Annali d'Italia, vol. 2 - 17

confronto dell'autorità di sant'Ambrosio meritano fede Socrate[844] e
Sozomeno[845], là dove scrivono che Andragazio arrivato a Lione, ed
entrato in una lettiga, fece credere a Graziano ch'egli conduceva seco
l'_imperadrice Leta_; e però essendo andato ad incontrarla Graziano,
Andragazio, saltato fuori da essa lettiga, il fece prendere e da lì a
poco gli diede la morte.
Il giorno, in cui accadde questa tragedia, fu il 25 di agosto, come
abbiamo da Marcellino conte[846]: o pur di luglio, come taluno ha
creduto; nel qual tempo l'infelice Augusto era giunto all'età di
venticinque anni. Aveva egli sposata in prime nozze _Costanza_ figliuola
postuma di Costanzo Augusto. Pare che si ricavi da s. Ambrosio[847],
ch'essa gli partorisse qualche figliuolo; ma per testimonianza di
Teodoreto, se pur ne ebbe, niun di essi era vivente alla di lui morte.
Perchè mancò di vita questa principessa, si rimaritò Graziano non molto
prima di queste sciagure con _Leta_, alla qual poi, rimasta vedova,
siccome ancora a _Passamena_ di lei madre, fece Teodosio un assegno
decoroso per vivere da pari loro. Zosimo[848] parla delle copiose lor
limosine ai poveri di Roma, allorchè Alarico nell'anno di Cristo 408
tenne assediata quella città. Abbiamo anche dal medesimo storico[849],
che avendo esso Graziano sul principio del suo governo ricusato il
titolo e la veste di pontefice massimo, portatagli dai pagani, uno dei
loro sacerdoti disse: _Se il principe non vuol esser chiamato pontefice,
in breve egli sarà fatto pontefice massimo_; alludendo forse alla sua
morte, accaduta sul ponte di Lione, siccome accennai. Ma questo sarà un
motto arguto, inventato solamente e nato dopo il fatto per accreditar la
superstizion gentilesca; e Zosimo poi è un Etnico che ciò scrive. Che
dolore provasse per la morte di questo amabil principe cristiano il
santo arcivescovo di Milano Ambrosio, suo grande amico e confidente, non
si può abbastanza esprimere. In più luoghi delle sue opere tocca egli
con tenerezza questo punto; andò anche per le istanze di Valentiniano
II, imperatore[850], a trovar Massimo, affin di ottenere le ceneri
dell'ucciso Augusto. Intanto Massimo si protestava sempre innocente
della morte di lui, e diceva di non aver dato l'ordine di sua morte,
mostrando di piangere quando udiva rammentare il di lui nome. Ma qual
fosse la di lui sincerità, diedelo ben a divedere, perchè a
sant'Ambrosio negò le di lui ceneri, per paura, diceva egli, che quella
traslazione non rinnovasse il dolore dei soldati. Della bontà fors'anche
eccessiva di esso principe esaltata da Rufino nella sua storia[851], e
di altri suoi bei pregi mentovati da sant'Ambrogio, io non parlerò di
vantaggio. Ma non si dee già tacere che dopo la di lui morte non mancò
gente, la quale lacerò la memoria di questo buon principe, con
imputargli infino dei reati contro la virtù della pudicizia, quando noi
siamo assicurati da esso sant'Ambrosio, esser egli stato puro non men di
animo che di corpo, nè aver mai conosciuta altra donna che le congiunte
con lui in matrimonio. Peggio, per testimonianza di Fozio, parlò di lui
Filostorgio[852], spacciando varie calunnie, e massimamente col
paragonarlo a Nerone. Ma non è da maravigliarsi, se questo scrittore
ariano, o sia eunomiano sparli di un imperadore che con tanto zelo
professava il cattolicismo, e tenne in freno, per quanto potè,
l'arianismo. Se in questi tempi, o pure più tardi, Massimo obbligasse
_Merobaude_ console ad uccidersi e facesse strangolare il conte
_Balione_, amendue perchè stati fedeli a Graziano, nol saprei dire.
