Annali d'Italia, vol. 2 - 24
presero lo stesso sacro pastore, e il menarono con grande insolenza a
palazzo, dove tanto perorò, che Arcadio restò non solamente persuaso di
doversi permettere quell'asilo ad Eutropio, ma eziandio colle lagrime e
con vive ragioni studiò di ammollir lo sdegno dei soldati inviperiti
contra di lui[1184]. Pochi giorni nondimeno passarono che Eutropio
uscito di chiesa per fuggire, o trattone per forza, o ceduto con patto
che fosse salva la di lui vita, fu relegato nell'isola di Cipri, ed
ordinato che si levasse il suo nome dai Fasti consolari e dalle leggi,
si abbattessero le sue statue, e si abolisse ogni altra sua memoria.
Abbiamo una legge di Arcadio[1185], data nel dì 17 di gennaio dell'anno
presente, dove si legge la di lui condanna: il che fece credere al
Gotofredo[1186] e al padre Pagi[1187], che questa scena accadesse prima
di quel giorno in questo medesimo anno. Ma, siccome osservò il
Tillemont[1188], troppo forti ragioni abbiamo per giudicar fallata
quella data quanto al mese, specialmente perchè Eudossia avendo
partorita _Pulcheria_ nel dì 19 di gennaio, non avrebbe potuto
presentarla al marito Augusto, come vuol Filostorgio. Per conseguente
sembra più verisimile che la di lui caduta s'abbia da riferire ad alcuni
mesi dappoi, e forse dopo l'agosto. Non si sa quanto tempo durasse la
relegazione di Eutropio in Cipri. Abbiamo bensì da Zosimo[1189] e da
Filostorgio[1190], aver fatto tante istanze Gaina contra di lui, e
suscitati accusatori, che in fine fu ricondotto da Cipri a
Costantinopoli, e processato. Finalmente con uno di que' ripieghi che i
politici san trovare per non mantenere i giuramenti, cioè dicendo che la
promessa di salvargli la vita era solamente per Costantinopoli, il
mandarono a Calcedone, dove gli fu mozzato il capo. Ed ecco qual fu il
fine di un _Eutropio_ eunuco, e già schiavo di Arenteo, giunto dal più
basso e vile stato alla maggior grandezza, da un'estrema povertà ad
incredibili ricchezze e ad una straordinaria potenza. Di rado le gran
fortune, che non han la base sulla virtù, vanno esenti da somiglianti
gravi peripezie.
NOTE:
[1162] Claud., de Consul. Theod.
[1163] Philostorg., lib. 11, cap. 4.
[1164] Claud., in Eutrop., lib. 2.
[1165] Gothofred., in Chronol. Cod. Theodos.
[1166] L. 4, de itiner. munien. Cod. Theodos.
[1167] L. 26, omni amoto de Annona et Tribut. Cod. Theodos.
[1168] Vide lib. 16, tit. 10, Cod. Theod.
[1169] Idacius, in Fast.
[1170] Prosper Tiro, in Chron.
[1171] August., de Civit. Dei, lib. 8, cap. 33.
[1172] Baron., Annal. Eccl.
[1173] Pagius, Crit. Baron.
[1174] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[1175] Zosimus, lib. 5, cap. 13.
[1176] Socrat., lib. 6, cap. 6. Sozom., lib. 8, cap. 4.
[1177] Zosim., lib. 5, cap. 17.
[1178] Claud., in Eutrop.
[1179] Philostorg., lib. 5, cap. 8.
[1180] Zosim., lib. 5, cap. 17.
[1181] Chrysost., in Psalm. 44, et in Eutrop. Philostorg., lib. 11, cap.
8.
[1182] Marcellin. Comes, in Chronic. Chron. Alexandr.
[1183] Chrysost., Orat. in Eutrop. et in Psalm. 44. Zosimus, lib. 5,
cap. 18. Sozomenus, Claudian.
[1184] Chrysost. Zosimus. Suidas, in Lexico.
[1185] L. 12, de Poenis, Cod. Theodos.
[1186] Gothofred., Chronol. Cod. Theodos.
[1187] Pagius, Crit. Baron.
[1188] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[1189] Zosimus, lib. 5, cap. 18.
[1190] Philost., lib. 11, cap. 6.
Anno di CRISTO CD. Indizione XIII.
ANASTASIO papa 3.
ARCADIO imperadore 18 e 6.
ONORIO imperadore 8 e 6.
_Consoli_
FLAVIO STILICONE ed AURELIANO.
Chi fosse _Stilicone_ console occidentale[1191], non ha bisogno il
lettore ch'io gliel ricordi. Quanto ad _Aureliano_ console orientale,
egli era prefetto del pretorio d'Oriente nell'anno precedente. Ho io
altrove[1192] rapportata una iscrizione posta a _Lucio Mario Massimo
Perpetuo Aureliano console_, immaginando che potesse parlarsi quivi di
questo Aureliano. Meglio esaminandola ora, ritrovo che non può convenire
a lui, essendo iscrizione spettante a Roma pagana, senza nondimeno
sapere qual altro sito le si possa assegnare ne' Fasti consolari.
Veggasi nulladimeno all'anno 223. Continuò _Flaviano_ ad esercitar la
prefettura di Roma. Poche leggi[1193] di Arcadio Augusto si trovano
sotto quest'anno, perchè egli ebbe altro da pensare in casa sua, siccome
fra poco diremo: molte sì di Onorio imperadore, date le più in Milano, e
l'altre in Ravenna, Altino, Brescia ed Aquileia, ma non senza qualche
errore e confusione. Aspra è ben quella[1194] emanata nel dì 30 di
gennaio, in cui ordina che sieno arrolati nella milizia i Leti, Gentili,
Alamanni e Sarmati, ed altri non avanzati in età, non troppo piccioli,
non infermi, e i figliuoli de' veterani e i licenziati dalla milizia
prima del tempo, e i passati dalla milizia al clero e all'impiego di
seppellire i morti, pretendendo che questi non per motivo di religione,
ma per poltroneria abbiano abbandonate l'armi. La ragione di questo
rigoroso ordine ce la somministra la storia[1195]. Abbiam fatta qualche
menzione di sopra di _Alarico_, principe fra le nazioni dei Goti, non
della famiglia Amala, ch'era la più nobile di tutte, ma di quella de'
Balti (nome in lor lingua significante ardito), e nato verso le bocche
del Danubio. Non era già costui pagano, come cel rappresenta il pagano
poeta Claudiano[1196], perchè, per attestato di Orosio[1197] e di
sant'Agostino, egli professava la religion cristiana, ma contaminata dal
fermento ariano, come la maggior parte de' Goti praticava da molti anni
addietro. Uomo feroce, e del mestier della guerra intendentissimo, il
quale pieno di spiriti ambiziosi, anche molti anni prima di venir a
gastigare i peccati dei Romani, si vantava che nulla egli crederebbe mai
di aver fatto o vinto, se non prendeva la stessa città di Roma. Ciò si
raccoglie da un poema di Claudiano[1198], composto molto prima ch'egli
eseguisse questo suo disegno; e lo attesta anche Prudenzio[1199],
parendo eziandio ch'egli tenesse d'esserne stato accertato da qualche
oracolo. Nell'anno 396, siccome dicemmo, Arcadio per quetare i Goti che
aveano fatta una terribile irruzione nella Grecia sotto il comando di
esso Alarico, lo avea creato generale delle milizie nell'Illirico
orientale; ed egli perciò abitava in quelle parti, cioè o nella Dacia, o
nella Mesia inferiore, o pur nella Grecia e Macedonia. Giordano
istorico[1200] pretende che rincrescendo a que' Goti, chiamati dipoi
Visigoti, che sparsi per la Tracia e per l'Illirico dipendevano dallo
stesso Alarico, di starsene oziosi, ed apprendendo per cosa pericolosa
alla lor nazione lo impoltronirsi, crearono circa questi tempi per loro
re il medesimo _Alarico_. Il disegno d'essi era di conquistar qualche
regno, perchè loro parea una disgrazia lo starsene ne' paesi altrui mal
veduti, e con pochissime comodità, quasi servi de' Romani. Chiaramente
scrivono san Prospero[1201] e il suddetto Giordano, che nel consolato di
Stilicone e di Aureliano i Goti sotto il comando di _Alarico_ e di
_Radagaiso_ entrarono nell'Italia. Che mali facessero (e certamente far
ne dovettero) in queste parti, la storia nol dice. Abbiamo dal Natale
VIII recitato da san Paolino vescovo di Nola[1202] nel gennaio dell'anno
seguente, che gran rumore faceva in Italia la guerra dei Goti, e che
n'era sbigottito ognuno. Credesi ancora che dessero il guasto al
territorio di Aquileia, e non apparisce che o spontaneamente o per forza
ritornassero per ora indietro. Non sussiste già il dirsi dal suddetto
Giordano che in questa prima visita i Goti andarono ad assediar Ravenna,
dove s'era ritirato l'imperadore Onorio; perchè siamo assicurati dalle
leggi del Codice Teodosiano, che Onorio nel verno venturo e per tutto
l'anno seguente si fermò in Milano.
