia nella Mesia superiore[2643], quivi fabbricò una bella
città con canali d'acqua, chiese, palagi, portici larghi, piazze pulite,
bagni ed altri comodi ed ornamenti pubblici; e a questa città pose il
nome di _Giustiniana Prima_, con aver poi impetrato da papa Vigilio, che
al vescovo di essa come a metropolitano, fossero sottoposte le Chiese
delle due Dacie, della Mesia superiore e della Pannonia. Essendo mancato
di vita in quest'anno _Epifanio_ vescovo di Costantinopoli, per opera di
Teodora Augusta, empia ed iniqua donna, fu eletto suo successore
_Antimo_ vescovo di Trabisonda, eretico coperto, che durò poco in quella
sede.
NOTE:
[2641] Pagius, Crit. Baron. ad hunc ann.
[2642] Procop., de Bell. Goth., lib. 1, cap. 5.
[2643] Procop., de Ædific. Justin., lib. 4.
Anno di CRISTO DXXXVI. Indizione XIV.
SILVERIO papa 1.
GIUSTINIANO imperadore 10.
VITIGE re 1.
_Senza consoli._
Fu segnato l'anno presente in Oriente colla formula _post consulatum
Flavii Belisarii_. E in Occidente quella di _post consulatum Paulini
anno II_. Era il re _Teodato_ allevato fra gli studii delle lettere, ed
inesperto affatto nel mestier dell'armi; portava anche in petto un cuor
di donna; e la sua platonica filosofia gl'inspirava solamente l'amor del
riposo, e non già il coraggio necessario per sostener una guerra e far
fronte ai pericoli. Ora a questo coniglio, occupata che fu la Sicilia
dai Greci, cadde il cuore per terra; e trovandosi in Ravenna _Pietro_
ambasciatore di Giustiniano[2644], da solo a solo trattò seco delle
maniere di pacificar l'irato Augusto, e di troncare il corso
all'incominciata guerra. Tra loro si convenne che Teodato cederebbe ad
ogni suo diritto sopra la Sicilia; manderebbe ogni anno all'imperadore
una corona di oro del peso di trecento libbre; gli darebbe tre mila Goti
al suo servigio, ogni volta che li richiedesse; non sarebbe lecito a
Teodato di far morire alcun sacerdote (che vescovo vorrà qui
significare), o senatore, nè di confiscare i loro beni, senza
l'approvazion dell'imperadore, al quale eziandio si doveva ricorrere,
qualora si volesse promuovere alcuno alla dignità di patrizio e di
senatore; che nelle acclamazioni usate negli spettacoli e ne' giuochi
circensi, prima si augurasse felicità all'imperadore, ed appresso a
Udita che ebbe l'imperador Giustiniano la nuova dell'ingiusta prigionia
d'_Ilderico_ re dei Vandali, suo singolare amico[2623], aveva spedito
ambasciatori a _Gelimere_ usurpatore del regno africano, con esortarlo a
rendergli la libertà, e ad aspettare di entrar con giusto titolo nel
dominio, giacchè Ilderico era in età molto avanzata; e se pur voleva
ritenere il governo, lo ritenesse, ma con lasciar qualche apparenza di
decoro a chi, secondo il testamento di Genserico, era legittimo
possessor di quel regno. Se ne tornarono gli ambasciatori a
Costantinopoli senza frutto alcuno; anzi peggiorarono gli affari
d'Ilderico, perchè Gelimere, col pretesto ch'egli meditasse di fuggire,
maggiormente il ristrinse, e fece cavar gli occhi ad Oamere di lui
nipote, uomo bellicoso, e tenuto dai Vandali pel loro Achille. Avvisato
di ciò Giustiniano, tornò a spedirgli nuovi ambasciatori, con richiedere
che gli mandasse Ilderico ed Oamere, acciocchè potessero, l'uno privo
del regno, e l'altro degli occhi, passare in pace il resto della lor
vita, altrimenti protestava rotta la pace, e ch'egli si studierebbe di
vendicar l'ingiuria fatta ad un amico e insieme alla giustizia. La
risposta di Gelimere fu, ch'egli era stato alzato di comun concordia dai
Vandali al trono, a lui dovuto, come discendente da Genserico, più che
ad Ilderico. E che un saggio imperadore doveva attendere a governare il
suo imperio senza impacciarsi de' regni altrui. Che se pur gli saltasse
in testa di rompere i patti e di fargli guerra, si persuadesse che nol
troverebbe a dormire. A questa risposta montò in collera Giustiniano, e
determinò di muover guerra a Gelimere. Ma ad una tal risoluzione trovò
contrarii tutti i suoi ministri, e massimamente _Giovanni_ prefetto del
pretorio, ricordandosi tutti dello sforzo inutilmente fatto da Leone
Augusto per riconquistar l'Africa, e spaventati dalle immense spese che
sarebbe costata una armata navale, e dal pericolo di portar la guerra sì
lontano, e in paese ben provveduto di gente e di denaro, e però capace
di far abortire tutte le idee di chi se ne volesse render padrone. Tanto
dissero essi, che in Giustiniano calò la voglia di quella impresa.