Certo è che Pacato[853] lasciò memoria della lor morte; Ambrosio[854]
fece un rimprovero a Massimo, per aver privato di vita esso Balione. Noi
troviamo nell'anno 384[855] un Merobaude duca di Egitto: forse fu
figliuolo del console suddetto. Una iscrizione recata dal Fabretti[856],
che ci fa veder Merobaude _console per la terza volta_ con Teodosio
Augusto nell'anno 388, non sembra che possa mai sussistere, perchè con
esso Augusto fu console allora _Cinegio_.
La morte di Graziano Augusto quella fu che maggiormente facilitò a
Massimo tiranno il tirar tutte le Gallie alla sua divozione. Già vedemmo
che le provincie della Bretagna gli prestavano ubbidienza. Perchè le
Spagne usavano di riconoscere per lor signore chi dominava nelle Gallie,
però anch'esse vennero in potere di Massimo. Verisimilmente non differì
egli di crear _Cesare_, e poi _Augusto_, _Flavio Vittore_ suo figliuolo,
di cui si veggono iscrizioni e medaglie. Abitava da molto tempo in
Milano _Valentiniano II_ Augusto, fratello minore di Graziano, di età in
questi tempi di dodici in tredici anni. Siccome in addietro egli era
stato incapace di governo, così Graziano aveva anche regolati gli affari
dell'Italia; e perchè nè pur ora si stendevano le sue forze a poter
reggere popoli, l'_imperadrice Giustina_ sua madre prese in parte le
redini, dappoichè s'intese la peripezia di Graziano; e Teodosio Augusto
dipoi ebbe anch'egli[857] qualche mano nel governo degli Stati
dipendenti da esso Valentiniano. Restò sulle prime così sbalordita
Giustina per gl'incredibili e rapidi progressi di Massimo, che paventò
di perdere anche l'Italia. Avvegnachè si fosse scoperta ariana di
credenza, e per conseguente nemica del cattolico arcivescovo
sant'Ambrosio, pure conoscendo quanto in sì pericoloso stato di cose
potesse giovare a lei e al figliuolo l'autorità, il credito e la
prudenza di questo insigne prelato, fattolo chiamare, gli mise in mano
il giovanetto principe, e ardentemente gliel raccomandò. Ambrosio il
ricevette, ed abbracciò. Quindi si diedero a consultare i mezzi per
frenare quel minaccioso torrente. Il primo passo fu quello d'implorare i
soccorsi dell'imperadore Teodosio, il quale, per attestato di
Pacato[858], avea guerra, e riportava delle vittorie nell'estremità
dell'Oriente, senza che si sappia contra di chi, se per avventura non
furono i Saraceni, che lo stesso panegirista dice vinti da lui. Non
mancò Teodosio, secondo l'asserzion di Temistio[859], di far subito un
gran preparamento, per vendicar la morte di Graziano, e salvare
dagl'insulti del tiranno il pupillo Augusto Valentiniano. Anche in
Italia si dovettero allestir quante milizie si potè. Alla seguente
primavera, essendo troppo inoltrata la stagione di quest'anno, Teodosio
era per muoversi. Non so io dire, se questo armamento quel fosse che
fece desistere Massimo dal procedere innanzi contra del giovane
Valentiniano, e in vece di guerra promuovere proposizioni di pace; o
pure se _Probo_, prefetto del pretorio, già fuggito dalle Gallie, e
divenuto primo ministro della corte di Valentiniano, e sant'Ambrosio, e
gli altri consiglieri di esso imperadore, trovandosi senza forze,
giudicassero meglio di ricorrer essi ai maneggi di pace. Temistio[860]
fu di parere che l'apprensione dell'armi di Teodosio portasse Massimo ad
anteporre la pace alla guerra; e Rufino[861] anch'egli attesta essere
stato Massimo il primo a proporre essa pace, ma con pensiero di non
mantenerla (verisimilmente per assodarsi intanto negli usurpati
dominii), e che Valentiniano atterrito dalla potenza di questo nemico,
accettò di buon grado il proposto partito, con pensiero anch'egli di
romperlo subito che si trovasse in forze. Noi all'incontro sappiamo che
dalla parte di esso Valentiniano fu deputato sant'Ambrosio per passar
nelle Gallie affin di maneggiare qualche concordia[862]. Andò
l'intrepido arcivescovo, e trovò a Magonza _Vittore_ conte, il quale
veniva spedito da Massimo per trattare dello stesso negozio in Italia.