Neppure ad Arcadio Augusto mancarono guai in Oriente durante questo
anno. Pareva che dopo essere rimasta libera la di lui corte da quel mal
arnese d'Eutropio, avessero da prendere miglior piega gli affari: ma si
trattava di un imperadore buono da nulla, e intanto la caduta di
Eutropio servì all'_imperadrice Eudossia_, tenuta bassa fin qui dal
prepotente eunuco per innalzarsi, e sotto l'ombra di aiutar nel governo
l'imbrogliato consorte[1203], per tirare a sè quasi tutta l'autorità del
comando. Donna superba e stizzosa; donna che voleva partire coi ministri
ed uffiziali iniqui il profitta delle loro ingiustizie; donna infine che
sapea dominar sopra il marito, ma ch'era anch'essa dominata da una man
di dame e da una frotta d'eunuchi, che gareggiavano insieme a chi potea
far peggio per arricchirsi, con vendere le grazie, con usurpare i beni
altrui, e commettere tali iniquità, che le mormorazioni e i pubblici
lamenti erano divenuti uno sfogo incessante de' popoli afflitti. Per
attestato della Cronica Alessandrina[1204], solamente nel dì 9 di
gennaio dell'anno presente a lei fu dato dal marito il titolo di
_Augusta_. Ed essa poi nel dì 3 di aprile partorì la terza figliuola, a
cui fu posto il nome di _Arcadia_. Da una lettera di Onorio Augusto si
ricava che questa ambiziosa donna mandò la sua immagine per le
provincie, come soleano fare i novelli Augusti: del che si dolse esso
Onorio, come di una novità che avea dato da mormorare a tutti. A questi
mali provenienti dalla debolezza del regnante se ne aggiunsero de' più
strepitosi per la perfidia di _Gaina_, che eletto generale dell'armi
romane, per difesa del romano imperio, altro non facea che segretamente
macchinarne la rovina, conservando nel medesimo tempo le apparenze della
fedeltà e zelo nel pubblico bene, e pensando che non si accorgesse la
corte delle sue intenzioni e furberie. Pertanto egli maneggiò un
accomodamento fra Tribigildo ed Arcadio: il che fatto, sì l'uno che
l'altro colle loro armate s'inviarono alla volta di Costantinopoli,
saccheggiando d'accordo il paese per dove passavano. Tribigildo voltò a
sinistra, andando a Lampsaco nell'Ellesponto, e Gaina a dirittura passò
a Calcedone in faccia di Costantinopoli, dove cominciò a scoprire i suoi
perversi disegni. Per li movimenti di questi due barbari uffiziali si
trovava in un gran labirinto Arcadio e il suo consiglio, perchè
scorgevano il mal animo di Gaina, ed armata non v'era da potergli
opporre. Spedì esso Augusto persone per dimandare a Gaina che pensieri
erano i suoi[1205]. Rispose costui di voler nelle mani i tre principali
ministri della corte, cioè _Aureliano_ console di quest'anno,
_Saturnino_ stato console nell'anno 383, e _Giovanni_ segretario il più
confidente che si avesse Arcadio. Ci fa qui intendere il maligno
Zosimo[1206] che dovea passare anche gran confidenza fra questo Giovanni
e l'imperadrice Eudossia, perchè i più credeano che egli, e non già
Arcadio, fosse padre di Teodosio II, principe che vedremo venire alla
luce nell'anno seguente. Secondo Socrate, Gaina dimandò per ostaggi i
suddetti ministri, mostrando probabilmente di non fidarsi
dell'imperadore. Ma Zosimo con più ragione pretende che li volle per
farli morire, perchè dovea loro attribuire i disordini presenti, o i
mali uffizii fatti contra di lui. Tale era lo spavento di quel consiglio
d'Arcadio, che s'indusse a sagrificare quegli onorati personaggi alla
brutalità di Gaina; ed essi generosamente si esposero ad ogni rischio
per la salute pubblica. Vuol Zosimo che la consegna di questi ministri
si facesse dappoichè seguì l'abbocamento di Arcadio con Gaina. Socrate e
Sozomeno[1207] la mettono prima. Certo è che san Giovanni
Grisostomo[1208], siccome apparisce da una sua omilia, fece quanto potè
per salvare almeno la vita a così illustri ministri; e in fatti Gaina
volle ben che provassero l'orror della morte con farli condurre al
patibolo; ma mentre il carnefice avea alzato il braccio per troncar loro
il capo, fu fermato da un ordine d'esso Gaina, il quale si contentò di
mandarli in esilio nell'Epiro; ma questi nel viaggio o per danari, o per
altra loro industria, ebbero la sorte di fuggire, e di comparir poi a
Costantinopoli contro l'espettazione d'ognuno.
O prima o dopo di questo tragico avvenimento, il tiranno Gaina più che
mai insolentendo, fece istanza che Arcadio Augusto, se gli premeva
d'aver pace, passasse a Calcedone per trattarne a bocca con lui. D'uopo
fu il povero imperadore inghiottisse ancora questo boccone e andasse a
trovarlo. Nell'insigne chiesa di Santa Eufemia presso a quella città si
abboccarono insieme, e vicendevolmente giurata buona amicizia tra loro,
si convenne che Gaina deporrebbe l'armi, e tanto egli che Tribigildo
andrebbono a Costantinopoli. Secondo Socrate[1209], allora fu, e non
prima come dicemmo di sopra, che Gaina fu dichiarato generale della
fanteria e cavalleria romana, oltre al comando suo sopra un gran corpo
de' Goti a lui ubbidienti. Di Tribigildo altro di più non sappiamo, se
non per relazion di Filostorgio[1210] ch'egli passato nella Tracia da lì
a poco tempo perì. Quanto a Gaina non ebbe difficoltà di passare a
Costantinopoli, orgoglioso per aver data la legge al regnante, ed ivi
colla medesima altura pretese che si desse una chiesa ai suoi Goti
ariani[1211]; ma l'arcivescovo san Giovanni, imitando la costanza di
santo Ambrosio, talmente gli fece fronte, che restarono vani tutti i di
lui sforzi. Pare che tutti questi sconcerti succedessero nel mese di
maggio. Ma poco durò la pace fatta con chi era di cuor doppio, e non
istudiava se non cabale ed inganni. Perchè in Modena il nome di _Gaino_
è in uso per dinotare i furbi ed ingannatori sotto la parola, ho io
talvolta sospettato che da quel furfante Goto fosse proceduto questo
titolo; ma sempre mi è paruto più probabile ch'esso venga da Gano,
famoso ne' romanzi per le sue ribalderie, e finto ai tempi di Carlo
Magno. Ora il malvagio Gaina generale dell'armi andò a poco a poco
empiendo la città di Costantinopoli de' suoi Goti, e mandando fuori
quanti più potè di soldati romani, ed anche delle guardie del palazzo
sotto varii pretesti[1212]. Era il suo disegno di mettere a sacco in una
notte le botteghe degli orefici oppur dei banchieri, e di attaccare il
fuoco al palazzo imperiale. Zosimo[1213] scrive ch'egli mirava ad
impadronirsi della città e ad usurpare il trono. Se ne avvidero quegli
artisti, e stettero ben in guardia. Per conto del palazzo, andarono
bensì per più notti i suoi satelliti per incendiarlo; ma sempre vi
trovarono una buona guardia di soldati, benchè non ve ne dovesse essere,
con aver poi tenuto per fermo il popolo che quei fossero soldati fatti
comparire da Dio per difesa del piissimo imperadore Arcadio. Se ne volle
chiarire lo stesso Gaina, e trovò che tale era la verità, con
immaginarsi poi che Arcadio avesse fatto venire segretamente delle
milizie per valersene contra di lui, le quali stessero durante il giorno
nascose.