Quand'eccoti un giorno capitare un vescovo che dimandò all'imperadore
un'udienza segreta. In essa gli fe' saper d'essergli stato in una
visione comandato da Dio di andare a trovarlo, e sgridarlo, perchè, dopo
d'aver preso a liberare i cattolici dell'Africa dalla tirannia degli
ariani, per una vana paura se ne fosse poi ritirato, con aggiugnere: _Il
Signore mi ha detto, che facendo V. M. questa guerra, la assisterà, e
infallibilmente l'Africa tornerà sotto il romano imperio_. Di più non
occorse, perchè Giustiniano, senza più far caso delle difficoltà
proposte, coraggiosamente intraprendesse la guerra dell'Africa, per la
quale fece nell'anno presente i necessarii preparamenti. Ma non si vuol
tacere che nel gennaio di questo medesimo anno avea lo stesso imperadore
corso grave pericolo per una sedizione mossa in Costantinopoli contra di
lui dalle fazioni veneta e prasina[2624]. Il caricarono d'ingiurie nel
circo, poscia si diedero a scorrere per la città, con attaccar fuoco
alle più magnifiche fabbriche e chiese della medesima. Unissi con loro
la plebe, e tale fu l'apparenza di questo turbine, che Giustiniano già
avea preparata una nave per fuggirsene. Anzi essendosi sparsa la voce
che egli fosse fuggito, il popolo acclamò imperadore _Ipazio_ figliuolo
di Magna sorella del fu Anastasio Augusto, che era stato console
nell'anno 500; e se fosse riuscito loro d'entrare nel palazzo imperiale,
peggiori conseguenze avrebbe avuto l'attentato di tanti sediziosi. Ma
uscito _Narsete_ capitan delle guardie, e guadagnati con denaro molti
della fazione veneta, cominciò a calare il tumulto. E mentre il popolo
si trovava raunato nel circo, uscirono da varie parti le guardie e i
soldati dell'imperadore, condotti parte da esso Narsete, parte da
_Belisario_, generale delle milizie, e da un figliuolo di Mondo, ossia
Mundone generale dell'Illirico, e fecero man bassa addosso alle fazioni,
anzi a chiunque de' cittadini e forestieri incontravano, di maniera che
vi restarono uccise circa trenta o trentacinque mila persone: colla
quale strage terminò affatto il bollore della sedizione. _Ipazio_ preso,
e con lui _Pompeo_ e _Probo_ suoi cugini furono condotti in prigione, e
poco si stette a far vedere al pubblico i lor cadaveri. Marcellino
conte[2625] scrive, che per loro suggestione fu mossa questa tempesta
contra di Giustiniano, e ch'erano entrati molti de' nobili in questa
congiura. Però furono confiscati tutti i lor beni con profitto
indicibile dell'imperiale erario. Curiosa cosa è il leggere presso
Teofane il principio di questa tragedia nel circo per le varie
acclamazioni, dimande e gridi de' prasini, e risposte del ministro
cesareo; senza che si possa ora da noi intendere come si facessero
simili dialoghi, e si potessero discernere quelle voci. Giustiniano,
uscito di questo terribil cimento, generosamente si applicò a rimettere
in piedi gli edifizii rovinati dalle fiamme durante la sedizione; e
soprattutto essendo bruciata l'insigne cattedrale fabbricata da
Costantino, tutto si diede ad alzarne un'altra senza paragone più
magnifica e bella, che fu poi appellata la chiesa di santa Sofia, e
riuscì un tempio mirabile a tutti i secoli avvenire.