Introdotto nel consiglio udì la pretensione di Massimo, cioè che
Valentiniano come più giovane doveva venire in persona a trovarlo, con
sicurezza di ogni amorevole accoglimento. Ambrosio lo scusò col rigore
del verno durante il quale non poteva un fanciullo colla madre vedova
passare i freddi e pericoli delle Alpi; e neppur s'impegnò di farli
venire, con dire di non aver egli commessione alcuna di questo, ma
solamente di trattar la pace. Gli convenne aspettar buona parte del
verno, finchè tornasse Vittore colle risposte d'Italia; nel qual tempo
non volle comunicar nei sacri misteri con esso Massimo[863], dicendo
ch'egli era tenuto a far prima pubblica penitenza del sangue sparso del
suo principe, e principe innocente. Lo stesso fece a tutta prima anche
san Martino vescovo di Tours,[864] ma poi si ridusse a comunicar seco,
probabilmente perchè gli fece credere il tiranno di non aver avuta parte
nella morte di Graziano.
NOTE:
[813] Themist., Orat. XVI.
[814] Idacius, in Chronico. Marcellin., in Chronic. Prosper., in
Chronic. Chronicon Alexand.
[815] Coteler., Monum. Graec. Tom. II.
[816] Tillemont, Mémoires des Empereurs.
[817] Cod. Theod., lib. 16. Tit. 5, de Haeretic.
[818] Gothofred., Chronol. Cod. Theod.
[819] Symmachus, in Retat.
[820] Ambros., lib 3 de Off., cap. 7.
[821] Idem, Relat. Symmach.
[822] Mediobarbus, Numism. Imperator.
[823] Zosimus, lib. 4, cap. 33.
[824] Usserius, de Britan. Eccl.
[825] Pacatus, in Panegyr. Theodos.
[826] Zosim., lib. 4, cap. 33. Victor, in Epitome.
[827] Sulpic. Sever., Vit. S. Martini, cap. 23.
[828] Orosius, lib. 7, cap. 34.
[829] Gregor. Turonensis, lib. 1, cap. 43.
[830] Prosper, in Chronic.
[831] Zosim., lib. 4, c. 35.
[832] Gildas, de excidio Britan.
[833] Socrates, l. 5, cap. 11.
[834] Sozom, lib. 7, c. 13.
[835] Zosimus, lib. 4, cap. 35. Victor, in Epitome. Pacatus, in Panegyr.
Prosper, in Chronic.
[836] Baron., Annal. Eccl.
[837] Valesius, Rer. Franc., lib. 2.
[838] Tillemont, Mémoires des Emper.
[839] Pacatus, in Panegyr.
[840] Prosper, in Chronic.
[841] Ambros., in Psalm. 61, num. 23 et seq.
[842] Zosimus, cap. 35.
[843] Prosper, in Chronic., Rufinus, Marcellin.
[844] Socrates, lib. 5, c. 11.
[845] Sozom., lib. 7, c. 13.
[846] Marcellinus, in Chronic.
[847] Ambros., de Fid., lib. 1, cap. 20.
[848] Zosimus, lib. 5, c. 39.
[849] Idem, l. 4, c. 36.
[850] Ambr., in Ps. 61 et Epist. XXIV.
[851] Rufinus, lib. 2, c. 13.
[852] Philostorg., lib. 10, c. 5.
[853] Pacat., in Panegyr.
[854] Ambr., Epist. XXIV.
[855] L. 43, de Appellat. Cod. Theodos.
[856] Fabretus, Inscript., pag. 576.
[857] Orosius, l. 7, c. 35.
[858] Pacatus, in Panegyr.