Fu cagion l'apprensione conceputa per questo fatto, che il misleale
Gaina si ritirasse fuori di Costantinopoli nel dì 10 di luglio,
allegando qualche indisposizione di corpo e bisogno di riposo, con
fermarsi circa sette miglia lungi dalla città. Aveva egli lasciato in
Costantinopoli la maggior parte de' suoi Goti con ordine di prender
l'armi contra de' cittadini a un determinato tempo, di cui
preventivamente doveano dare a lui un segnale, affin di accorrere
anch'egli con altra gente a rinforzarli. Ma o sia, come vuol
Zosimo[1214], ch'egli scoprisse il disegno col venire prima del segno,
oppure, come fu scritto da Socrate e da Sozomeno, che i Goti, volendo
asportar fuori della città una quantità d'armi, le guardie delle porte
si opponessero, perlochè restarono uccisi: certo è che il popolo di
Costantinopoli si levò a rumore, e, dato di piglio all'armi, sbarrarono
le strade; e giacchè Arcadio nel dì 12 di luglio dichiarò nemico
pubblico Gaina[1215], tutti si diedero a mettere a fil di spada quanti
Goti s'incontravano. Gaina, non avendo potuto entrare, fu forzato a
ritirarsi. Il resto de' Goti, non tagliati a pezzi, e consistente in
sette mila persone, si rifugiò in una chiesa, e quivi si afforzò. Ma il
popolo, scopertone il tetto, e di là precipitando travi accesi contra di
loro, gli estinse tutti, ed insieme bruciò la chiesa: il che dai
Cristiani più pii, se crediamo a Zosimo, fu riputato fatto peccaminoso.
Con ciò rimase libera e quieta la città, ma non finirono le scene per
questo. Gaina da nemico aperto cominciò a far quanto male potè alla
Tracia, senza che alcuno uscisse di Costantinopoli per opporsegli, o per
trattare d'accordo: tanto facea paura ad ognuno il di lui umore
barbarico, il solo san Giovanni Grisostomo andò animosamente a
trovarlo[1216], e ne fu bene accolto contro l'espettazione d'ognuno. Ciò
ch'egli operasse, nol sappiamo, se non che Zosimo scrive aver Gaina dopo
la total desolazione di quelle campagne (giacchè non potea entrare nelle
città, tutte ben difese dagli abitanti) rivolto i passi verso il
Chersoneso, con disegno di passar lo stretto, e continuare i saccheggi
nell'Asia[1217]. Ma eletto generale della flotta imperiale _Fravita_,
Goto bensì di nazione e pagano, ma uomo di onore, ed applaudito per
molte cariche sostenute in addietro, andò per opporsi ai tentativi del
non mai stanco Gaina. Ed allorchè costui, dopo aver fatto
tumultuariamente fabbricar molte rozze navi da trasporto, si volle
arrischiare a valicar lo stretto, gli fu addosso Fravita colle sue navi
ben corredate, e gli diede una sì fiera percossa, aiutato anche dal
vento, che molte migliaia di Goti perirono in mare. Disperato per questa
gran perdita Gaina, voltò cammino con quella gente che gli restava, per
tornarsene nella Tracia; e perchè Fravita non volle azzardarsi a
perseguitarlo, gli fu fatto un reato per questo. Ma dovette saper ben
egli difendere sè stesso, e ce ne accorgeremo all'anno seguente, in cui
il vedremo alzato alla dignità di console. Fuggendo poi Gaina, se dee
valere l'asserzion di Socrate[1218] e di Sozomeno[1219], fu inseguito
dalle soldatesche romane, sconfitto ed ucciso. Ma Zosimo racconta
ch'egli arrivò a passare il Danubio con quei pochi Goti che potè
salvare, sperando di menare il resto di sua vita nel paese che era una
volta dei Goti. _Ulda_, o _Uldino_, re degli Unni, padrone allora di
quella contrada, non amando di avere in casa sua un sì pericoloso
arnese, gli si voltò contro, ed uccisolo, mandò poi per regalo la di lui
testa ad Arcadio. Dalla Cronica Alessandrina[1220] abbiamo che nel dì 3
di gennaio dell'anno seguente essa testa fu portata in trionfo per
Costantinopoli. Tal fine ebbe questa tragedia, e tal ricompensa la
strabocchevole ambizione di quel furfante di Gaina.
NOTE:
[1191] Claud., de laud. Stiliconis, et in IV Consul. Honor.
[1192] Thesaur. Novus Inscript., pag. 394.
[1193] Gothofred., Chron. Cod. Theodos.
[1194] L. 12, de Veter., Cod. Theodos.
[1195] Jordan., de Reb. Getic., c. 29.
[1196] Claud., de IV Consulatu Honor.
[1197] Orosius, lib. 7, c. 37.
[1198] Claud., de Bello Getico.
[1199] Prudentius, in Symmach.
[1200] Jordan., ut supra.
[1201] Prosper., in Chronico.
[1202] Paulin. Nolanus, Natal. VIII.
[1203] Zosim., lib. 5, cap. 23.
[1204] Chronicon Alexandrinum.
[1205] Socrates, lib. 6, c. 6.
[1206] Zos., lib. 5, cap. 18.
[1207] Sozom., lib. 8, cap. 4.
[1208] Chrysost., Tom. 5, Hom. LXXII.
[1209] Socrat., lib. 6, cap. 6.
[1210] Philostor., lib. 11, cap. 8.
[1211] Theod., lib. 5, cap. 32.
[1212] Socrat., Sozomenus, Philost., ut sup.
[1213] Zosim., lib. 5, cap. 18.
[1214] Zosimus, lib. 5, cap. 19.
[1215] Chronic. Alexandr. Marcellinus Comes, in Chron. Socrates, Sozom.
[1216] Theod., lib. 5, cap. 32.
[1217] Zosim., lib. 5, cap. 20 et seq.
[1218] Socrat., lib. 6, cap. 6.
[1219] Sozom., lib. 8, cap. 4.
[1220] Chronic. Alexandr.
Anno di CRISTO CDI. Indizione XIV.
INNOCENZO papa 1.
ARCADIO imperad. 19 e 7.
ONORIO imperad. 9 e 7.
_Consoli_
VINCENZO e FRAVITA.
Il primo, cioè _Vincenzo_, console occidentale, era stato in addietro
prefetto del pretorio delle Gallie, e si trova commendato assaissimo per
le sue virtù da Sulpicio Severo[1221], autore di questi tempi. _Fravita_
console orientale è quel medesimo che abbiamo veduto di sopra vittorioso
della flotta di Gaina, e che fedelmente seguitò a servire ad Arcadio
Augusto. Prefetto di Roma abbiamo per l'anno presente _Andromaco_. Ora
noi siam giunti al principio del secolo quinto dell'era cristiana,
secolo che ci somministra funeste rivoluzioni di cose, specialmente in
Italia, diverse troppo da quelle che fin qui abbiamo accennato.