NOTE:
[2619] Cassiod., lib. 9, ep. 15.
[2620] Idem, ibid., ep. 16.
[2621] Idem, ibid., ep. 18.
[2622] Idem, lib. 8, ep. 21.
[2623] Procop., de Bell. Vandal., lib. 1. ep. 9.
[2624] Chron. Alexandr. Theoph., in Chronogr. Procop., de Bell. Pers.,
lib. 1, cap. 24.
[2625] Marcell. Comes, in Chron.
Anno di CRISTO DXXXIII. Indizione XI.
GIOVANNI II papa 2.
GIUSTINIANO imperadore 7.
ATALARICO re 8.
_Console_
FLAVIO GIUSTINIANO AUGUSTO per la terza volta, senza collega.
L'Occidente non ebbe console in quest'anno. Stava forte a cuore
all'imperador Giustiniano la guerra meditata contra l'Africa, e
verisimilmente non mancavano a lui incitamenti degli antichi abitatori
cattolici di quelle contrade. Ma trovandosi egli tuttavia impegnato
nella guerra co' Persiani, e perciò impedita la presa risoluzione contra
de' Vandali, fece trattar di pace co' medesimi Persiani[2626], e gli
venne fatto di concluderla ne' primi mesi del presente anno per mezzo di
_Rufino_ patrizio e di _Ermogene_ suo maggiordomo. Quindi, messa insieme
una poderosa armata navale, piena di soldatesche agguerrite, ne diede il
comando a _Belisario_ suo generale, nato nel paese situato tra
l'Illirico e la Tracia, che già avea segnalato il suo nome con azioni
gloriose nella guerra contra de' suddetti Persiani. Accompagnato dallo
storico _Procopio_, sciolse le vele il prode capitano da Costantinopoli
sul fine di giugno; arrivato in Sicilia, vi rinfrescò l'armata; e
continuato poscia il viaggio, nel dì 15 di settembre fece senza
opposizione la sua discesa in Africa. Prima di questo tempo s'era
ribellata ai Vandali la città di Tripoli, per opera di un cittadino
appellato Prudenzio, che tosto, spediti alcuni messaggeri, chiese
soccorso a Giustiniano; ed avutolo, ridusse alla divozione di lui e
tenne forte tutta quella provincia. Erasi parimente rivoltata contra de'
Vandali la Sardegna ad istigazione di un certo _Goda_, Goto di nazione,
uomo di gran valore che vi era stato posto al comando dal nuovo re
_Gelimere_, e poscia assunse il titolo di re. Questi ancora, fatto
ricorso a Giustiniano, con offrirsegli suddito, ottenne un rinforzo di
quattrocento soldati, piccolo aiuto nondimeno al suo bisogno. Discese in
terra la felice armata cesarea in Africa al Capovada; giacchè per ordine
del re Genserico, primo conquistatore di quelle provincie, in tutte le
città, fuorchè in Cartagine, erano state diroccate le mura: risoluzione
che parve allora di gran prudenza, acciocchè, se mai gl'imperadori
romani avessero voluto ricuperare il paese, o gli Africani, divoti del
nome romano, far delle novità, non restasse loro luogo alcuno forte per
infestare i Vandali; ma risoluzione che in fine si tirò dietro la rovina
del regno vandalico. Però Belisario senza difficoltà s'impadronì della
città di Silletto, e quivi cominciò a sentire la vicinanza dell'esercito
de' Vandali, condotto dal re Gelimere, il quale, udito ch'ebbe l'arrivo
dei Greci, comandò che si levasse di vita il re _Ilderico_, già nelle
carceri ristretto. Al primo incontro Gelimere prese la fuga: dal che
animato Belisario si presentò davanti a Cartagine coll'armata di terra e
colla flotta, e non avendo trovata resistenza, ebbe l'ingresso in quella
capitale, senza sapersi intendere come Gelimere prima non v'entrasse
alla difesa, e come con tanta felicità riuscisse questa impresa a
Belisario, il quale finalmente non avea seco se non dieci mila fanti e
cinque mila cavalli. Come di una ammirabil avventura se ne stupì lo
stesso Procopio, da cui abbiamo la descrizione di questa guerra.