[859] Themist., Orat. XVIII.
[860] Idem, ibid.
[861] Rufinus, lib. 2, c. 15.
[862] Ambros., Epist. XXIV.
[863] Paulin., in Vita S. Ambrosii.
[864] Sulpicius Sever., in Vita S. Martini, c. 23.


Anno di CRISTO CCCLXXXIV. Indiz. XII.
DAMASO papa 19.
VALENTINIANO II imperad. 10.
TEODOSIO imperadore 6.
ARCADIO imperadore 2.
_Consoli_
FLAVIO RICOMERE e CLEARCO.

_Ricomere_, primo nella dignità consolare, è quel medesimo valente
generale, che da Graziano Augusto era stato spedito in aiuto a
Teodosio, e si trova anche appellato _Ricimere_. L'altro console
_Clearco_ era forse nell'anno presente anche prefetto della città di
Costantinopoli[865]. _Simmaco_, celebre personaggio, si trova prefetto
di Roma in quest'anno. Di tal sua dignità egli parla in alcune sue
lettere. Egli anche fu che in questo anno inviò _Agostino_, poi santo
vescovo, per maestro di retorica a Milano. Nel dì 11 di dicembre terminò
i giorni del viver suo _Damaso_ pontefice romano[866], riferito poi nel
catalogo de' santi a cagion delle sue opere gloriose, massimamente
concernenti la difesa della dottrina della Chiesa cattolica. Pochi
giorni stette a succedergli nella cattedra di san Pietro, _Siricio_, di
nazione romano. Così il padre Pagi[867], contro l'autorità del cardinal
Baronio e del padre Papebrochio, i quali differiscono all'anno seguente
la elezion di Siricio. Del loro parere sono anch'io, per quel che dirò
all'anno stesso. Già abbiam veduto che _Clearco_ fu in quest'anno
prefetto di Costantinopoli, parendo che la data di una legge di Teodosio
lo intitoli così; ma non possiamo fidarci di quella data, da che abbiamo
indizii che _Temistio_[868], famoso filosofo pagano ed oratore di questi
tempi, fu promosso a quella carica nell'anno presente, e recitò di poi
un'orazione in lode di Teodosio. Il non dir egli parola della nascita di
_Onorio_, secondogenito di esso Augusto, nè dell'ambasciata dei Persiani
fa abbastanza conoscere che quel panegirico fu recitato prima del
settembre di quest'anno. Imperciocchè _Flacilla_, o sia _Placilla_
Augusta, nel dì 9 di settembre partorì all'Augusto consorte _Flavio
Onorio_[869], nato nella porpora, come diceano i Greci, perchè venuto
alla luce dappoichè il padre era imperadore, laddove _Arcadio_
primogenito, e già dichiarato _Augusto_, nella privata fortuna del padre
era stato partorito. Ad esso Onorio fu immantinente conferito il titolo
di _nobilissimo_. Già il defunto _Artaserse_ re della Persia avea avuto
per successore il suo figliuolo _Sapore III_. Abbiamo da Idazio[870]
ch'egli nell'anno presente inviò una solenne ambasciata a Teodosio
Augusto per trattar di pace fra i due imperii. Pacato[871] ne parla
anche egli, con indicare i presenti da lui inviati in tale occasione a
Costantinopoli, cioè di perle, stoffe di seta, ed animali propri per
tirare il cocchio trionfale, e verisimilmente elefanti domesticati.
Orosio[872] e il giovane Vittore[873] scrivono che Teodosio strinse,
mercè di un trattato di pace, buona amicizia coi Persiani; ma non è ben
certo se questa pace ora succedesse, o se fosse piuttosto una tregua,
perchè vedremo nell'anno 389 un'altra ambasceria de' Persiani per questo
effetto; e per altro conto restano in molta oscurità gli affari de'
Romani con quella nazione. Certo è che guerra non fu gran tempo dappoi
fra le suddette due potenze.