Inclinava già alla vecchiaia il romano imperio, e, a guisa de' corpi
umani, avea, coll'andare degli anni contratte varie infermità, che
finalmente il condussero all'estrema miseria. Tanta vastità di dominio,
che si stendeva per tutta l'Italia, Gallia e Spagna, per i vasti paesi
dell'Illirico e della Grecia e Tracia, e per assaissime provincie
dell'Asia e per l'Egitto, e per tutte le coste dell'Africa bagnate dal
Mediterraneo, colla maggior parte ancora della gran Bretagna, tratto
immenso di terre, delle quali oggidì si formano tanti diversi regni e
principati: grandezza, dissi, di mole sì vasta s'era mirabilmente
sostenuta finora per le forze sì di terra che di mare, che stavano
pronte sempre alla difesa, e per la saggia condotta di alcuni valorosi
imperadori. Certamente, siccome s'è veduto, non mancarono già nei
precedenti anni guerre straniere di somma importanza, fiere irruzioni di
Barbari, e tiranni insorti nel cuore del medesimo imperio; ma il valore
de' Romani, la fedeltà dei popoli e la militar disciplina mantenuta
tuttavia in vigore, seppero dissipar cotante procelle, e conservare non
men le provincie che la dignità del romano imperio. Contuttociò fu
d'avviso Diocleziano che un sol capo a tanta estension di dominio bastar
non potesse; e però introdusse la pluralità degli Augusti e dei Cesari,
immaginando che queste diverse teste procedendo con unione d'animi (cosa
difficilissima fra gli ambiziosi mortali) avesse da tener più saldo e
difeso l'imperio, benchè diviso fra essi, volendo principalmente che le
leggi fatte da un imperadore portassero in fronte anche il nome degli
altri Augusti, affinchè un solo paresse il cuore e la mente di tutti nel
pubblico governo. Per questa ragione, secondo l'introdotto costume,
Teodosio il grande, per quanto ci ha mostrato la storia, con dividere
fra i suoi due figliuoli, cioè Arcadio ed Onorio Augusti la sua
monarchia, avea creduto di maggiormente assicurar la sussistenza di
questo gran colosso.
Ma per disavventura del pubblico, a riserva della bontà del cuore e dei
costumi, null'altro possedeano questi due principi di quel che si
richiede a chi dee reggere popoli; e in fatti erano essi nati per
lasciarsi governar da altri. Miravano poi cresciuti dappertutto gli
abusi; malcontenti i sudditi per le soverchie gravezze; sminuite le
milizie romane; le flotte trascurate. Il peggio nondimeno consisteva
nella baldanza de' popoli settentrionali, a soggiogare i quali non era
mai giunta la potenza romana. Costoro da gran tempo non ad altro più
pensavano che ad atterrar questa potenza. Nati sotto climi poco favoriti
dalla natura, e poveri ne' lor paesi, guatavano continuamente con occhio
invidioso le felici romane provincie, ed erano vogliosi di conquistarle,
non già per aggiugnerle alle antiche lor signorie, ma per passar dai lor
tugurii ad abitar nelle case agiate, e sotto il piacevol cielo de'
popoli meridionali. Questo bel disegno non potè loro riuscire nei tempi
addietro, perchè, ripulsati o sbaragliati, qui lasciarono la vita, o
furono costretti a ritornarsene alle lor gelate abitazioni. Il secolo,
in cui entriamo, quel fu in cui parve che si scatenasse tutto il
settentrione contra del romano imperio, con giugnere in fine a
smembrarlo, anzi ad annientarlo in Occidente. Si può ben credere che non
poco influisse in queste disavventure dell'imperio occidentale l'aver
Valente e Teodosio Augusti (così portando la necessità dei loro
interessi) lasciati annidar tanti Goti ed altre barbare nazioni nella
Tracia e in altre provincie dell'Illirico. Assaissimo nocque del pari
l'avere gl'imperadori da gran tempo in addietro cominciato a servirsi
ne' loro eserciti di truppe barbariche e di generali eziandio di quelle
nazioni. Perciocchè que' Barbari, adocchiata la fertilità e felicità di
queste provincie, ed impratichiti del paese e della forza o debolezza
de' regnanti, non lasciavano di animare la lor gente a cangiar cielo, e
a venire a stabilirsi in queste più fortunate contrade. Già abbiam
veduto in Italia _Alarico re de' Goti_ con _Radagaiso_, e con un potente
esercito, ma senza sapere s'egli per tutto quest'anno continuasse a
divorar le sostanze degli Italiani, o pur se fosse obbligato dalle armi
romane a retrocedere. Certa cosa è che Onorio Augusto pacificamente se
ne stette in Milano, dove si veggono pubblicate alcune leggi[1222]; e
quando non sia errore nella data d'una in Altino, città florida allora
della Venezia, par bene che i progressi di que' Barbari non dovessero
esser molti, e che anzi i medesimi se ne fossero tornati addietro.
Tra l'altre cose[1223] l'imperadore Onorio condonò ai popoli i debiti
ch'essi aveano coll'erario cesareo fino all'anno 386; sospese l'esazione
degli altri da esso anno 386 sino all'anno 395, ordinando solamente che
si pagassero senza dilazione i debiti contratti dopo esso anno 395.
Comandò ancora che si continuasse il risarcimento delle mura di Roma,
con aggiungervi delle nuove fortificazioni, perchè dei brutti nuvoli
erano per l'aria. Venne a morte nel dì 14 di dicembre, dell'anno
presente _Anastasio_ papa, che viene onorato col titolo di santo negli
antichi cataloghi[1224], dovendosi nondimeno osservare che tal
denominazione non significava già in que' tempi rigorosamente quello che
oggidì la Chiesa intende colla canonizzazione de' buoni servi di Dio,
fatta con tanti esami delle virtù e de' miracoli loro. Davasi allora il
titolo di santo anche ai vescovi viventi, come tuttavia ancora si dà ai
romani pontefici. E però noi troviamo appellati santi tutti i papi de'
primi secoli, così i vescovi di Milano, Ravenna, Aquileia, Verona, ec.,
ma senza che questo titolo sia una concludente pruova di tal santità,
che uguagli la decretata negli ultimi secoli in canonizzare i servi del
Signore. Secondo i conti del padre Pagi, a' quali mi attengo anch'io
senza voler entrare in disputa di sì fatta cronologia, nel dì 21 d'esso
mese fu creato papa _Innocenzo_, primo di questo nome. Nulladimeno s.
Prospero[1225] e Marcellino conte[1226] riferiscono all'anno seguente la
di lui elezione. Abbiamo dal medesimo Marcellino che nel dì 11 di aprile
Eudossia Augusta partorì in Costantinopoli ad Arcadio imperadore un
figlio maschio, a cui fu posto il nome di _Teodosio_, secondo di questo
nome. Socrate[1227] e l'autore della Cronica Alessandrina[1228] il
dicono nato nel dì 10 di esso mese: divario di poca conseguenza, e
probabilmente originato dall'essere egli venuto alla luce in tempo di
notte. V'ha ancora chi il pretende nato nel mese di gennaio. Incredibile
fu la gioia della corte e del popolo a Costantinopoli, e se ne spedì la
lieta nuova a tutte le città, con aggiugnervi grazie e con dispensar
danari. Pubblicò Arcadio una legge nel dì 19 di gennaio dell'anno
presente[1229], con cui proibì il dimandare al principe i beni
confiscati finchè non fossero passati due anni dopo il confisco, volendo
esso Augusto quel tempo per poter moderare la severità delle sentenze
emanate contra dei colpevoli, e rendere ad essi, se gliene veniva il
talento, ciò che il rigore della giustizia loro avea tolto. Buona calma
intanto si continuò a godere nell'imperio orientale.
NOTE:
[1221] Sulp. Sever., Dial. 1, cap. 27.
[1222] Gothofred., in Chronol. Cod. Theodos.
[1223] L. 3, de indulg. debit., Cod. Theodos.
[1224] Anastas. Bibliothec. Baronius, Papebroch. Pagius.
[1225] Prosper, in Chron.
[1226] Marcellin. Comes, in Chron.
[1227] Socrates, lib. 6, cap. 6.
[1228] Chron. Alexandr.
[1229] L. 17, de honor. proscr., Cod. Theodos.