Giovò sommamente a Belisario l'aver Gelimere dianzi spedita la sua
armata navale con _Zazone_ suo fratello, per ricuperar la Sardegna, non
immaginando sì vicino l'arrivo e lo sbarco della flotta de' Greci. Entrò
bensì costui in Cagliari, trucidò _Goda_ occupator dell'isola con tutti
i suoi partigiani, e di questa vittoria inviò tosto l'avviso al fratello
Gelimere; ma la nave che lo portava, andata a dirittura a Cartagine,
senza saper la mutazione ivi seguita, cadde in mano de' Greci
vittoriosi. Fu cagione eziandio la presa improvvisa di Cartagine, saputa
in Ispagna, che niuno effetto producesse un'ambasciata di Gelimere
incamminata colà per indurre _Teode_ re de' Visigoti ad entrare in lega
coi Vandali. Dappoichè Belisario ebbe abbastanza assicurata con nuove
fortificazioni la città di Cartagine, uscì in campagna con la sua
armata, per assalire Gelimere, con cui si era riunito Zazone suo
fratello colla flotta richiamata dalla Sardegna. Vennesi ad un fatto
d'armi; fu sbaragliato l'esercito vandalo, e Gelimere, colla fuga si
mise in salvo. Nel campo loro aveano i Vandali le lor mogli, figliuoli e
tesori, sperando forse che la difesa e presenza di pegni sì cari avesse
da ispirare più coraggio ai combattenti. Ma nulla giovò ad essi; tutto
andò a sacco, e sì grande fu il bottino toccato ai vincitori, chè parve
cosa incredibile. Oltre alle eccessive prede fatte da que' Barbari sul
principio della conquista sopra i sottomessi Africani, aveano essi
raunate immense somme d'oro negli anni addietro colla vendita de' loro
grani. In quella giornata perderono tutto. Succedette questa fortunata
battaglia verso la metà di decembre nell'anno presente, di modo che
fatte in tre mesi tante azioni, recarono somma gloria a Belisario. In
questo medesimo anno, perchè gli eretici aveano sparso voce che
Giustiniano Augusto concorreva ne' loro empii sentimenti, egli, a fine
di distruggere questa ingiuriosa diffamazione, pubblicò un suo
editto[2627], in cui espose la credenza sua uniforme alla dottrina della
Chiesa cattolica. Inviò ancora degli ambasciatori a papa _Giovanni_ con
sua lettera, in cui protesta di accettare i quattro concilii generali
della Chiesa di Dio, e coll'ambasciata, secondo l'attestato di Anastasio
bibliotecario[2628], vennero ancora varii regali preziosi ch'egli
mandava ad offerire a san Pietro nella basilica vaticana. Scrisse
inoltre una lettera ad _Epifanio_ patriarca di Costantinopoli[2629],
dove parimente espone la sua fede, condanna gli eretici tutti e conferma
i suddetti quattro concilii: cose tutte che gli acquistarono gran
credito in Roma e presso tutti i cattolici. Finalmente nel dicembre del
presente anno furono pubblicate da esso imperadore le _Istituzioni_ del
diritto civile e i libri dei _Digesti_, siccome apparisce dalle due
prefazioni stampate in fronte di queste opere insigni.
NOTE:
[2626] Marcell. Comes, in Chronico. Procop., de Bell. Vandal., lib. 1,
cap. 5.
[2627] L. 6, C. de Summa Trinitate.
[2628] Anastas. Biblioth., in Vita Johannis II.
[2629] L. 7, C. de summ. Trin.
Anno di CRISTO DXXXIV. Indizione XII.
GIOVANNI II papa 3.
GIUSTINIANO imperadore 8.
TEODATO re 1.
_Consoli_
FLAVIO GIUSTINIANO AUGUSTO per la quarta volta, e FLAVIO TEODORO PAOLINO
juniore.
Questo _Paolino_ console, creato in Occidente, secondochè abbiamo da una
lettera del re _Atalarico_[2630] scritta al medesimo, fu figliuolo di
_Venanzio_, stato console nell'anno 507, ed era della famiglia _Decia_.