Vegniamo ora a Massimo tiranno. Tanto si trattenne nella di lui corte
santo Ambrosio, e tal fu la sua destrezza, che finalmente conchiuse la
pace fra lui e Valentiniano Augusto. Per quel che apparisce dalle
conseguenze, consiste il massiccio della capitolazione in questi due
punti: cioè Valentiniano riconosceva Massimo per legittimo imperador
delle Gallie, Spagne e Bretagna, e vicendevolmente Massimo accordava che
Valentiniano resterebbe pacifico possessore e signore dell'Italia,
dell'Illirico occidentale e dell'Africa. Pretese esso Massimo col tempo
di essere stato burlato con varie promesse, che poi furono senza
effetto, da _Ambrosio_ e da _Bautone_ conte, compagno, secondo le
apparenze, di quella ambasciata: ma il santo arcivescovo sostenne poscia
di nulla avergli promesso, e discolpò ancora Bautone. Nel ritornarsene
egli a Milano, trovò a Valenza del Delfinato altri ambasciatori spediti
a Massimo per iscusar Valentiniano, se non potea passar nelle Gallie,
come il borioso tiranno tuttavia pretendeva. Poco nondimeno teneva per
questa pace sicuro sè stesso Massimo, ogni qualvolta anche Teodosio dal
canto suo non acconsentisse. Però, per testimonianza di Zosimo[874],
spedì altri suoi ambasciatori ad esso Teodosio, nè trovò in lui gran
difficoltà ad approvar quell'accordo e a permettere che l'immagine del
tiranno si mettesse con quelle degli altri due Augusti. Anzi dovendo
partire _Cinegio_ pel governo dell'Africa, Teodosio gli diede ordine di
portare colà l'immagine del medesimo per farla vedere a que' popoli in
segno della contratta amicizia. Ma se crediamo ad esso Zosimo, anch'egli
si accomodò a questa concordia in apparenza, meditando nello stesso
tempo di fargli guerra subito che gliel permettessero i propri
interessi, o piuttosto che gliene desse occasione il perfido usurpatore,
siccome in fatti avvenne. In questa maniera Massimo giunse a restar
pacifico padrone di tanti Stati. Ci ha conservata sant'Ambrosio[875] la
memoria di un altro fatto, senza apparire se spettante a questo o pure
all'anno seguente. Certamente esso accadde dopo la conchiusion della
pace suddetta. Cioè gli Alamanni Giutunghi vennero a bottinar nella
Rezia, perchè seppero ch'era stata regalata da Dio di un buon raccolto.
Bautone conte, poco fa da noi mentovato, ebbe maniera di muovere contra
di loro gli Unni e gli Alani, i quali entrati nel paese di essi
Alamanni, vi diedero un gran sacco sino ai confini delle Gallie. Gravi
doglianze fece per questa irruzione Massimo, perchè l'apprese suscitata
da Valentiniano, per nuocere anche a lui in guisa che esso Valentiniano,
affine di togliere i pretesti di qualche rottura, a forza di danaro fece
tornar que' Barbari alle lor case.