Anno di CRISTO CDII. Indizione XV.
palazzo, dove tanto perorò, che Arcadio restò non solamente persuaso di
doversi permettere quell'asilo ad Eutropio, ma eziandio colle lagrime e
con vive ragioni studiò di ammollir lo sdegno dei soldati inviperiti
contra di lui[1184]. Pochi giorni nondimeno passarono che Eutropio
uscito di chiesa per fuggire, o trattone per forza, o ceduto con patto
che fosse salva la di lui vita, fu relegato nell'isola di Cipri, ed
ordinato che si levasse il suo nome dai Fasti consolari e dalle leggi,
si abbattessero le sue statue, e si abolisse ogni altra sua memoria.
Abbiamo una legge di Arcadio[1185], data nel dì 17 di gennaio dell'anno
presente, dove si legge la di lui condanna: il che fece credere al
Gotofredo[1186] e al padre Pagi[1187], che questa scena accadesse prima
di quel giorno in questo medesimo anno. Ma, siccome osservò il
Tillemont[1188], troppo forti ragioni abbiamo per giudicar fallata
quella data quanto al mese, specialmente perchè Eudossia avendo
partorita _Pulcheria_ nel dì 19 di gennaio, non avrebbe potuto
presentarla al marito Augusto, come vuol Filostorgio. Per conseguente
sembra più verisimile che la di lui caduta s'abbia da riferire ad alcuni
mesi dappoi, e forse dopo l'agosto. Non si sa quanto tempo durasse la
relegazione di Eutropio in Cipri. Abbiamo bensì da Zosimo[1189] e da
Filostorgio[1190], aver fatto tante istanze Gaina contra di lui, e
suscitati accusatori, che in fine fu ricondotto da Cipri a
Costantinopoli, e processato. Finalmente con uno di que' ripieghi che i
politici san trovare per non mantenere i giuramenti, cioè dicendo che la
promessa di salvargli la vita era solamente per Costantinopoli, il
mandarono a Calcedone, dove gli fu mozzato il capo. Ed ecco qual fu il
fine di un _Eutropio_ eunuco, e già schiavo di Arenteo, giunto dal più
basso e vile stato alla maggior grandezza, da un'estrema povertà ad
incredibili ricchezze e ad una straordinaria potenza. Di rado le gran
fortune, che non han la base sulla virtù, vanno esenti da somiglianti
gravi peripezie.
NOTE:
[1162] Claud., de Consul. Theod.
[1163] Philostorg., lib. 11, cap. 4.
[1164] Claud., in Eutrop., lib. 2.
[1165] Gothofred., in Chronol. Cod. Theodos.
[1166] L. 4, de itiner. munien. Cod. Theodos.
[1167] L. 26, omni amoto de Annona et Tribut. Cod. Theodos.
[1168] Vide lib. 16, tit. 10, Cod. Theod.
[1169] Idacius, in Fast.
[1170] Prosper Tiro, in Chron.
[1171] August., de Civit. Dei, lib. 8, cap. 33.
[1172] Baron., Annal. Eccl.
[1173] Pagius, Crit. Baron.
[1174] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[1175] Zosimus, lib. 5, cap. 13.
[1176] Socrat., lib. 6, cap. 6. Sozom., lib. 8, cap. 4.
[1177] Zosim., lib. 5, cap. 17.
[1178] Claud., in Eutrop.
[1179] Philostorg., lib. 5, cap. 8.
[1180] Zosim., lib. 5, cap. 17.
[1181] Chrysost., in Psalm. 44, et in Eutrop. Philostorg., lib. 11, cap.
8.
[1182] Marcellin. Comes, in Chronic. Chron. Alexandr.
[1183] Chrysost., Orat. in Eutrop. et in Psalm. 44. Zosimus, lib. 5,
cap. 18. Sozomenus, Claudian.
[1184] Chrysost. Zosimus. Suidas, in Lexico.
[1185] L. 12, de Poenis, Cod. Theodos.
[1186] Gothofred., Chronol. Cod. Theodos.
[1187] Pagius, Crit. Baron.
[1188] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[1189] Zosimus, lib. 5, cap. 18.
[1190] Philost., lib. 11, cap. 6.
Anno di CRISTO CD. Indizione XIII.
ANASTASIO papa 3.
ARCADIO imperadore 18 e 6.
ONORIO imperadore 8 e 6.
_Consoli_
FLAVIO STILICONE ed AURELIANO.
Chi fosse _Stilicone_ console occidentale[1191], non ha bisogno il
lettore ch'io gliel ricordi. Quanto ad _Aureliano_ console orientale,
egli era prefetto del pretorio d'Oriente nell'anno precedente. Ho io
altrove[1192] rapportata una iscrizione posta a _Lucio Mario Massimo
Perpetuo Aureliano console_, immaginando che potesse parlarsi quivi di
questo Aureliano. Meglio esaminandola ora, ritrovo che non può convenire
a lui, essendo iscrizione spettante a Roma pagana, senza nondimeno
sapere qual altro sito le si possa assegnare ne' Fasti consolari.
Veggasi nulladimeno all'anno 223. Continuò _Flaviano_ ad esercitar la
prefettura di Roma. Poche leggi[1193] di Arcadio Augusto si trovano
sotto quest'anno, perchè egli ebbe altro da pensare in casa sua, siccome
fra poco diremo: molte sì di Onorio imperadore, date le più in Milano, e
l'altre in Ravenna, Altino, Brescia ed Aquileia, ma non senza qualche
errore e confusione. Aspra è ben quella[1194] emanata nel dì 30 di
gennaio, in cui ordina che sieno arrolati nella milizia i Leti, Gentili,
Alamanni e Sarmati, ed altri non avanzati in età, non troppo piccioli,
non infermi, e i figliuoli de' veterani e i licenziati dalla milizia
prima del tempo, e i passati dalla milizia al clero e all'impiego di
seppellire i morti, pretendendo che questi non per motivo di religione,
ma per poltroneria abbiano abbandonate l'armi. La ragione di questo
rigoroso ordine ce la somministra la storia[1195]. Abbiam fatta qualche
menzione di sopra di _Alarico_, principe fra le nazioni dei Goti, non
della famiglia Amala, ch'era la più nobile di tutte, ma di quella de'
Balti (nome in lor lingua significante ardito), e nato verso le bocche
del Danubio. Non era già costui pagano, come cel rappresenta il pagano
poeta Claudiano[1196], perchè, per attestato di Orosio[1197] e di
sant'Agostino, egli professava la religion cristiana, ma contaminata dal
fermento ariano, come la maggior parte de' Goti praticava da molti anni
addietro. Uomo feroce, e del mestier della guerra intendentissimo, il
quale pieno di spiriti ambiziosi, anche molti anni prima di venir a
gastigare i peccati dei Romani, si vantava che nulla egli crederebbe mai
di aver fatto o vinto, se non prendeva la stessa città di Roma. Ciò si
raccoglie da un poema di Claudiano[1198], composto molto prima ch'egli
eseguisse questo suo disegno; e lo attesta anche Prudenzio[1199],
parendo eziandio ch'egli tenesse d'esserne stato accertato da qualche
oracolo. Nell'anno 396, siccome dicemmo, Arcadio per quetare i Goti che
aveano fatta una terribile irruzione nella Grecia sotto il comando di
esso Alarico, lo avea creato generale delle milizie nell'Illirico
orientale; ed egli perciò abitava in quelle parti, cioè o nella Dacia, o
nella Mesia inferiore, o pur nella Grecia e Macedonia. Giordano
istorico[1200] pretende che rincrescendo a que' Goti, chiamati dipoi
Visigoti, che sparsi per la Tracia e per l'Illirico dipendevano dallo
stesso Alarico, di starsene oziosi, ed apprendendo per cosa pericolosa
alla lor nazione lo impoltronirsi, crearono circa questi tempi per loro
re il medesimo _Alarico_. Il disegno d'essi era di conquistar qualche
regno, perchè loro parea una disgrazia lo starsene ne' paesi altrui mal
veduti, e con pochissime comodità, quasi servi de' Romani. Chiaramente
scrivono san Prospero[1201] e il suddetto Giordano, che nel consolato di
Stilicone e di Aureliano i Goti sotto il comando di _Alarico_ e di
_Radagaiso_ entrarono nell'Italia. Che mali facessero (e certamente far
ne dovettero) in queste parti, la storia nol dice. Abbiamo dal Natale
VIII recitato da san Paolino vescovo di Nola[1202] nel gennaio dell'anno
seguente, che gran rumore faceva in Italia la guerra dei Goti, e che
n'era sbigottito ognuno. Credesi ancora che dessero il guasto al
territorio di Aquileia, e non apparisce che o spontaneamente o per forza
ritornassero per ora indietro. Non sussiste già il dirsi dal suddetto
Giordano che in questa prima visita i Goti andarono ad assediar Ravenna,
dove s'era ritirato l'imperadore Onorio; perchè siamo assicurati dalle
leggi del Codice Teodosiano, che Onorio nel verno venturo e per tutto
l'anno seguente si fermò in Milano.