Seguitò _Belisario_ in questo anno il felice corso delle sue vittorie
con impadronirsi della città d'Ippona, oggidì Bona, dove gli venne alle
mani buona parte del tesoro di Gelimere, mentre egli pensava di
rifugiarlo in Ispagna. Scorrendo la di lui flotta il Mediterraneo fino
allo stretto di Gibilterra, sottomise al dominio cesareo la Sardegna, la
Corsica, Ceuta, Evizza, Majorica e Minorica. Entrarono parimente le sue
armi in Cesarea città; e _Gelimere_, assediato nel monte Pappua, con
proporgli nella corte dell'imperadore il grado di patrizio ed altri
vantaggi, s'indusse a rendersi a Belisario, da cui fu condotto a
Costantinopoli. Colà portossi il valoroso capitano, perchè avea scoperto
di essere stato calunniato presso di Giustiniano Augusto, quasichè egli
meditasse di farsi padrone delle provincie in sì poco tempo conquistate.
L'andata sua dissipò queste nebbie. Fu egli introdotto in Costantinopoli
trionfalmente, come ne' secoli addietro si praticava in Roma. Presentò
all'imperadore non solo Gelimere e i prigioni vandali, ma eziandio le
immense ricchezze asportate dall'Africa, e specialmente i vasi antichi
del tempio di Salomone, che appresso furono da Giustiniano inviati alle
chiese di Gerusalemme. Fece Giustiniano sentire la sua liberalità a
Gelimere, con assegnargli molti beni nella Galazia; ma non gli fu già
conferita la dignità di patrizio, perchè costui non potè indursi giammai
a rinunziare all'arianismo. A queste allegrezze succederono delle
tristezze; imperocchè non sì tosto fu partito dall'Africa Belisario, che
i Mori si ribellarono, e Salomone, lasciato quivi per governatore, ebbe
molto da fare a sostenersi; ed ancorchè in una battaglia desse loro una
rotta, pure i medesimi si rimettevano presto in forze, e seguitavano a
far testa. Finalmente andarono in fumo tutti i loro sforzi. Intanto
anche in Italia cangiarono faccia gli affari, perchè il re _Atalarico_
mancò di vita in quest'anno. Giacchè _Amalasunta_ sua madre era stata
forzata ad allevarlo come vollero i Goti, egli sfrenatamente si era dato
in preda alla crapula e ad altri vizii, per i quali contrasse una lunga
malattia che il condusse in fine al sepolcro[2631]. Allora fu che
Amalasunta, temendo di cadere affatto, cominciò segretamente a trattare
con Giustiniano Augusto di rinunziargli l'Italia, e di ritirarsi a
Costantinopoli. Ma non istette poi salda in questo pensiero. _Teodato_,
ossia _Teodoto_, figliuolo del primo matrimonio di Amalafreda sorella
del fu re Teoderico, menava allora vita privata in Toscana, dove
possedeva di gran beni, uomo ben istruito nelle lettere latine e nella
filosofia di Platone, ma dappoco, ignorante nell'arte militare, e
straordinariamente dato all'interesse, aveva egli fatto non poche
estorsioni e prepotenze in quei paesi; e per i ricorsi e doglianze di
varii particolari chiamato a Ravenna, era stato processato ed obbligato
a restituire il mal tolto, perlochè odiava a morte Amalasunta. Cominciò
anch'egli segretamente un trattato con Giustiniano per farlo padrone
della Toscana. Non andò più oltre l'affare, perchè Amalasunta, parte per
paura che i Goti, abbandonata lei, si volgessero a Teodato, unico
germoglio della famiglia Amala, parte per isperanza di cattivarsi
l'animo di costui con un gran benefizio, il chiamò a Ravenna, e gli
propose di farlo collega nel regno, purchè promettesse di portare bensì
il nome di re, ma di lasciare in fatti proseguir lei nel comando. Quanto
ella volle Teodato giurò di eseguire.
Salito che fu Teodato sul trono, non men egli che Amalasunta[2632] ne
scrissero a Giustiniano Augusto, con pregarlo di continuar la pace con
loro. Ma durò poco la festa. Teodato, ridendosi delle promesse fatte, e
sol ricordevole delle procedure precedentemente contra di lui fatte,
unissi coi nemici di Amalasunta, fece levar la vita ad alcuni de' suoi
aderenti, e in fine cacciò lei stessa in esilio[2633], confinandola in
un'isoletta nel lago di Bolsena, dove la misera da lì a poco, per
comandamento oppure con saputa di esso Teodato, fu strangolata dai
parenti di quei Goti ch'ella avea nel tempo del suo governo fatti
privare di vita. Gregorio Turonense[2634], mal informato di questi
affari, racconta una diceria che dovea correre per le piazze, ed ha
tutta la ciera d'una fola, ma che nondimeno potrebbe contenere qualche
vestigio di verità. Racconta, dico, egli, che dopo la morte di Teoderico
restò in vita Anafleda moglie di lui, e sorella di Clodoveo re de'
Franchi, con una figliuola. Dee intendere di _Amalasunta_, ma senza dir
parola di Atalarico. Questa figliuola si diede in preda ad un suo
famiglio appellato Traguilla, e con esso lui scappò in una forte città.