Da una lettera di Simmaco[876] parimente ricaviamo che nell'Illirico
accadde guerra contra de' Sarmati, i quali doveano aver passato il
Danubio per saccheggiare il paese romano. Quel generale, sotto il cui
comando era o la Pannonia, o la Mesia superiore, diede a coloro una tal
rotta, che moltissimi ne uccise, ed altri fatti prigioni inviò a Roma:
perlochè meritò un grand'elogio da Valentiniano. Noi troviamo questo
giovinetto imperadore nell'anno presente quasi sempre in Milano[877], a
riserva di una scorsa da lui fatta ad Aquileia. Aveva egli disegnato
console per l'anno prossimo _Vettio Agorio Pretestato_, celebre
personaggio allora, ma pagano, e che esercitava ora la carica di
prefetto del pretorio d'Italia, di cui si veggono vari elogi presso gli
scrittori gentili, e nelle antiche iscrizioni. Ma prima ch'egli
arrivasse a vestir la trabea consolare la morte il rapì con incredibil
doglia del senato e popolo romano. Ne parla molto Simmaco nelle sue
lettere, ed anche san Girolamo che si trovava allora in Roma. Perchè
costui aveva impetrato da Valentiniano un decreto poco favorevole ai
Cristiani, ciò fece coraggio a Simmaco prefetto di Roma, e agli altri
senatori romani della fazion pagana ed idolatrica, senza saputa, o
almeno senza consenso de' senatori cristiani, di fare un tentativo
maggiore, cioè di formare un decreto, per chiedere a Valentiniano
Augusto che fosse rimesso nella sala del senato l'altare della Vittoria,
già tolto per ordine di Graziano Augusto. Ne formò la supplica ossia la
relazione Simmaco, adducendo quante ragioni (ben tutte frivole) egli
seppe trovare; e questa fu spedita alla corte con forte speranza, che
trattandosi di un regnante sì giovane, e però non atto a discernere la
falsità di quei motivi, il negozio verrebbe fatto. Penetrata questa
notizia all'orecchio di santo Ambrosio[878], con tutta sollecitudine
stese egli una contrasupplica, in cui sì forti ragioni intrepidamente
espose del non doversi accordare quella infame dimanda, che Valentiniano
stette saldo in sostener l'operato dall'Augusto suo fratello, sicchè
andarono falliti i disegni del paganesimo. Fu di poi ampiamente
confutata dal santo arcivescovo la relazione di Simmaco, e noi tuttavia
abbiamo questi pezzi fra le opere di esso Simmaco e di sant'Ambrosio.
Immemorabile era l'uso che i nuovi consoli facessero dei regali agli
amici e ad altre assaissime persone, e che i questori e pretori
solennizzassero la loro entrata in quei posti con dei giuochi pubblici,
nel che conveniva impiegare gran copia d'oro. La vanità di molti aveva
anche introdotti altri intollerabili abusi e spese eccessive, colle
quali stoltamente si venivano ad impoverir le persone nobili, per
comperar del fumo. Simmaco ne promosse la riforma, e la ottenne da
Valentiniano; e pur egli, per attestato di Olimpiodoro[879], due mila
libbre d'oro di peso impiegò per la pretura di un suo figliuolo.
Teodosio anch'esso in quest'anno pubblicò una prammatica per lo stesso
fine, siccome fece altre leggi in favore della religione cristiana, che
si possono leggere nel Codice Teodosiano. Crede in oltre il Gotofredo
che a questi tempi appartenga una di lui legge, con cui proibisce il
matrimonio fra i cugini germani sotto rigorose pene.
NOTE:
[865] Gothofred., Chronol. Cod. Theodos.
[866] Prosper, in Chronic.
[867] Pagius, Crit. Baron.
[868] Themist., Orat. XVII et XVIII.
[869] Idacius, in Fastis. Chronicon Alexandrin. Socrat., lib. 5, cap.
12.
[870] Idacius, ib.
[871] Pacatus, in Panegyr.
[872] Orosius, lib. 7, cap. 34.
[873] Victor, in Epit.
[874] Zosimus, lib. 4, cap. 37.
[875] Ambr., Epist. XXIV.
[876] Symmach., lib. 10, epist. 61.
[877] Gothofred., Chronol. Cod. Theod.
[878] Ambros., in Symmachum, et alii.
[879] Olympiodorus, apud Photium.


Anno di CRISTO CCCLXXXV. Indiz. XIII.
SIRICIO papa 1.
VALENTINIANO II imperad. 11.
TEODOSIO imperadore 7.
ARCADIO imperadore 3.
_Consoli_
FLAVIO ARCADIO AUGUSTO, e BAUTONE.