Neppure ad Arcadio Augusto mancarono guai in Oriente durante questo
anno. Pareva che dopo essere rimasta libera la di lui corte da quel mal
arnese d'Eutropio, avessero da prendere miglior piega gli affari: ma si
trattava di un imperadore buono da nulla, e intanto la caduta di
Eutropio servì all'_imperadrice Eudossia_, tenuta bassa fin qui dal
prepotente eunuco per innalzarsi, e sotto l'ombra di aiutar nel governo
l'imbrogliato consorte[1203], per tirare a sè quasi tutta l'autorità del
comando. Donna superba e stizzosa; donna che voleva partire coi ministri
ed uffiziali iniqui il profitta delle loro ingiustizie; donna infine che
sapea dominar sopra il marito, ma ch'era anch'essa dominata da una man
di dame e da una frotta d'eunuchi, che gareggiavano insieme a chi potea
far peggio per arricchirsi, con vendere le grazie, con usurpare i beni
altrui, e commettere tali iniquità, che le mormorazioni e i pubblici
lamenti erano divenuti uno sfogo incessante de' popoli afflitti. Per
attestato della Cronica Alessandrina[1204], solamente nel dì 9 di
gennaio dell'anno presente a lei fu dato dal marito il titolo di
_Augusta_. Ed essa poi nel dì 3 di aprile partorì la terza figliuola, a
cui fu posto il nome di _Arcadia_. Da una lettera di Onorio Augusto si
ricava che questa ambiziosa donna mandò la sua immagine per le
provincie, come soleano fare i novelli Augusti: del che si dolse esso
Onorio, come di una novità che avea dato da mormorare a tutti. A questi
mali provenienti dalla debolezza del regnante se ne aggiunsero de' più
strepitosi per la perfidia di _Gaina_, che eletto generale dell'armi
romane, per difesa del romano imperio, altro non facea che segretamente
macchinarne la rovina, conservando nel medesimo tempo le apparenze della
fedeltà e zelo nel pubblico bene, e pensando che non si accorgesse la
corte delle sue intenzioni e furberie. Pertanto egli maneggiò un
accomodamento fra Tribigildo ed Arcadio: il che fatto, sì l'uno che
l'altro colle loro armate s'inviarono alla volta di Costantinopoli,
saccheggiando d'accordo il paese per dove passavano. Tribigildo voltò a
sinistra, andando a Lampsaco nell'Ellesponto, e Gaina a dirittura passò
a Calcedone in faccia di Costantinopoli, dove cominciò a scoprire i suoi
perversi disegni. Per li movimenti di questi due barbari uffiziali si
trovava in un gran labirinto Arcadio e il suo consiglio, perchè
scorgevano il mal animo di Gaina, ed armata non v'era da potergli
opporre. Spedì esso Augusto persone per dimandare a Gaina che pensieri
erano i suoi[1205]. Rispose costui di voler nelle mani i tre principali
ministri della corte, cioè _Aureliano_ console di quest'anno,
_Saturnino_ stato console nell'anno 383, e _Giovanni_ segretario il più
confidente che si avesse Arcadio. Ci fa qui intendere il maligno
Zosimo[1206] che dovea passare anche gran confidenza fra questo Giovanni
e l'imperadrice Eudossia, perchè i più credeano che egli, e non già
Arcadio, fosse padre di Teodosio II, principe che vedremo venire alla
luce nell'anno seguente. Secondo Socrate, Gaina dimandò per ostaggi i
suddetti ministri, mostrando probabilmente di non fidarsi
dell'imperadore. Ma Zosimo con più ragione pretende che li volle per
farli morire, perchè dovea loro attribuire i disordini presenti, o i
mali uffizii fatti contra di lui. Tale era lo spavento di quel consiglio
d'Arcadio, che s'indusse a sagrificare quegli onorati personaggi alla
brutalità di Gaina; ed essi generosamente si esposero ad ogni rischio
per la salute pubblica. Vuol Zosimo che la consegna di questi ministri
si facesse dappoichè seguì l'abbocamento di Arcadio con Gaina. Socrate e
Sozomeno[1207] la mettono prima. Certo è che san Giovanni
Grisostomo[1208], siccome apparisce da una sua omilia, fece quanto potè
per salvare almeno la vita a così illustri ministri; e in fatti Gaina
volle ben che provassero l'orror della morte con farli condurre al
patibolo; ma mentre il carnefice avea alzato il braccio per troncar loro
il capo, fu fermato da un ordine d'esso Gaina, il quale si contentò di
mandarli in esilio nell'Epiro; ma questi nel viaggio o per danari, o per
altra loro industria, ebbero la sorte di fuggire, e di comparir poi a
Costantinopoli contro l'espettazione d'ognuno.
O prima o dopo di questo tragico avvenimento, il tiranno Gaina più che
mai insolentendo, fece istanza che Arcadio Augusto, se gli premeva
d'aver pace, passasse a Calcedone per trattarne a bocca con lui. D'uopo
fu il povero imperadore inghiottisse ancora questo boccone e andasse a
trovarlo. Nell'insigne chiesa di Santa Eufemia presso a quella città si
abboccarono insieme, e vicendevolmente giurata buona amicizia tra loro,
si convenne che Gaina deporrebbe l'armi, e tanto egli che Tribigildo
andrebbono a Costantinopoli. Secondo Socrate[1209], allora fu, e non
prima come dicemmo di sopra, che Gaina fu dichiarato generale della
fanteria e cavalleria romana, oltre al comando suo sopra un gran corpo
de' Goti a lui ubbidienti. Di Tribigildo altro di più non sappiamo, se
non per relazion di Filostorgio[1210] ch'egli passato nella Tracia da lì
a poco tempo perì. Quanto a Gaina non ebbe difficoltà di passare a
Costantinopoli, orgoglioso per aver data la legge al regnante, ed ivi
colla medesima altura pretese che si desse una chiesa ai suoi Goti
ariani[1211]; ma l'arcivescovo san Giovanni, imitando la costanza di
santo Ambrosio, talmente gli fece fronte, che restarono vani tutti i di
lui sforzi. Pare che tutti questi sconcerti succedessero nel mese di
maggio. Ma poco durò la pace fatta con chi era di cuor doppio, e non
istudiava se non cabale ed inganni. Perchè in Modena il nome di _Gaino_
è in uso per dinotare i furbi ed ingannatori sotto la parola, ho io
talvolta sospettato che da quel furfante Goto fosse proceduto questo
titolo; ma sempre mi è paruto più probabile ch'esso venga da Gano,
famoso ne' romanzi per le sue ribalderie, e finto ai tempi di Carlo
Magno. Ora il malvagio Gaina generale dell'armi andò a poco a poco
empiendo la città di Costantinopoli de' suoi Goti, e mandando fuori
quanti più potè di soldati romani, ed anche delle guardie del palazzo
sotto varii pretesti[1212]. Era il suo disegno di mettere a sacco in una
notte le botteghe degli orefici oppur dei banchieri, e di attaccare il
fuoco al palazzo imperiale. Zosimo[1213] scrive ch'egli mirava ad
impadronirsi della città e ad usurpare il trono. Se ne avvidero quegli
artisti, e stettero ben in guardia. Per conto del palazzo, andarono
bensì per più notti i suoi satelliti per incendiarlo; ma sempre vi
trovarono una buona guardia di soldati, benchè non ve ne dovesse essere,
con aver poi tenuto per fermo il popolo che quei fossero soldati fatti
comparire da Dio per difesa del piissimo imperadore Arcadio. Se ne volle
chiarire lo stesso Gaina, e trovò che tale era la verità, con
immaginarsi poi che Arcadio avesse fatto venire segretamente delle
milizie per valersene contra di lui, le quali stessero durante il giorno
nascose.