Bisognò mandare un esercito per levarla di là, e ridurla a casa, il che
seguì dopo aver tolto di vita il suo drudo. Irritata la figliuola pose
del veleno nel calice, da cui dovea bere la madre nella comunione
eucaristica. Erano essi tutti ariani. Morì sua madre, e i Goti sdegnati
contra della figliuola parricida, elessero in re loro _Teodato_, il
quale in un bagno sommamente riscaldato la fece morire. Aggiugne che i
re de' Franchi _Childeberto_, _Clotario_ e _Teodeberto_ fecero querela
di questo col re Teodato, minacciandogli la guerra; e che Teodato li
placò e fece tacere con un regalo di cinquanta mila scudi d'oro. Così il
Turonense. La verità si è, se pur s'ha da credere a Procopio, che
dispiacque forte all'imperador Giustiniano l'ingratitudine e crudeltà di
Teodato contra di una principessa che fin allora avea mantenuta sì buona
corrispondenza coll'imperio d'Oriente. Ma dall'altro canto si rallegrò
in suo cuore, perchè la fortuna gli avesse somministrato così plausibil
ragione di muover guerra ai Goti, cioè una congiuntura tanto da lui
desiderata di poter ricuperare l'Italia. Covò egli questo pensiero
nell'anno presente, ma con fare gli opportuni preparamenti pel
susseguente; e intanto dalle lettere da Cassiodoro si ricava avere
Teodato ricevuto di belle parole da Giustiniano, il quale s'infinse per
un pezzo di non sapere l'iniquo trattamento fatto ad Amalasunta, ma
senza dar sicurezza alcuna di pace. Perlochè Teodato di nuovo spedì
altri ambasciatori a Giustiniano, e la regina _Gundelina_ sua moglie
anch'ella scrisse a _Teodora_ Augusta con ansietà di assicurar fra di
loro il nodo di una buona amicizia. Niuna apparenza di verità ha ciò che
il suddetto Procopio nella storia segreta di Giustiniano lasciò scritto,
cioè che Teodato fece morire Amalasunta per consiglio di Giustiniano,
istigato a ciò da Teodora Augusta, che avea conceputa gelosia in
iscorgere l'ansietà del marito per vedere Amalasunta in Costantinopoli,
temendo ch'ella potesse torle la mano nel cuore di lui. Ancorchè si sia
già da noi veduta la pubblicazione del Codice di Giustiniano, fatta
nell'anno 529, pure nel presente fu pubblicato quel libro con varie
giunte e mutazioni, e tal quale noi ora lo abbiamo. Se in Oriente era
tutto rivolto l'animo di Giustiniano a dilatare i confini dell'imperio,
non era minor la sete nei re de' Franchi. Per appagarla non si perdonava
a tradimenti e scelleraggini, nè si teneva sicuro l'un fratello
dell'altro. Miravano essi con occhio ingordo il confinante regno dei
Borgognoni, e per ingoiarlo, secondochè s'ha da Mario Aventicense[2635],
s'unirono insieme nell'anno presente _Childeberto_, _Clotario_ e
_Teodeberto_ figliuolo del re Teoderico, ossia Teodorico. Gregorio
Turonense[2636] e Fredegario[2637] scrivono che solamente Childeberto e
Clotario impresero la guerra contra de' Borgognoni, e che Teoderico lor
fratello non vi volle intervenire. Ma sembra ben più fondato il racconto
di Mario. Vedremo fra poco che Teodeberto di lui figlio mandò in Italia
dei Borgognoni: segno che anch'egli entrò a parte della conquista. La
conclusione fu che quei re si misero all'assedio della città di Autun,
ruppero in una battaglia _Godomaro_ re de' Borgognoni, e divennero con
ciò padroni di quel regno, che abbracciava allora il Lionese, il
Delfinato, la Borgogna moderna ed altri paesi, ch'essi divisero fra
loro. Credesi che in quest'anno terminasse i suoi giorni _Teoderico_
suddetto fratello d'essi re, con avere per suo successore il mentovato
Teodeberto suo figliuolo. È di parere il cardinal Baronio[2638] che
anche all'anno presente appartenga la terribil carestia, di cui parla
_Dazio_ arcivescovo di Milano nella Storia Miscella[2639], deducendolo
da una lettera[2640] scritta da _Cassiodoro_ prefetto del pretorio in
questi tempi al medesimo Dazio per significargli il soccorso di panico
destinato dal re in sovvenimento de' popoli. Ma più probabilmente la
carestia rammentata da esso arcivescovo appartiene all'anno 538. Per
altro, da altre lettere del medesimo Cassiodoro apparisce afflitta
l'Italia ancora in questo anno dalla carestia, e qual provvisione si
facesse per aiutare i popoli in sì fiera congiuntura.