Abbiam già veduto che questo _Bautone_ conte, uomo di gran valore e
fedeltà, era uno de' generali di Valentiniano juniore Augusto, e però fu
console per l'Occidente. _Agostino_, maestro in questi tempi di retorica
in Milano, recitò nelle calende di gennaio un panegirico che non è
giunto ai dì nostri, in onore di lui esistente in quella città, dove
tuttavia era la corte. Chi fosse in quest'anno prefetto di Roma, non si
è potuto chiarire in addietro. Raccogliesi dalle lettere di Simmaco[880]
ch'egli disgustato per molti affanni da lui patiti nell'esercizio di
questa dignità nell'anno antecedente, fece istanze alla corte per
esserne scaricato; ma senza apparire s'egli fosse esaudito. Tuttavia
tengo io per fermo che in luogo suo venisse surrogato per l'anno
presente _Severo Piniano_. Che questo nobilissimo romano fosse prefetto
di Roma, ne ho addotto le pruove altrove[881], cioè le parole di
Palladio e di Eraclide. E che la di lui prefettura cadesse appunto in
quest'anno, chiaramente si raccoglie da una lettera di Valentiniano
Augusto, indirizzata a lui nel dì 23 di febbraio dell'anno corrente,
riferita dal Cardinal Baronio[882], in cui si rallegra per la elezione
di Siricio papa, accaduta poco tempo prima. M'induco medesimamente a
credere, in vigor di essa lettera che Siricio papa fosse eletto (non
senza contraddizione del tuttavia vivente Ursino, o sia Ursicino, che
avea fatta guerra anche a papa Damaso) non già, come vuole il padre
Pagi, nel dì 22 di dicembre dell'anno precedente, ma bensì nel gennaio
del presente, come tenne il suddetto cardinal Baronio. Non vo' io
trattener qui i lettori coll'esaminar le ragioni del Pagi. A me solo
basterà di dire che l'epitaffio di papa Siricio, su cui egli fonda tutto
il suo raziocinio, non è certo se sia fattura di quei tempi. Noi possiam
con ragione tenerlo per composto da qualche miserabil poeta de' tempi
susseguenti, giacchè esso è un componimento di versi mancanti di
prosodia. Ne' tempi correnti fiorivano mirabilmente in Roma le lettere,
nè si può mai credere che ad un sì ignorante poeta fosse data la
commissione di ornar il sepolcro di un romano pontefice con versi che
gridano misericordia.
Per la maggior parte di quest'anno noi troviamo, siccome poco fa
accennai, Valentiniano Augusto colla sua corte in Milano[883], dove son
date alquante sue leggi. Altre ve n'ha pubblicate in Aquileia, e forse
una in Verona. Teodosio Augusto, per quanto risulta dalle leggi di lui,
sembra non essersi punto mosso da Costantinopoli. Diede questo buon
imperadore nei tempi correnti una pruova luminosa della sua singolar
bontà. Aveano varie persone tenuto delle assemblee contra di lui,
producendo varii augurii, sogni ed altri creduti indovinamenti
dell'avvenire[884]. Scoperto l'affare, ad un rigoroso processo si diede
subito principio, non solamente contro i delinquenti, ma contro quelli
ancora che aveano saputo e non rivelato il fatto. Sotto altri imperadori
nè pur uno d'essi avrebbe scappata la morte. Così non fu sotto il
cattolico Teodosio. Sulle prime egli dichiarò di non voler mischiato in
tal processo chiunque reo solamente era di non aver rivelato i
manipolatori della congiura, o per aver parlato poco rispettosamente di
lui. Pubblicò dipoi nell'anno 393 una legge, con cui proibiva il
procedere giudizialmente contro chiunque avesse sparlato del principe.
Continuarono i processi contra de' veri congiurati; e perchè pareva che
il buon Augusto ne fosse scontento, uno de' magistrati un dì gli disse,
che la principal cura degli uffiziali della giustizia doveva esser
quella di assicurar la vita del principe: _Sì,_ rispose egli, _ma più
ancora vorrei che aveste cura della mia riputazione._ La sentenza di
morte fu pronunziata contra di costoro, ma allorchè i carnefici erano
sul punto di eseguirla, si spiccò dal palazzo una voce che si sparse
immediatamente per tutta la città, che l'imperadore faceva lor grazia. E
così fu. Non solamente donò egli loro la vita, ma anche la libertà di
dimorare in quel paese che più loro piacesse; e volle che Arcadio
Augusto suo figlio anch'egli segnasse la grazia, per avvezzarlo di
buon'ora agli atti di clemenza. Temistio aggiugne che a questo perdono
consentì sopra gli altri l'imperadrice _Flacilla_ ossia _Placilla_, con
cui egli soleva consigliarsi in affari di tal natura. Ma Iddio appunto
nell'anno presente chiamò a sè questa piissima Augusta, le cui rare doti
e virtù, e specialmente la pietà, e un continuo zelo per la religion
cattolica, si veggono esaltate non men dagli scrittori cristiani, cioè
da s. Gregorio Nisseno[885], da s. Ambrosio, da Teodoreto, e
Sozomeno[886], ma ancora dal pagano Temistio. Meritò ella, in una
parola, che la chiesa greca la registrasse nel catalogo de' santi.