Fu cagion l'apprensione conceputa per questo fatto, che il misleale
Gaina si ritirasse fuori di Costantinopoli nel dì 10 di luglio,
allegando qualche indisposizione di corpo e bisogno di riposo, con
fermarsi circa sette miglia lungi dalla città. Aveva egli lasciato in
Costantinopoli la maggior parte de' suoi Goti con ordine di prender
l'armi contra de' cittadini a un determinato tempo, di cui
preventivamente doveano dare a lui un segnale, affin di accorrere
anch'egli con altra gente a rinforzarli. Ma o sia, come vuol
Zosimo[1214], ch'egli scoprisse il disegno col venire prima del segno,
oppure, come fu scritto da Socrate e da Sozomeno, che i Goti, volendo
asportar fuori della città una quantità d'armi, le guardie delle porte
si opponessero, perlochè restarono uccisi: certo è che il popolo di
Costantinopoli si levò a rumore, e, dato di piglio all'armi, sbarrarono
le strade; e giacchè Arcadio nel dì 12 di luglio dichiarò nemico
pubblico Gaina[1215], tutti si diedero a mettere a fil di spada quanti
Goti s'incontravano. Gaina, non avendo potuto entrare, fu forzato a
ritirarsi. Il resto de' Goti, non tagliati a pezzi, e consistente in
sette mila persone, si rifugiò in una chiesa, e quivi si afforzò. Ma il
popolo, scopertone il tetto, e di là precipitando travi accesi contra di
loro, gli estinse tutti, ed insieme bruciò la chiesa: il che dai
Cristiani più pii, se crediamo a Zosimo, fu riputato fatto peccaminoso.
Con ciò rimase libera e quieta la città, ma non finirono le scene per
questo. Gaina da nemico aperto cominciò a far quanto male potè alla
Tracia, senza che alcuno uscisse di Costantinopoli per opporsegli, o per
trattare d'accordo: tanto facea paura ad ognuno il di lui umore
barbarico, il solo san Giovanni Grisostomo andò animosamente a
trovarlo[1216], e ne fu bene accolto contro l'espettazione d'ognuno. Ciò
ch'egli operasse, nol sappiamo, se non che Zosimo scrive aver Gaina dopo
la total desolazione di quelle campagne (giacchè non potea entrare nelle
città, tutte ben difese dagli abitanti) rivolto i passi verso il
Chersoneso, con disegno di passar lo stretto, e continuare i saccheggi
nell'Asia[1217]. Ma eletto generale della flotta imperiale _Fravita_,
Goto bensì di nazione e pagano, ma uomo di onore, ed applaudito per
molte cariche sostenute in addietro, andò per opporsi ai tentativi del
non mai stanco Gaina. Ed allorchè costui, dopo aver fatto
tumultuariamente fabbricar molte rozze navi da trasporto, si volle
arrischiare a valicar lo stretto, gli fu addosso Fravita colle sue navi
ben corredate, e gli diede una sì fiera percossa, aiutato anche dal
vento, che molte migliaia di Goti perirono in mare. Disperato per questa
gran perdita Gaina, voltò cammino con quella gente che gli restava, per
tornarsene nella Tracia; e perchè Fravita non volle azzardarsi a
perseguitarlo, gli fu fatto un reato per questo. Ma dovette saper ben
egli difendere sè stesso, e ce ne accorgeremo all'anno seguente, in cui
il vedremo alzato alla dignità di console. Fuggendo poi Gaina, se dee
valere l'asserzion di Socrate[1218] e di Sozomeno[1219], fu inseguito
dalle soldatesche romane, sconfitto ed ucciso. Ma Zosimo racconta
ch'egli arrivò a passare il Danubio con quei pochi Goti che potè
salvare, sperando di menare il resto di sua vita nel paese che era una
volta dei Goti. _Ulda_, o _Uldino_, re degli Unni, padrone allora di
quella contrada, non amando di avere in casa sua un sì pericoloso
arnese, gli si voltò contro, ed uccisolo, mandò poi per regalo la di lui
testa ad Arcadio. Dalla Cronica Alessandrina[1220] abbiamo che nel dì 3
di gennaio dell'anno seguente essa testa fu portata in trionfo per
Costantinopoli. Tal fine ebbe questa tragedia, e tal ricompensa la
strabocchevole ambizione di quel furfante di Gaina.
NOTE:
[1191] Claud., de laud. Stiliconis, et in IV Consul. Honor.
[1192] Thesaur. Novus Inscript., pag. 394.
[1193] Gothofred., Chron. Cod. Theodos.
[1194] L. 12, de Veter., Cod. Theodos.
[1195] Jordan., de Reb. Getic., c. 29.
[1196] Claud., de IV Consulatu Honor.
[1197] Orosius, lib. 7, c. 37.
[1198] Claud., de Bello Getico.
[1199] Prudentius, in Symmach.
[1200] Jordan., ut supra.
[1201] Prosper., in Chronico.
[1202] Paulin. Nolanus, Natal. VIII.
[1203] Zosim., lib. 5, cap. 23.
[1204] Chronicon Alexandrinum.
[1205] Socrates, lib. 6, c. 6.
[1206] Zos., lib. 5, cap. 18.
[1207] Sozom., lib. 8, cap. 4.
[1208] Chrysost., Tom. 5, Hom. LXXII.
[1209] Socrat., lib. 6, cap. 6.
[1210] Philostor., lib. 11, cap. 8.
[1211] Theod., lib. 5, cap. 32.
[1212] Socrat., Sozomenus, Philost., ut sup.
[1213] Zosim., lib. 5, cap. 18.
[1214] Zosimus, lib. 5, cap. 19.
[1215] Chronic. Alexandr. Marcellinus Comes, in Chron. Socrates, Sozom.
[1216] Theod., lib. 5, cap. 32.
[1217] Zosim., lib. 5, cap. 20 et seq.
[1218] Socrat., lib. 6, cap. 6.
[1219] Sozom., lib. 8, cap. 4.
[1220] Chronic. Alexandr.
Anno di CRISTO CDI. Indizione XIV.
INNOCENZO papa 1.
ARCADIO imperad. 19 e 7.
ONORIO imperad. 9 e 7.
_Consoli_
VINCENZO e FRAVITA.
Il primo, cioè _Vincenzo_, console occidentale, era stato in addietro
prefetto del pretorio delle Gallie, e si trova commendato assaissimo per
le sue virtù da Sulpicio Severo[1221], autore di questi tempi. _Fravita_
console orientale è quel medesimo che abbiamo veduto di sopra vittorioso
della flotta di Gaina, e che fedelmente seguitò a servire ad Arcadio
Augusto. Prefetto di Roma abbiamo per l'anno presente _Andromaco_. Ora
noi siam giunti al principio del secolo quinto dell'era cristiana,
secolo che ci somministra funeste rivoluzioni di cose, specialmente in
Italia, diverse troppo da quelle che fin qui abbiamo accennato.
Inclinava già alla vecchiaia il romano imperio, e, a guisa de' corpi
umani, avea, coll'andare degli anni contratte varie infermità, che
finalmente il condussero all'estrema miseria. Tanta vastità di dominio,
che si stendeva per tutta l'Italia, Gallia e Spagna, per i vasti paesi
dell'Illirico e della Grecia e Tracia, e per assaissime provincie
dell'Asia e per l'Egitto, e per tutte le coste dell'Africa bagnate dal
Mediterraneo, colla maggior parte ancora della gran Bretagna, tratto
immenso di terre, delle quali oggidì si formano tanti diversi regni e
principati: grandezza, dissi, di mole sì vasta s'era mirabilmente
sostenuta finora per le forze sì di terra che di mare, che stavano
pronte sempre alla difesa, e per la saggia condotta di alcuni valorosi
imperadori. Certamente, siccome s'è veduto, non mancarono già nei
precedenti anni guerre straniere di somma importanza, fiere irruzioni di
Barbari, e tiranni insorti nel cuore del medesimo imperio; ma il valore
de' Romani, la fedeltà dei popoli e la militar disciplina mantenuta
tuttavia in vigore, seppero dissipar cotante procelle, e conservare non
men le provincie che la dignità del romano imperio. Contuttociò fu
d'avviso Diocleziano che un sol capo a tanta estension di dominio bastar
non potesse; e però introdusse la pluralità degli Augusti e dei Cesari,
immaginando che queste diverse teste procedendo con unione d'animi (cosa
difficilissima fra gli ambiziosi mortali) avesse da tener più saldo e
difeso l'imperio, benchè diviso fra essi, volendo principalmente che le
leggi fatte da un imperadore portassero in fronte anche il nome degli
altri Augusti, affinchè un solo paresse il cuore e la mente di tutti nel
pubblico governo. Per questa ragione, secondo l'introdotto costume,
Teodosio il grande, per quanto ci ha mostrato la storia, con dividere
fra i suoi due figliuoli, cioè Arcadio ed Onorio Augusti la sua
monarchia, avea creduto di maggiormente assicurar la sussistenza di
questo gran colosso.
Ma per disavventura del pubblico, a riserva della bontà del cuore e dei
costumi, null'altro possedeano questi due principi di quel che si
richiede a chi dee reggere popoli; e in fatti erano essi nati per
lasciarsi governar da altri. Miravano poi cresciuti dappertutto gli
abusi; malcontenti i sudditi per le soverchie gravezze; sminuite le
milizie romane; le flotte trascurate. Il peggio nondimeno consisteva
nella baldanza de' popoli settentrionali, a soggiogare i quali non era
mai giunta la potenza romana. Costoro da gran tempo non ad altro più
pensavano che ad atterrar questa potenza. Nati sotto climi poco favoriti
dalla natura, e poveri ne' lor paesi, guatavano continuamente con occhio
invidioso le felici romane provincie, ed erano vogliosi di conquistarle,
non già per aggiugnerle alle antiche lor signorie, ma per passar dai lor
tugurii ad abitar nelle case agiate, e sotto il piacevol cielo de'
popoli meridionali. Questo bel disegno non potè loro riuscire nei tempi
addietro, perchè, ripulsati o sbaragliati, qui lasciarono la vita, o
furono costretti a ritornarsene alle lor gelate abitazioni. Il secolo,
in cui entriamo, quel fu in cui parve che si scatenasse tutto il
settentrione contra del romano imperio, con giugnere in fine a
smembrarlo, anzi ad annientarlo in Occidente. Si può ben credere che non
poco influisse in queste disavventure dell'imperio occidentale l'aver
Valente e Teodosio Augusti (così portando la necessità dei loro
interessi) lasciati annidar tanti Goti ed altre barbare nazioni nella
Tracia e in altre provincie dell'Illirico. Assaissimo nocque del pari
l'avere gl'imperadori da gran tempo in addietro cominciato a servirsi
ne' loro eserciti di truppe barbariche e di generali eziandio di quelle
nazioni. Perciocchè que' Barbari, adocchiata la fertilità e felicità di
queste provincie, ed impratichiti del paese e della forza o debolezza
de' regnanti, non lasciavano di animare la lor gente a cangiar cielo, e
a venire a stabilirsi in queste più fortunate contrade. Già abbiam
veduto in Italia _Alarico re de' Goti_ con _Radagaiso_, e con un potente
esercito, ma senza sapere s'egli per tutto quest'anno continuasse a
divorar le sostanze degli Italiani, o pur se fosse obbligato dalle armi
romane a retrocedere. Certa cosa è che Onorio Augusto pacificamente se
ne stette in Milano, dove si veggono pubblicate alcune leggi[1222]; e
quando non sia errore nella data d'una in Altino, città florida allora
della Venezia, par bene che i progressi di que' Barbari non dovessero
esser molti, e che anzi i medesimi se ne fossero tornati addietro.
Tra l'altre cose[1223] l'imperadore Onorio condonò ai popoli i debiti
ch'essi aveano coll'erario cesareo fino all'anno 386; sospese l'esazione
degli altri da esso anno 386 sino all'anno 395, ordinando solamente che
si pagassero senza dilazione i debiti contratti dopo esso anno 395.
Comandò ancora che si continuasse il risarcimento delle mura di Roma,
con aggiungervi delle nuove fortificazioni, perchè dei brutti nuvoli
erano per l'aria. Venne a morte nel dì 14 di dicembre, dell'anno
presente _Anastasio_ papa, che viene onorato col titolo di santo negli
antichi cataloghi[1224], dovendosi nondimeno osservare che tal
denominazione non significava già in que' tempi rigorosamente quello che
oggidì la Chiesa intende colla canonizzazione de' buoni servi di Dio,
fatta con tanti esami delle virtù e de' miracoli loro. Davasi allora il
titolo di santo anche ai vescovi viventi, come tuttavia ancora si dà ai
romani pontefici. E però noi troviamo appellati santi tutti i papi de'
primi secoli, così i vescovi di Milano, Ravenna, Aquileia, Verona, ec.,
ma senza che questo titolo sia una concludente pruova di tal santità,
che uguagli la decretata negli ultimi secoli in canonizzare i servi del
Signore. Secondo i conti del padre Pagi, a' quali mi attengo anch'io
senza voler entrare in disputa di sì fatta cronologia, nel dì 21 d'esso
mese fu creato papa _Innocenzo_, primo di questo nome. Nulladimeno s.
Prospero[1225] e Marcellino conte[1226] riferiscono all'anno seguente la
di lui elezione. Abbiamo dal medesimo Marcellino che nel dì 11 di aprile
Eudossia Augusta partorì in Costantinopoli ad Arcadio imperadore un
figlio maschio, a cui fu posto il nome di _Teodosio_, secondo di questo
nome. Socrate[1227] e l'autore della Cronica Alessandrina[1228] il
dicono nato nel dì 10 di esso mese: divario di poca conseguenza, e
probabilmente originato dall'essere egli venuto alla luce in tempo di
notte. V'ha ancora chi il pretende nato nel mese di gennaio. Incredibile
fu la gioia della corte e del popolo a Costantinopoli, e se ne spedì la
lieta nuova a tutte le città, con aggiugnervi grazie e con dispensar
danari. Pubblicò Arcadio una legge nel dì 19 di gennaio dell'anno
presente[1229], con cui proibì il dimandare al principe i beni
confiscati finchè non fossero passati due anni dopo il confisco, volendo
esso Augusto quel tempo per poter moderare la severità delle sentenze
emanate contra dei colpevoli, e rendere ad essi, se gliene veniva il
talento, ciò che il rigore della giustizia loro avea tolto. Buona calma
intanto si continuò a godere nell'imperio orientale.
NOTE:
[1221] Sulp. Sever., Dial. 1, cap. 27.
[1222] Gothofred., in Chronol. Cod. Theodos.
[1223] L. 3, de indulg. debit., Cod. Theodos.
[1224] Anastas. Bibliothec. Baronius, Papebroch. Pagius.
[1225] Prosper, in Chron.
[1226] Marcellin. Comes, in Chron.
[1227] Socrates, lib. 6, cap. 6.
[1228] Chron. Alexandr.
[1229] L. 17, de honor. proscr., Cod. Theodos.
Anno di CRISTO CDII. Indizione XV.
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