NOTE:
[2630] Cassiod., lib. 9, epist. 22.
[2631] Procop., de Bell. Goth., lib. 1, cap. 3.
[2632] Cassiod., lib. 10, epist. 1 et 2.
[2633] Jordan., de Reb. Getic., cap. 59.
[2634] Gregor. Turonensis, lib. 3, cap. 31.
[2635] Marius Aventicensis, in Chron.
[2636] Gregor. Turonensis, lib. 3, cap. 11.
[2637] Fredegarius, in Ep., cap. 37.
[2638] Baron., Annal. Eccl.
[2639] Hist. Miscell., lib. 16.
[2640] Cassiodor., lib. 12, ep. 27.
Anno di CRISTO DXXXV. Indizione XIII.
AGAPITO II papa 1.
GIUSTINIANO imperadore 9.
TEODATO re 2.
_Console_
FLAVIO BELISARIO senza collega.
In ricompenza delle gloriose azioni di _Belisario_, fu a lui in
quest'anno conferito l'onore del consolato. Niun console fu creato in
Occidente, perchè già si erano cominciati ad imbrogliare gli affari tra
_Giustiniano_ Augusto e il re _Teodato_. E da qui innanzi per questa
ragione cessarono affatto i consoli occidentali. Pose fine nel presente
anno ai suoi giorni papa _Giovanni II_, e la sua morte vien riferita dal
padre Pagi[2641] al dì 27 di maggio. Ebbe per successore nel pontificato
_Agapito_ arcidiacono, Romano di patria. Lusingavasi tuttavia il re
Teodato, coll'andar mandando ambasciatori e lettere, di poter pacificare
l'imperadore Giustiniano, che si mostrava sdegnato non poco per la morte
data alla regina Amalasunta, attribuendo ad ingiuria propria l'aver
privata di vita una principessa ch'era sotto la sua protezione. Ma si
avvide in quest'anno quanto fossero fallaci la speranze sue.
Giustiniano, a cui non era ignoto come fosse vil di cuore e timoroso il
re Teodato, e che i popoli cattolici d'Italia amerebbono più il comando
di un principe cattolico che de' Goti ariani[2642], finalmente alzò la
visiera, e spinse la flotta sua, comandata dal valoroso e saggio suo
generale Belisario, addosso alla Sicilia, ch'era allora della
giurisdizione de' Goti, con fingere di passare in Africa. Non più che
circa otto mila armati tra fanti e cavalli venivano su questa flotta:
del che si maraviglierà chiunque è avvezzo a vedere con quanta gente si
facciano le guerre e gli assedii de' nostri tempi. Ordinò parimente
Giustiniano a Mondo, ossia Mundone, suo general dell'armi nell'Illirico,
di passare colle sue genti in Dalmazia, e ridurre, se si poteva, alla
sua ubbidienza Salona capitale di quella provincia. Nè contento di ciò,
perchè ben apprendeva le forze dei Goti, scrisse ai re cattolici de'
Franchi, affine di indurli ad una lega offensiva contra dei medesimi
Goti, facendo valere il motivo della religione, ed accompagnando le
premure sue con un regalo di molta moneta, e con promessa di molto più,
se seco si univano ai danni dei Goti. Volentieri accettarono essi un
tale impegno. Riuscì a Mundone, giunto che fu nella Dalmazia, di
sbaragliare in un conflitto quanti Goti gli vollero contrastare il
passo. Assediata poi Salona, in pochi giorni la costrinse alla resa: con
che la Dalmazia venne in potere di Giustiniano. Non fu men favorevole a
Belisario la fortuna in Sicilia. Sbarcata la sua gente, venne tosto alla
sua divozione Catania, poi Siracusa, e di mano in mano tutte le altre
città di quella felice isola, a riserva di Palermo, in cui il presidio
gotico mostrò di volersi bravamente difendere. Ma entrate nel porto le
navi greche, ed osservato che gli alberi di essa sopravanzavano
l'altezza delle mura della città, fece Belisario tirar lassù un gran
numero di arcieri, che colle saette offendevano i difensori, in guisa
che non passarono molti giorni che la città capitolò la resa. Però senza
gran fatica passò tutta la Sicilia sotto il dominio di Giustiniano,
vantaggio considerabile per la meditata impresa d'Italia, essendosi in
questa maniera tolto ai Goti il granaio, da cui erano soliti di cavarne
i grani loro occorrenti pel bisogno della stessa Italia. Con questa
felicità terminò il primo anno della guerra gotica; e Belisario, che
avrebbe dovuto deporre il suo consolato in Costantinopoli, nell'ultimo
dì dell'anno fece la solennità di quella funzione entrando in Siracusa,
con ispargere monete d'oro al popolo tutto festoso per trovarsi libero
dal giogo de' Barbari. Attese in questi tempi l'imperador Giustiniano a
rimettere in buono stato le città e chiese dell'Africa, dove fece non
poche fabbriche. E perchè egli si voleva mostrar grato e benefico verso
la patria sua, ch'era un piccolo luogo appellato Tauresio nella
Dardania, ossia nella Mesia superiore[2643], quivi fabbricò una bella
città con canali d'acqua, chiese, palagi, portici larghi, piazze pulite,
bagni ed altri comodi ed ornamenti pubblici; e a questa città pose il
nome di _Giustiniana Prima_, con aver poi impetrato da papa Vigilio, che
al vescovo di essa come a metropolitano, fossero sottoposte le Chiese
delle due Dacie, della Mesia superiore e della Pannonia. Essendo mancato
di vita in quest'anno _Epifanio_ vescovo di Costantinopoli, per opera di
Teodora Augusta, empia ed iniqua donna, fu eletto suo successore
_Antimo_ vescovo di Trabisonda, eretico coperto, che durò poco in quella
sede.
NOTE:
[2641] Pagius, Crit. Baron. ad hunc ann.
[2642] Procop., de Bell. Goth., lib. 1, cap. 5.
[2643] Procop., de Ædific. Justin., lib. 4.
Anno di CRISTO DXXXVI. Indizione XIV.
SILVERIO papa 1.
GIUSTINIANO imperadore 10.
VITIGE re 1.
_Senza consoli._
Fu segnato l'anno presente in Oriente colla formula _post consulatum
Flavii Belisarii_. E in Occidente quella di _post consulatum Paulini
anno II_. Era il re _Teodato_ allevato fra gli studii delle lettere, ed
inesperto affatto nel mestier dell'armi; portava anche in petto un cuor
di donna; e la sua platonica filosofia gl'inspirava solamente l'amor del
riposo, e non già il coraggio necessario per sostener una guerra e far
fronte ai pericoli. Ora a questo coniglio, occupata che fu la Sicilia
dai Greci, cadde il cuore per terra; e trovandosi in Ravenna _Pietro_
ambasciatore di Giustiniano[2644], da solo a solo trattò seco delle
maniere di pacificar l'irato Augusto, e di troncare il corso
all'incominciata guerra. Tra loro si convenne che Teodato cederebbe ad
ogni suo diritto sopra la Sicilia; manderebbe ogni anno all'imperadore
una corona di oro del peso di trecento libbre; gli darebbe tre mila Goti
al suo servigio, ogni volta che li richiedesse; non sarebbe lecito a
Teodato di far morire alcun sacerdote (che vescovo vorrà qui
significare), o senatore, nè di confiscare i loro beni, senza
l'approvazion dell'imperadore, al quale eziandio si doveva ricorrere,
qualora si volesse promuovere alcuno alla dignità di patrizio e di
senatore; che nelle acclamazioni usate negli spettacoli e ne' giuochi
circensi, prima si augurasse felicità all'imperadore, ed appresso a
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