Figliuoli di essa e di Teodosio furono _Arcadio_ allora Augusto, ed
_Onorio_ che col tempo fu anch'egli imperadore. Una lor figlia,
appellata _Pulcheria_ mancò di vita circa questi tempi, e se ne vede
l'orazion funebre fra le opere del suddetto Nisseno.
Viveva in questi medesimi tempi un'altra imperadrice, ma di professione
e costumi affatto contrarii, e questa era _Giustina_ madre del
giovanetto Valentiniano Augusto. Dopo la morte del vecchio Valentiniano
suo consorte, cavatasi la maschera, ella si scoprì ariana; e, dimorando
col figliuolo in Milano, città il cui popolo era tutto zelante per la
dottrina e chiesa cattolica, si mise in testa di voler pure promuover
ivi gl'interessi dell'empia sua setta. Per essere il figliuolo di età
immatura, grande era la di lei autorità, e suo gran consigliere le stava
sempre ai fianchi _Ausenzio_[887], che s'intitolava vescovo, venuto già
dalla picciola Tartaria, dopo aver ivi commesso di gravissime iniquità.
Voleva pure costui in quella città una chiesa per servigio dei suoi
pochi ariani, consistenti in alcuni uffiziali di corte, e in quei non
molti Goti che militavano nelle guardie; ma ritrovò contrario a' suoi
disegni l'arcivescovo _Ambrosio_, la cui costanza episcopale non si
lasciava intimorire neppur dalle minacce de' più crudeli supplizii[888].
Questi gli fece fronte, ed insieme il popolo tutto, pronto a perdere
piuttosto la vita, che a dar luogo alla eresia. Si seppe già risoluto in
corte che fosse ceduta agli ariani la basilica Porziana, oggidì chiamata
di s. Vittore, ch'era allora fuori della città, e che il santo
arcivescovo per questo era stato chiamato. Il popolo anch'esso corse a
furia colà; e perchè un uffizial di corte mandato con dei soldati per
dissiparli vi trovò del duro, fu pregato lo stesso Ambrosio di pacificar
quel rumore, con promessa di non dimandar la suddetta basilica. Ma nel
dì seguente, giorno 4 di aprile, vennero uffiziali a chiedergli la
basilica nuova, da lui fabbricata entro la città, appellata oggidì di
san Nazario. Le risposte del santo furono magnanime e risolute, di non
poter dare ciò ch'era di Dio, e su cui l'imperadore non aveva autorità.
Ne' giorni santi seguenti si rinforzò la persecuzione, per occupar pure
una delle basiliche; ma il santo arcivescovo e il popolo resisterono
fino al giovedì santo, in cui cessò quella tempesta, senza che si
spargesse il sangue di alcuno. Di più non rapporto io, perchè s'ha da
prendere questo bel pezzo dalla storia ecclesiastica e dalla vita
dell'incomparabile arcivescovo sant'Ambrosio, la cui saviezza, coraggio
e zelo in tal congiuntura son tuttavia da ammirare[889]. Dopo questo
inutile sforzo non cessò l'infuriata Giustina di tendergli insidie e di
procurarne l'esilio; ma Iddio anche miracolosamente difese sempre il suo
buon servo, non essendo già cessata in quest'anno la guerra contra di
lui e della fede cattolica.
NOTE: