Annali d'Italia, vol. 2 - 13
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se non forzati, affinchè non a sè, ma ai Persiani si attribuisse la
rottura della pace. Appena conobbe il barbaro re tali essere le forze
romane, che giuoco troppo pericoloso era il venire ad una battaglia
campale, si contentò di consumar la campagna con varie scaramuccie
solamente, ora vantaggiose ed ora infelici, tanto che, giunto l'autunno,
e conchiusa una tregua, amendue le armate si ritirarono ai quartieri del
verno. Scrive Ammiano che Sapore se ne tornò a Ctesifonte, e Valente
imperadore ad Antiochia, dove poi succedette la scena di Teodoro, di cui
parleremo all'anno seguente. Ma non lascio io di dubitare, se al
presente appartenga il detto di sopra, perciocchè abbiamo due leggi del
medesimo Valente[639], date nel dicembre di quest'anno in
Costantinopoli, che non si accordano col racconto di Ammiano, il qual
pure, siccome storico contemporaneo, non dovrebbe in tal circostanza
fallare. Secondo i conti del padre Pagi[640], terminò la sua gloriosa
vita in quest'anno santo _Atanasio_ arcivescovo d'Alessandria, uno de'
più insigni scrittori e campioni della fede cattolica, per cui sofferì
tante traversie, chiamato da Dio a ricevere il premio delle sue virtù e
fatiche. A quest'anno ancora verisimilmente appartiene un'irruzione
fatta dai Goti della Tracia, di cui s'ha un barlume presso Ammiano[641],
e ne parla ancora Teodoreto[642]. Valente, che si trovava impegnato con
tutte le sue armi contra dei Persiani, inviò lettere all'Augusto
Valentiniano, pregandolo di volerlo soccorrere con un corpo delle sue
soldatesche dalla parte dell'Illirico. Se dice il vero Teofane[643], la
risposta di Valentiniano fu di non potere in coscienza aiutare un
fratello che faceva nello stesso tempo guerra a Dio, cioè che
perseguitava i cattolici, esaltando continuamente la fazion degli
ariani. Ma non è molto sicura in questi tempi la cronologia di Teofane,
e forse Valentiniano non si diede mai a conoscere si zelante della vera
religione.
NOTE:
[633] Gothofr., Prosop. Cod. Theodos.
[634] Symmachus, lib. 10, cap. 26.
[635] Themistius, Orat. XI.
[636] Ammian., lib. 29, cap. 5.
[637] Aurelius Victor, in Epitome. Augustinus, contr. Parmen., lib. 1,
cap. 10.
[638] Ammian., lib. 29, cap. 1.
[639] Gothofred., Chronol. Cod. Theod.
[640] Pagius, Crit. Baron. ad ann. 373.
[641] Ammianus, lib. 30, c. 2.
[642] Theodoretus, lib. 4, cap. 31 et seq.
[643] Theophan., in Chronogr.
Anno di CRISTO CCLXXIV. Indiz. II.
DAMASO papa 9.
VALENTINIANO e
VALENTE imperadori 11.
GRAZIANO imperadore 8.
_Consoli_
FLAVIO GRAZIANO AUGUSTO per la terza volta ed EQUIZIO.
Il Relando[644], appoggiato ad una delle inscrizioni del Gudio, chiama
il secondo console _Caio Equizio Valente_. Già s'è detto che non si può
far sicuro fondamento sulle memorie antiche del Gudio; e dacchè
osserviamo che l'ordinario stile in nominar i consoli era quello di
notar l'ultimo lor cognome o soprannome; qualora tali fossero stati i
nomi di questo console, pare che non _Equizio_, ma _Valente_ dovesse
comparir la di lui appellazione ne' Fasti. Fu in questo anno prefetto di
Roma _Euprassio_, e dopo lui _Claudio_. Una legge del Codice
Teodosiano[645], data nel dì 5 di febbraio dell'anno presente, ci fa
veder tuttavia Valentiniano Augusto in Milano, dove si dovette fermare
nel verno. Se ne ritornò dipoi, venuta la primavera, nelle Gallie;
s'incontrano alcune sue leggi date in Treveri ne' mesi di maggio e
giugno. Dopo aver lungamente descritto Ammiano[646] le rigorose, anzi
crudeli giustizie fatte in Roma da _Massimino_ vicario di Roma, tali
certo che screditano il regno di Valentiniano Augusto, egli parla di
altre fatte da _Simplicio_, succeduto a lui nel vicariato di quella gran
città, e non men di lui sanguinario. Nobili non pochi dell'uno e
dell'altro sesso, o furono tormentati o esiliati o privati di vita. Se
tutti con ragione, se ne può dubitare. A me non piace di rattristar qui
i lettori con sì funesti ritratti; ma non vo' già tacere che questi, per
così dire, illustri carnefici di Valentiniano, cioè _Massimino
Simplicio_ e _Doriferiano_ dopo la morte di esso Augusto pagarono
anch'essi il fio della lor crudeltà. Volle in quest'anno esso imperadore
tentar di nuovo la fortuna delle sue armi contra degli Alamanni, e,
passato il Reno coll'armata, lasciò che le soldatesche sue si facessero
onore col saccheggiare un buon tratto del paese nemico. Poi si diede a
fabbricare una fortezza in vicinanza di quella che oggidì chiamiamo
Basilea. Quivi stando, ricevette da _Probo_, prefetto del pretorio
dell'Illirico, l'avviso che i Quadi, fatta una fiera scorreria in quelle
parti, davano anche da temere di peggio, ogni qualvolta non fosse
spedito a lui opportunamente soccorso di gente. Il motivo, per cui que'
popoli uscirono ai danni delle terre romane, fu il seguente. Già dicemmo
le premure di Valentiniano, acciocchè a tutte le frontiere verso i
Barbari si fabbricassero delle fortezze[647]. _Equizio_ console di
quest'anno e generale delle milizie nell'Illirico, secondo l'uso dei più
potenti, ne piantò una di là dal Danubio nel paese de' Quadi. Ne fece
doglianza quel popolo, e si fermò il lavoro. N'ebbe avviso _Marcellino_,
già divenuto prefetto del pretorio delle Gallie, uomo sempre portato
all'alterigia e alla crudeltà, ed ottenne da Valentiniano che si
spedisse colà Marcelliano suo figliuolo, con ordine e facoltà di
compiere quel forte. Questo Marcelliano è chiamato Celestio da
Zosimo[648], forse perchè portò anche questo nome. Venuto dunque costui,
ripigliò arditamente quella fabbrica, senza far caso alcuno delle
pretensioni e querele dei Quadi. Per questo il re loro _Gabinio_ si
portò in persona a trovar Marcelliano, e modestamente il pregò di
desistere dal lavoro, con rappresentargli le sue ragioni. Lo accolse
Marcelliano con civiltà, si mostrò inclinato ad esaudirlo, il tenne
anche seco a tavola; ma dopo il convito, mentre egli voleva tornarsene a
casa, il fece assassinare, e torgli la vita: tradimento infame e troppo
indegno del nome romano, le cui conseguenze funeste tardarono poco a
vedersi.
Per tal ingiuria ed enorme prepotenza sommamente irritati i Quadi,
trassero in lega i Sarmati, stomacati tutti dell'iniquo procedere de'
Romani; e, passato il Danubio, vennero a farne vendetta con dare il
sacco e guasto ad un gran tratto dell'Illirico. Poche erano allora nella
Pannonia e nella Mesia le guarnigioni e forze dei Romani, perchè
Valentiniano avea fatto passare in Africa alcune legioni[649] che ivi
prima stanziavano: perciò niun ritegno trovarono al lor furore que'
Barbari. Passò in così pericolosa congiuntura per la Pannonia la
figliuola del fu imperadore Costanzo, che in una medaglia (se pure è
fattura legittima) si vede appellata _Flavia Massima Costanza_[650].
Andava ella verso le Gallie per unirsi in matrimonio con _Graziano
Augusto_ figliuolo di Valentiniano. Poco vi mancò che questa principessa
non fosse colta un dì da que' Barbari in una villa chiamata Pistrense.
_Messala_ governator della provincia ebbe la fortuna di trafugarla e di
ridurla salva in Sirmio. Crebbe poi cotanto la possanza de' Quadi, che
_Probo_ prefetto del pretorio dell'Illirico, trovandosi in essa città di
Sirmio, fu in procinto di abbandonarla. Ma avendo ripigliato il
coraggio, e fatto quel preparamento che potè per difendersi, i Quadi non
la toccarono, intenti, più che ad altro, a perseguitare _Equizio_,
creduto da essi autore della morte di Gabinio loro re. In fatti diedero
una rotta a due legioni romane comandate da lui, e stesero i lor
saccheggi per buona parte della Pannonia. Vollero nello stesso tempo i
Sarmati fare il medesimo giuoco nella Mesia superiore, ma quivi
ritrovarono un forte ostacolo in _Teodosio_ juniore, figlio di quel
Teodosio generale, che già vedemmo inviato in Africa per la ribellione
di Fermo. Con titolo di duca governava allora esso Teodosio juniore
quella provincia, e benchè giovinetto di prima barba, e provveduto di
poche truppe[651], pure parte con astuzie militari e parte con arditi
combattimenti, e con riportarne vittoria, così ben si maneggiò, che que'
Barbari giudicarono meglio di trattar di pace: ottenuta la quale,
scornati se ne ritornarono al loro paese. Portati gli avvisi di questa
guerra dalle lettere di Probo a Valentiniano Augusto, siccome poco fa
accennai, non se ne fidò egli, e spedì colà _Paterniano_ suo segretario
per chiarirsene meglio[652]. Essendo poi questi ritornato con più
cattive nuove, allora Valentiniano tutto impazienza volea cavalcare alla
volta dell'Illirico; ma i suoi ufficiali tanto dissero, con
rappresentargli la stagion troppo avanzata, e il pericolo che _Macriano_
re degli Alamanni, trovando sguernita di truppe la Gallia, potrebbe far
dei malanni, che rimise alla primavera seguente il suo viaggio. Fu
dunque presa la risoluzion di proporre la pace ad esso Macriano, con
invitarlo a comparire alle rive del Reno. Venne egli in fatti pieno di
albagia al vedersi ricercato di accordo, come s'egli avesse da dar la
legge ai Romani. Comparve anche Valentiniano al congresso in barca con
un magnifico seguito; ed in fine si stabilì fra loro la desiderata
concordia. Mantenne poi Macriano fedelmente l'amicizia coi Romani; ma
avendo dopo qualche tempo voluto entrar nel paese dei Franchi, e dargli
disordinatamente il sacco, questa insolenza gli costò ben caro, perchè,
colto in un'imboscata da _Mellobaude_, chiamato re bellicoso di quella
nazione da Ammiano, quivi lasciò la vita. Credesi oggidì che nell'anno
presente accadesse in mirabil forma l'elezione[653] di santo _Ambrosio_
arcivescovo di Milano, alla cui consacrazione consentì volentieri
Valentiniano che si era restituito a Treveri: intorno al qual fatto si
può consultare la storia ecclesiastica.
Ne' primi mesi di quest'anno, ed anche nel maggio, noi troviam tuttavia
Valente Augusto in Antiochia[654], dove stato era durante il verno il
suo soggiorno. Quivi fu scoperta una congiura tramata contra di lui.
Alcuni pagani, e specialmente certi filosofi, dati allora alla magia e
ad altre arti o imposture per iscoprir l'avvenire[655], si avvisarono di
cercar con sacrilega curiosità chi avesse da succedere nell'imperio ad
esso Valente, giacchè tolto gli avea la morte l'unico suo figliuolo.
Zonara[656] descrive la forma del sortilegio fatto da essi, da cui si
raccolsero queste tre lettere TH, E ed O. Cercando coloro a chi potesse
convenir tal predizione, niuno cadde loro in mente più a proposito di un
_Teodoro_, ch'era in questi tempi secondo notaio, o sia segretario di
Valente, giovane di bell'aspetto, letterato prudente, nobilmente nato
nelle Gallie, e soprattutto pagano: il che servì a quei tali di stimolo
a maggiormente crederlo destinato dai falsi dii al trono. Gliene
parlarono, gliel fecero credere; ed egli invanitosi cominciò a tener
delle combriccole per questo co' suoi aderenti; e poi, siccome fu
provato, furono fatti dei tentativi contro la vita di Valente. Ma
scopertosi l'affare, e ricavata la verità del fatto, un seminario fu
questo di terribili processi e condanne, non solamente di chi avea
tenuta mano, ma ancora di molti innocenti, perchè Valente non si sapea
saziare di perseguitare e punire chiunque ancora era sospettato di
attendere alla negromanzia e ai mezzi d'indovinar le cose future.
Teodoro fu strangolato, o pure gli fu mozzato il capo. Degli altri
uccisi abbiamo una lunga lista presso Ammiano e Zosimo, e fra questi si
contarono dei primi uffiziali della corte[657]. Altri furono banditi, e
massimamente _Eusebio_ ed _Ipazio_, già stati consoli nell'anno 359, e
cognati del fu Costanzo Augusto, i quali da lì a poco tempo furono
richiamati con onore. Scaricossi ancora lo sdegno implacabile di Valente
contro de' filosofi gentili d'allora, siccome persone tutte in concetto
di attendere alla magia e principali autori di quella cospirazione. Ebbe
fra gli altri tagliata la testa _Massimo_[658] il più rinomato di tutti,
che tanta figura avea fatto a' tempi di Giuliano Apostata discepolo suo.
_Libanio sofista_[659], benchè anch'egli attaccato alla negromanzia, la
scappò netta, perchè nulla si potè provare contra di lui. Ed allora fu
che si fece una gran perquisizione dei libri che trattavano di magia e
d'incanti, di sortilegii e di strologia giudiciaria: perchè non si può
dire quanto ubbriachi allora fossero i gentili di sì fatte sacrileghe
imposture. Gran copia d'essi fu pubblicamente bruciata nella piazza
d'Antiochia, e questo fu l'unico bene della rigorosa giustizia, o, per
dir meglio, della crudeltà inaudita che Valente esercitò in tal
occasione. Crudeltà, dico, la qual anche più detestabil sarebbe stata,
se fosse vero ciò che scrivono Socrate e Sozomeno, cioè che egli fece
morir molte persone, perchè portavano il nome di _Teodoro_, _Teodosio_,
_Teodulo_, _Teodoto_ e simili; ma se ne può dubitare. Certo è che Dio
preservò il giovine _Teodosio_, da noi veduto duca della Mesia, avendolo
riserbato in vita per farne un'insigne imperadore, siccome a suo tempo
vedremo. Nè già finì in quest'anno la carneficina suddetta, perchè durò
il resto della vita di Valente. Ed ecco quanti mali può produrre (e
n'abbiam veduto tanti altri esempli) la prosunzion degli uomini in voler
indagare l'avvenire, paese riserbato alla cognizione del solo Dio. A
queste tragiche scene un'altra ne aggiunse Valente Augusto. Tutte le
apparenze sono che _Para_ re dell'Armenia, dacchè implorò il patrocinio
di esso imperadore contro de' Persiani, osservasse una fedeltà onorata
verso di lui. _Terenzio_ duca allora, per quanto sembra, difensor
dell'Armenia, con più lettere lo andò screditando presso del medesimo
Augusto[660], rappresentandolo per inumano verso de' suoi sudditi, e
vicino ad accordarsi coi Persiani. Valente perciò il chiamò a Tarso
città della Cilicia, dove, dopo di essersi fermato non poco tempo senza
ottener licenza di passare alla corte, venne scoprendo i mali uffizii
fatti contra di lui, e che si meditava di mettere in Armenia un altro
re. Bastò questo, perchè egli con trecento de' suoi che l'aveano
accompagnato se ne fuggisse, ed ebbe la fortuna di ritirarsi, al
dispetto di chi il seguitò, salvo nei proprii Stati. Non lasciò egli per
questo di star fedele verso i Romani; ma Valente, che non sel potea
persuadere, diede segreta incumbenza a _Traiano_ conte, comandante
dell'armi romane in Armenia, di sbrigarsi di lui in qualche maniera. In
fatti Traiano tanto seppe adescare l'incauto re con finte lusinghe, che
il trasse un di seco a pranzo. Sul più bello del convito entrò un
sicario che gli tolse la vita: assassinio infame commesso contro le
leggi dell'ospitalità venerate dai Barbari stessi, e simile all'altro
che abbiam veduto di sopra, di Gabinio re dei Quadi: tanto era decaduta
la virtù nei petti romani.
NOTE:
[644] Reland., Fast. Consul.
[645] Gothofred., Chronol. Cod. Theodos.
[646] Ammianus, lib. 28, c. 1.
[647] Ammianus, lib. 29, cap. 6.
[648] Zosimus, lib. 4, cap. 16.
[649] Ammian., lib. 29, cap. 6.
[650] Mediobarbus, Numism. Imperat.
[651] Themist., Orat. XIV. Zosimus, lib. 4, c. 16.
[652] Ammian., lib. 30, c. 3.
[653] Hieronymus, in Chron.
[654] Gothofr., Chronol. Cod. Theodos.
[655] Zosimus, lib. 4, c. 13. Ammianus, lib. 21, cap. 1 et seq.
[656] Zonar., in Annalib.
[657] Liban., in Vita sua. Socrates, lib. 4, cap. 19. Sozomenus, lib. 6,
c. 35.
[658] Eunap., in Vit. Sophist., c. 3.
[659] Liban., in Vita sua.
[660] Ammian., lib. 30, cap. 1.
Anno di CRISTO CCCLXXV. Indizione III.
DAMASO papa 10.
VALENTE imperadore 12.
GRAZIANO imperadore 9.
VALENTINIANO juniore imp. 1.
Dopo il consolato di GRAZIANO AUGUSTO
per la terza volta e di EQUIZIO.
Con questa formola si trova ne' fasti e nelle storie segnato l'anno
presente, perchè niun fu disegnato per empiere la sedia curule, e vestir
la trabea consolare. San Girolamo[661] attribuisce la cagion di tale
ommissione alla irruzion de' Sarmati nella Pannonia, quasichè le guerre
dell'imperio romano impedissero la creazion de' consoli. Sembra ben più
probabile che non passasse buona intelligenza fra i due fratelli Augusti
nella nomina d'essi consoli, con iscorrere poi l'anno senza dichiararne
alcuno. Probabilmente _Euprassio_ continuò anche in quest'anno nella
prefettura di Roma. La stanza di Valentiniano Augusto per tutto il verno
dell'anno corrente fu in Treveri, dove anche troviamo una sua
legge[662], data nel dì 9 di aprile. Lasciato poscia alla guardia delle
Gallie _Graziano Augusto_ suo figliuolo, egli ne' seguenti mesi eseguì
la risoluzione presa di portarsi nell'Illirico per reprimere l'insolenza
dei Quadi e Sarmati, che tuttavia malmenavano le contrade romane. Oltre
ad un buon esercito, menò seco _Giustina Augusta_ sua moglie e
_Valentiniano juniore_, suo minor figliuolo, da essa a lui partorito, il
quale si crede che fosse allora in età di quattro o cinque anni[663].
Per la strada se gli presentarono i deputati de' Sarmati per trattar di
pace. Valentiniano li rimandò, con dire che giunto egli al Danubio,
allora se ne palerebbe. Arrivato a Carnunto, città che vien creduta il
luogo del moderno Haimburg, trenta miglia in circa di sotto da Vienna
d'Austria, quivi fermata la corte, si applicò alle disposizioni militari
convenevoli per dare la mala pasqua ai Barbari suddetti; ma senza fare
alcuna ricerca dell'assassinio fatto a Gabinio re de' Quadi. Mostrossi
solamente voglioso di abbattere _Probo_ prefetto del pretorio, il quale,
se s'ha da credere ad Ammiano gentile, cioè ad un nemico dei cristiani,
avea commesso di grandi estorsioni ed ingiustizie, per far colar l'oro
nella borsa del principe, e sostener sè stesso in quell'illustre carica.
E certamente fu creduto che se Valentiniano non si fosse affrettato a
morire, non mancava la rovina di Probo. Durante il tempo di tre mesi che
questo imperadore dimorò in Carnunto, egli fece tagliar la testa a
Faustino, nipote di _Giuvenzio_ prefetto del pretorio delle Gallie,
accusato di aver ucciso un asino per far dei sortilegii; ed inoltre
perchè avendogli per burla un certo Negrino dimandato di essere fatto
segretario di corte, ridendo avea risposto: _Fammi imperatore, se vuoi
quest'uffizio._ Per questa burla Faustino, Negrino ed altri perderono la
vita; e di questo passo camminava la giustizia sotto Valentiniano, che
non voleva essere da meno di Valente suo fratello.
Venuto il settembre, spinse egli innanzi _Merobaude_ e _Sebastiano_
conte con diverse brigate di armati addosso a' Quadi[664]; ed egli
stesso in persona col resto dell'armata passò dipoi il Danubio, e fece
dare il sacco e il fuoco ad un buon tratto del nemico paese, essendosi
ritirati alle montagne quei popoli. Senza far altra bravura che questa,
se ne ritornò poi indietro, e dopo essersi fermato in Acinco per qualche
tempo, si rimise in cammino alla volta di Sabaria con animo di svernare
in quella città. Arrivato che fu alla volta di Bregizione, comparvero
colà i deputati dei Quadi per chiedere perdono e pace. Furono ammessi
all'udienza; e perchè si voleano scusare con pretendere fatte da persone
particolari senza assenso del comune le insolenze passate, a
Valentiniano si accese la bile, di maniera che fremendo rimproverò forte
a quella nazione, come ingrata, i benefizii ricevuti dai Romani.
Calmossi dipoi, ma all'improvviso cominciò a vomitar sangue, e il prese
un sudore mortale. Portato a letto, non si trovò se non tardi un
cerusico che gli aprisse la vena; fatto anche il salasso, non ne uscì
neppure una goccia. Sicchè di lì a poche ore terminò il corso di sua
vita[665] nel dì 17 di novembre, in età d'anni cinquantacinque, e dodici
d'imperio. Ammiano fa qui un compendio delle qualità buone e cattive di
questo imperatore[666]. Altri ancora commendarono la di lui gravità, la
castità, la perizia militare, il coraggio, la vigilanza per dar le
cariche a persone degne, e castigar i dilitti, con altre belle doti, per
le quali fu creduto ch'egli avrebbe potuto uguagliar la gloria di
Traiano e di Aureliano, se egli non avesse avuto il contrappeso di varii
difetti. Il principale fu l'eccessivo suo rigore, che passò ad essere
crudeltà, e talvolta involse non meno i rei che gl'innocenti. Ne abbiamo
accennato alcuni esempli, ed Ausonio stesso, in parlando a Graziano
Augusto di lui figlio, confessa che sotto suo padre la corte era tutta
piena di terrore, e in volto de' magistrati si leggeva una continua
inquietudine e tristezza. Questo suo genio sanguinario bastante ben è a
far parere un nulla tutte le altre sue virtù. Padri amorevoli e
clementi, e non implacabili aguzzini o carnefici de' popoli, han da
essere i principi che tendono alla vera gloria, e fan conto del Vangelo.
Vi si aggiunse ancora l'avarizia; perchè sebben sui principii si guardò
dall'aggiungere nuovi aggravii ai suoi sudditi, col tempo poi mutò
registro, e, per attestato di Ammiano[667] e di Zosimo[668], egli si
acquistò l'odio d'ognuno per le eccessive imposte, che faceva anche
esigere con tutto rigore, e si studiava per tutte le vie anche indecenti
di ricavare ed accumulare danaro. Fu osservato che nello spazio di
trenta anni addietro erano cresciute al doppio le gravezze dei sudditi
del romano imperio. Sicchè, ben pesato il tutto, benchè sant'Ambrosio,
Aurelio Vittore, Sozomeno ed altri esaltino la persona e il governo di
Valentiniano, tuttavia nelle bilance di Dio e degli uomini non avrà mai
credito un principe cristiano a cui manchi la clemenza e la carità verso
de' suoi popoli. Fu poi portato il di lui corpo imbalsamato a
Costantinopoli, per essere seppellito appresso gli altri Augusti
cristiani.
Dacchè cessò di vivere questo imperadore, apprension non poca vi fu che
qualche sedizione potesse insorgere nell'armata, e che taluno
macchinasse di occupar il trono cesareo. Però _Merobaude_, uno dei primi
generali, trovata maniera di allontanar _Sebastiano_ conte, tenne
consiglio con gli altri primarii uffiziali, e fu risoluto di proclamare
Augusto _Flavio Valentiniano juniore_, secondogenito del defunto
imperadore[669]. Era troppo lontano _Graziano imperadore_, suo fratello
maggiore, perchè dimorante allora in Treveri, per poter impedire le
novità temute; e sapendo gli uffiziali qual fosse la di lui bontà e
rettitudine, si avvisarono di poter innalzare questo principe, stante il
pericolo presente, senza incorrere nella di lui disgrazia, per aver ciò
osato prima di ricercarne il di lui consenso. E così fu. Certamente
Graziano se l'ebbe a male, e non men di lui Valente suo zio; ma non
tardarono amendue ad approvar questo fatto; Valente, per non poter di
meno, e Graziano per la sua buona indole e virtù, per cui non lasciò
mai, finchè visse, di far conoscere il suo buon cuore verso di esso
fratello. Trovavasi il fanciullo Valentiniano allora, siccome
accennammo, in età di circa cinque anni, lungi dall'armata ben cento
miglia. Furono spediti corrieri a chiamarlo, e venuto che fu ad Acinco
nella Pannonia con Giustina Augusta sua madre, il dichiararono
_Imperadore Augusto_ nel dì 22 di novembre. Zosimo[670] e Vittore[671]
attribuiscono la di lui promozione principalmente a _Merobaude_ e ad
_Equizio_ generali; il primo di essi storici, siccome ancora
Eunapio[672], lasciarono scritto che i due fratelli divisero fra loro
l'Occidente, con aver Graziano ritenuta per sè la Gallia, la Spagna e la
Bretagna, con assegnar al fratello l'Illirico, l'Italia e l'Africa. Ma
questa divisione si tiene piuttosto fatta dopo l'anno di Cristo 379; ed
il Gotofredo[673] osservò che stante l'essere Valentiniano II in età
pupillare, e però incapace di reggere, Graziano Augusto continuò ancora
da qui innanzi il governo di tutto l'Occidente. Abbiamo inoltre dalla
Cronica Alessandrina[674] ch'esso Graziano, dopo la morte del padre,
richiamò alla corte _Severa_ sua madre già esiliata da Valentiniano
seniore, che utilmente si servì dipoi co' suoi consigli. Parimente in
questi tempi, per attestato di Zosimo[675], si fecero sentire degli
orrendi tremuoti, che specialmente danneggiarono l'isola di Creta, la
Morea e tutta la Grecia, a riserva dell'Attica. Per conto di Valente
Augusto, le leggi del Codice Teodosiano[676] ci assicurano essersi egli
trattenuto in Antiochia sino al principio di giugno, e vi si truova
anche nel dì 5 di dicembre. Andarono innanzi indietro[677] varie
ambasciate di esso Augusto e di Sapore re di Persia per intavolar la
pace; ma in fine nulla si conchiuse, e durò tuttavia la guerra aperta
fra loro: laonde ognun di essi seguitò a far preparamenti per farsi
giustizia coll'armi.
NOTE:
[661] Hieronymus, in Chronicon.
[662] Gothofred., Chronolog. Cod. Theodos.
[663] Ammian., lib. 30, cap. 5.
[664] Ammian., lib. 30, c. 5 et seq.
[665] Idacius, in Fastis. Hieronymus, in Chronic. Socrat., lib. 4, cap.
31.
[666] Ammianus. Victor. Ansonius. Symmachus. Zosim. et alii.
[667] Ammianus, lib. 30, cap. 8.
[668] Zosim., lib. 4, c. 3.
[669] Zosimus, lib. 4, c. 19. Ammianus, lib. 30, cap. 10.
[670] Zosimus, lib. 4, cap. 19.
[671] Aurelius Victor, in Epitome.
[672] Eunap., Legat. Tom. I Hist. Byz.
[673] Gothofred., Chronol. Cod. Theodos.
[674] Chronicon Alexandr.
[675] Zosimus, lib. 4, cap. 18.
[676] Gothofr., Chronol. Cod. Theodos.
[677] Ammianus, lib. 30, cap. 1.
Anno di CRISTO CCCLXXVI. Indizione IV.
DAMASO papa 11.
VALENTE imperadore 13.
GRAZIANO imperadore 10.
VALENTINIANO II imperadore 2.
_Consoli_
FLAVIO VALENTE AUGUSTO per la quarta volta e FLAVIO VALENTINIANO juniore
AUGUSTO.
Portò opinione il Panvinio[678] che la prefettura di Roma fosse in
quest'anno esercitata da _Euprassio_, e poi da _Probiano_. Il Codice
teodosiano[679], a cui si dee più fede, ci mostra ornati di quella
dignità _Rufino_, e poi _Gracco_, il qual ultimo, per attestato di san
Girolamo[680], bruciò e rovesciò gran copia d'idoli in Roma stessa, e
professò dipoi la religione cristiana. In età di circa diecisette anni
era _Graziano Augusto_ allorchè l'imperador Valentiniano suo padre
terminò il corso del suo vivere. Giovane ben fatto di corpo, ma più
d'animo, perchè dotato d'un eccellente naturale, come confessano gli
stessi storici pagani[681]. Di buon'ora fu istruito nelle belle lettere,
con aver per maestro un insigne letterato, cioè _Ausonio_, al quale,
anche dopo aver ricevuta la porpora imperiale, professò sempre un
particolar rispetto, e conferì varie cariche, alzandolo sino al
consolato. Parlano gli autori d'allora[682] della moderazione nel cibo e
nella bevanda di questo principe, della sua rigorosa castità,
affabilità, e soprattutto della sua bontà e pietà cristiana, per cui
meritò gli elogii di santo Ambrosio e di Ausonio. Della sua delicatezza
in questo proposito diede egli sui principii una luminosa pruova, col
ricusar l'abito e il titolo di pontefice massimo[683] che gli portarono
i pagani. In somma arrivò a dire Ammiano, tuttochè storico gentile e
poco amico dei cristiani, essersi unite in Graziano tante e sì belle
doti, che avrebbe potuto aspirare alla gloria de' più rinomati Augusti,
se breve non fosse stata la sua vita, e non avesse avuto ai fianchi de'
ministri cattivi, da' quali non potè guardarsi la sua non per anche
matura prudenza, e l'età sua troppo giovanile, per cui, dandosi ai
divertimenti, lasciava lor fare quanto volevano. Una delle sue prime
azioni fu quella di ascoltar le querele universali de' popoli, e
massimamente del senato romano contro i ministri della crudeltà di suo
padre[684]. Erano questi _Massimino_, allora prefetto del pretorio delle
Gallie, _Simplicio_ e _Doriferiano_. Processati costoro, provarono anche
essi, ma colpevoli, il supplizio che a tanti anche innocenti aveano
fatto provare. E perciocchè il senato romano dovette far doglianze per
tanti dell'ordine suo o uccisi o calpestati in maniere indebite da
Valentiniano, in lor favore spedì Graziano un editto, che con gioia fu
letto dal celebre _Simmaco_[685], uno allora de' senatori. Siccome
riportò plauso da ognuno la morte data a quei crudeli ministri, così fu
rottura della pace. Appena conobbe il barbaro re tali essere le forze
romane, che giuoco troppo pericoloso era il venire ad una battaglia
campale, si contentò di consumar la campagna con varie scaramuccie
solamente, ora vantaggiose ed ora infelici, tanto che, giunto l'autunno,
e conchiusa una tregua, amendue le armate si ritirarono ai quartieri del
verno. Scrive Ammiano che Sapore se ne tornò a Ctesifonte, e Valente
imperadore ad Antiochia, dove poi succedette la scena di Teodoro, di cui
parleremo all'anno seguente. Ma non lascio io di dubitare, se al
presente appartenga il detto di sopra, perciocchè abbiamo due leggi del
medesimo Valente[639], date nel dicembre di quest'anno in
Costantinopoli, che non si accordano col racconto di Ammiano, il qual
pure, siccome storico contemporaneo, non dovrebbe in tal circostanza
fallare. Secondo i conti del padre Pagi[640], terminò la sua gloriosa
vita in quest'anno santo _Atanasio_ arcivescovo d'Alessandria, uno de'
più insigni scrittori e campioni della fede cattolica, per cui sofferì
tante traversie, chiamato da Dio a ricevere il premio delle sue virtù e
fatiche. A quest'anno ancora verisimilmente appartiene un'irruzione
fatta dai Goti della Tracia, di cui s'ha un barlume presso Ammiano[641],
e ne parla ancora Teodoreto[642]. Valente, che si trovava impegnato con
tutte le sue armi contra dei Persiani, inviò lettere all'Augusto
Valentiniano, pregandolo di volerlo soccorrere con un corpo delle sue
soldatesche dalla parte dell'Illirico. Se dice il vero Teofane[643], la
risposta di Valentiniano fu di non potere in coscienza aiutare un
fratello che faceva nello stesso tempo guerra a Dio, cioè che
perseguitava i cattolici, esaltando continuamente la fazion degli
ariani. Ma non è molto sicura in questi tempi la cronologia di Teofane,
e forse Valentiniano non si diede mai a conoscere si zelante della vera
religione.
NOTE:
[633] Gothofr., Prosop. Cod. Theodos.
[634] Symmachus, lib. 10, cap. 26.
[635] Themistius, Orat. XI.
[636] Ammian., lib. 29, cap. 5.
[637] Aurelius Victor, in Epitome. Augustinus, contr. Parmen., lib. 1,
cap. 10.
[638] Ammian., lib. 29, cap. 1.
[639] Gothofred., Chronol. Cod. Theod.
[640] Pagius, Crit. Baron. ad ann. 373.
[641] Ammianus, lib. 30, c. 2.
[642] Theodoretus, lib. 4, cap. 31 et seq.
[643] Theophan., in Chronogr.
Anno di CRISTO CCLXXIV. Indiz. II.
DAMASO papa 9.
VALENTINIANO e
VALENTE imperadori 11.
GRAZIANO imperadore 8.
_Consoli_
FLAVIO GRAZIANO AUGUSTO per la terza volta ed EQUIZIO.
Il Relando[644], appoggiato ad una delle inscrizioni del Gudio, chiama
il secondo console _Caio Equizio Valente_. Già s'è detto che non si può
far sicuro fondamento sulle memorie antiche del Gudio; e dacchè
osserviamo che l'ordinario stile in nominar i consoli era quello di
notar l'ultimo lor cognome o soprannome; qualora tali fossero stati i
nomi di questo console, pare che non _Equizio_, ma _Valente_ dovesse
comparir la di lui appellazione ne' Fasti. Fu in questo anno prefetto di
Roma _Euprassio_, e dopo lui _Claudio_. Una legge del Codice
Teodosiano[645], data nel dì 5 di febbraio dell'anno presente, ci fa
veder tuttavia Valentiniano Augusto in Milano, dove si dovette fermare
nel verno. Se ne ritornò dipoi, venuta la primavera, nelle Gallie;
s'incontrano alcune sue leggi date in Treveri ne' mesi di maggio e
giugno. Dopo aver lungamente descritto Ammiano[646] le rigorose, anzi
crudeli giustizie fatte in Roma da _Massimino_ vicario di Roma, tali
certo che screditano il regno di Valentiniano Augusto, egli parla di
altre fatte da _Simplicio_, succeduto a lui nel vicariato di quella gran
città, e non men di lui sanguinario. Nobili non pochi dell'uno e
dell'altro sesso, o furono tormentati o esiliati o privati di vita. Se
tutti con ragione, se ne può dubitare. A me non piace di rattristar qui
i lettori con sì funesti ritratti; ma non vo' già tacere che questi, per
così dire, illustri carnefici di Valentiniano, cioè _Massimino
Simplicio_ e _Doriferiano_ dopo la morte di esso Augusto pagarono
anch'essi il fio della lor crudeltà. Volle in quest'anno esso imperadore
tentar di nuovo la fortuna delle sue armi contra degli Alamanni, e,
passato il Reno coll'armata, lasciò che le soldatesche sue si facessero
onore col saccheggiare un buon tratto del paese nemico. Poi si diede a
fabbricare una fortezza in vicinanza di quella che oggidì chiamiamo
Basilea. Quivi stando, ricevette da _Probo_, prefetto del pretorio
dell'Illirico, l'avviso che i Quadi, fatta una fiera scorreria in quelle
parti, davano anche da temere di peggio, ogni qualvolta non fosse
spedito a lui opportunamente soccorso di gente. Il motivo, per cui que'
popoli uscirono ai danni delle terre romane, fu il seguente. Già dicemmo
le premure di Valentiniano, acciocchè a tutte le frontiere verso i
Barbari si fabbricassero delle fortezze[647]. _Equizio_ console di
quest'anno e generale delle milizie nell'Illirico, secondo l'uso dei più
potenti, ne piantò una di là dal Danubio nel paese de' Quadi. Ne fece
doglianza quel popolo, e si fermò il lavoro. N'ebbe avviso _Marcellino_,
già divenuto prefetto del pretorio delle Gallie, uomo sempre portato
all'alterigia e alla crudeltà, ed ottenne da Valentiniano che si
spedisse colà Marcelliano suo figliuolo, con ordine e facoltà di
compiere quel forte. Questo Marcelliano è chiamato Celestio da
Zosimo[648], forse perchè portò anche questo nome. Venuto dunque costui,
ripigliò arditamente quella fabbrica, senza far caso alcuno delle
pretensioni e querele dei Quadi. Per questo il re loro _Gabinio_ si
portò in persona a trovar Marcelliano, e modestamente il pregò di
desistere dal lavoro, con rappresentargli le sue ragioni. Lo accolse
Marcelliano con civiltà, si mostrò inclinato ad esaudirlo, il tenne
anche seco a tavola; ma dopo il convito, mentre egli voleva tornarsene a
casa, il fece assassinare, e torgli la vita: tradimento infame e troppo
indegno del nome romano, le cui conseguenze funeste tardarono poco a
vedersi.
Per tal ingiuria ed enorme prepotenza sommamente irritati i Quadi,
trassero in lega i Sarmati, stomacati tutti dell'iniquo procedere de'
Romani; e, passato il Danubio, vennero a farne vendetta con dare il
sacco e guasto ad un gran tratto dell'Illirico. Poche erano allora nella
Pannonia e nella Mesia le guarnigioni e forze dei Romani, perchè
Valentiniano avea fatto passare in Africa alcune legioni[649] che ivi
prima stanziavano: perciò niun ritegno trovarono al lor furore que'
Barbari. Passò in così pericolosa congiuntura per la Pannonia la
figliuola del fu imperadore Costanzo, che in una medaglia (se pure è
fattura legittima) si vede appellata _Flavia Massima Costanza_[650].
Andava ella verso le Gallie per unirsi in matrimonio con _Graziano
Augusto_ figliuolo di Valentiniano. Poco vi mancò che questa principessa
non fosse colta un dì da que' Barbari in una villa chiamata Pistrense.
_Messala_ governator della provincia ebbe la fortuna di trafugarla e di
ridurla salva in Sirmio. Crebbe poi cotanto la possanza de' Quadi, che
_Probo_ prefetto del pretorio dell'Illirico, trovandosi in essa città di
Sirmio, fu in procinto di abbandonarla. Ma avendo ripigliato il
coraggio, e fatto quel preparamento che potè per difendersi, i Quadi non
la toccarono, intenti, più che ad altro, a perseguitare _Equizio_,
creduto da essi autore della morte di Gabinio loro re. In fatti diedero
una rotta a due legioni romane comandate da lui, e stesero i lor
saccheggi per buona parte della Pannonia. Vollero nello stesso tempo i
Sarmati fare il medesimo giuoco nella Mesia superiore, ma quivi
ritrovarono un forte ostacolo in _Teodosio_ juniore, figlio di quel
Teodosio generale, che già vedemmo inviato in Africa per la ribellione
di Fermo. Con titolo di duca governava allora esso Teodosio juniore
quella provincia, e benchè giovinetto di prima barba, e provveduto di
poche truppe[651], pure parte con astuzie militari e parte con arditi
combattimenti, e con riportarne vittoria, così ben si maneggiò, che que'
Barbari giudicarono meglio di trattar di pace: ottenuta la quale,
scornati se ne ritornarono al loro paese. Portati gli avvisi di questa
guerra dalle lettere di Probo a Valentiniano Augusto, siccome poco fa
accennai, non se ne fidò egli, e spedì colà _Paterniano_ suo segretario
per chiarirsene meglio[652]. Essendo poi questi ritornato con più
cattive nuove, allora Valentiniano tutto impazienza volea cavalcare alla
volta dell'Illirico; ma i suoi ufficiali tanto dissero, con
rappresentargli la stagion troppo avanzata, e il pericolo che _Macriano_
re degli Alamanni, trovando sguernita di truppe la Gallia, potrebbe far
dei malanni, che rimise alla primavera seguente il suo viaggio. Fu
dunque presa la risoluzion di proporre la pace ad esso Macriano, con
invitarlo a comparire alle rive del Reno. Venne egli in fatti pieno di
albagia al vedersi ricercato di accordo, come s'egli avesse da dar la
legge ai Romani. Comparve anche Valentiniano al congresso in barca con
un magnifico seguito; ed in fine si stabilì fra loro la desiderata
concordia. Mantenne poi Macriano fedelmente l'amicizia coi Romani; ma
avendo dopo qualche tempo voluto entrar nel paese dei Franchi, e dargli
disordinatamente il sacco, questa insolenza gli costò ben caro, perchè,
colto in un'imboscata da _Mellobaude_, chiamato re bellicoso di quella
nazione da Ammiano, quivi lasciò la vita. Credesi oggidì che nell'anno
presente accadesse in mirabil forma l'elezione[653] di santo _Ambrosio_
arcivescovo di Milano, alla cui consacrazione consentì volentieri
Valentiniano che si era restituito a Treveri: intorno al qual fatto si
può consultare la storia ecclesiastica.
Ne' primi mesi di quest'anno, ed anche nel maggio, noi troviam tuttavia
Valente Augusto in Antiochia[654], dove stato era durante il verno il
suo soggiorno. Quivi fu scoperta una congiura tramata contra di lui.
Alcuni pagani, e specialmente certi filosofi, dati allora alla magia e
ad altre arti o imposture per iscoprir l'avvenire[655], si avvisarono di
cercar con sacrilega curiosità chi avesse da succedere nell'imperio ad
esso Valente, giacchè tolto gli avea la morte l'unico suo figliuolo.
Zonara[656] descrive la forma del sortilegio fatto da essi, da cui si
raccolsero queste tre lettere TH, E ed O. Cercando coloro a chi potesse
convenir tal predizione, niuno cadde loro in mente più a proposito di un
_Teodoro_, ch'era in questi tempi secondo notaio, o sia segretario di
Valente, giovane di bell'aspetto, letterato prudente, nobilmente nato
nelle Gallie, e soprattutto pagano: il che servì a quei tali di stimolo
a maggiormente crederlo destinato dai falsi dii al trono. Gliene
parlarono, gliel fecero credere; ed egli invanitosi cominciò a tener
delle combriccole per questo co' suoi aderenti; e poi, siccome fu
provato, furono fatti dei tentativi contro la vita di Valente. Ma
scopertosi l'affare, e ricavata la verità del fatto, un seminario fu
questo di terribili processi e condanne, non solamente di chi avea
tenuta mano, ma ancora di molti innocenti, perchè Valente non si sapea
saziare di perseguitare e punire chiunque ancora era sospettato di
attendere alla negromanzia e ai mezzi d'indovinar le cose future.
Teodoro fu strangolato, o pure gli fu mozzato il capo. Degli altri
uccisi abbiamo una lunga lista presso Ammiano e Zosimo, e fra questi si
contarono dei primi uffiziali della corte[657]. Altri furono banditi, e
massimamente _Eusebio_ ed _Ipazio_, già stati consoli nell'anno 359, e
cognati del fu Costanzo Augusto, i quali da lì a poco tempo furono
richiamati con onore. Scaricossi ancora lo sdegno implacabile di Valente
contro de' filosofi gentili d'allora, siccome persone tutte in concetto
di attendere alla magia e principali autori di quella cospirazione. Ebbe
fra gli altri tagliata la testa _Massimo_[658] il più rinomato di tutti,
che tanta figura avea fatto a' tempi di Giuliano Apostata discepolo suo.
_Libanio sofista_[659], benchè anch'egli attaccato alla negromanzia, la
scappò netta, perchè nulla si potè provare contra di lui. Ed allora fu
che si fece una gran perquisizione dei libri che trattavano di magia e
d'incanti, di sortilegii e di strologia giudiciaria: perchè non si può
dire quanto ubbriachi allora fossero i gentili di sì fatte sacrileghe
imposture. Gran copia d'essi fu pubblicamente bruciata nella piazza
d'Antiochia, e questo fu l'unico bene della rigorosa giustizia, o, per
dir meglio, della crudeltà inaudita che Valente esercitò in tal
occasione. Crudeltà, dico, la qual anche più detestabil sarebbe stata,
se fosse vero ciò che scrivono Socrate e Sozomeno, cioè che egli fece
morir molte persone, perchè portavano il nome di _Teodoro_, _Teodosio_,
_Teodulo_, _Teodoto_ e simili; ma se ne può dubitare. Certo è che Dio
preservò il giovine _Teodosio_, da noi veduto duca della Mesia, avendolo
riserbato in vita per farne un'insigne imperadore, siccome a suo tempo
vedremo. Nè già finì in quest'anno la carneficina suddetta, perchè durò
il resto della vita di Valente. Ed ecco quanti mali può produrre (e
n'abbiam veduto tanti altri esempli) la prosunzion degli uomini in voler
indagare l'avvenire, paese riserbato alla cognizione del solo Dio. A
queste tragiche scene un'altra ne aggiunse Valente Augusto. Tutte le
apparenze sono che _Para_ re dell'Armenia, dacchè implorò il patrocinio
di esso imperadore contro de' Persiani, osservasse una fedeltà onorata
verso di lui. _Terenzio_ duca allora, per quanto sembra, difensor
dell'Armenia, con più lettere lo andò screditando presso del medesimo
Augusto[660], rappresentandolo per inumano verso de' suoi sudditi, e
vicino ad accordarsi coi Persiani. Valente perciò il chiamò a Tarso
città della Cilicia, dove, dopo di essersi fermato non poco tempo senza
ottener licenza di passare alla corte, venne scoprendo i mali uffizii
fatti contra di lui, e che si meditava di mettere in Armenia un altro
re. Bastò questo, perchè egli con trecento de' suoi che l'aveano
accompagnato se ne fuggisse, ed ebbe la fortuna di ritirarsi, al
dispetto di chi il seguitò, salvo nei proprii Stati. Non lasciò egli per
questo di star fedele verso i Romani; ma Valente, che non sel potea
persuadere, diede segreta incumbenza a _Traiano_ conte, comandante
dell'armi romane in Armenia, di sbrigarsi di lui in qualche maniera. In
fatti Traiano tanto seppe adescare l'incauto re con finte lusinghe, che
il trasse un di seco a pranzo. Sul più bello del convito entrò un
sicario che gli tolse la vita: assassinio infame commesso contro le
leggi dell'ospitalità venerate dai Barbari stessi, e simile all'altro
che abbiam veduto di sopra, di Gabinio re dei Quadi: tanto era decaduta
la virtù nei petti romani.
NOTE:
[644] Reland., Fast. Consul.
[645] Gothofred., Chronol. Cod. Theodos.
[646] Ammianus, lib. 28, c. 1.
[647] Ammianus, lib. 29, cap. 6.
[648] Zosimus, lib. 4, cap. 16.
[649] Ammian., lib. 29, cap. 6.
[650] Mediobarbus, Numism. Imperat.
[651] Themist., Orat. XIV. Zosimus, lib. 4, c. 16.
[652] Ammian., lib. 30, c. 3.
[653] Hieronymus, in Chron.
[654] Gothofr., Chronol. Cod. Theodos.
[655] Zosimus, lib. 4, c. 13. Ammianus, lib. 21, cap. 1 et seq.
[656] Zonar., in Annalib.
[657] Liban., in Vita sua. Socrates, lib. 4, cap. 19. Sozomenus, lib. 6,
c. 35.
[658] Eunap., in Vit. Sophist., c. 3.
[659] Liban., in Vita sua.
[660] Ammian., lib. 30, cap. 1.
Anno di CRISTO CCCLXXV. Indizione III.
DAMASO papa 10.
VALENTE imperadore 12.
GRAZIANO imperadore 9.
VALENTINIANO juniore imp. 1.
Dopo il consolato di GRAZIANO AUGUSTO
per la terza volta e di EQUIZIO.
Con questa formola si trova ne' fasti e nelle storie segnato l'anno
presente, perchè niun fu disegnato per empiere la sedia curule, e vestir
la trabea consolare. San Girolamo[661] attribuisce la cagion di tale
ommissione alla irruzion de' Sarmati nella Pannonia, quasichè le guerre
dell'imperio romano impedissero la creazion de' consoli. Sembra ben più
probabile che non passasse buona intelligenza fra i due fratelli Augusti
nella nomina d'essi consoli, con iscorrere poi l'anno senza dichiararne
alcuno. Probabilmente _Euprassio_ continuò anche in quest'anno nella
prefettura di Roma. La stanza di Valentiniano Augusto per tutto il verno
dell'anno corrente fu in Treveri, dove anche troviamo una sua
legge[662], data nel dì 9 di aprile. Lasciato poscia alla guardia delle
Gallie _Graziano Augusto_ suo figliuolo, egli ne' seguenti mesi eseguì
la risoluzione presa di portarsi nell'Illirico per reprimere l'insolenza
dei Quadi e Sarmati, che tuttavia malmenavano le contrade romane. Oltre
ad un buon esercito, menò seco _Giustina Augusta_ sua moglie e
_Valentiniano juniore_, suo minor figliuolo, da essa a lui partorito, il
quale si crede che fosse allora in età di quattro o cinque anni[663].
Per la strada se gli presentarono i deputati de' Sarmati per trattar di
pace. Valentiniano li rimandò, con dire che giunto egli al Danubio,
allora se ne palerebbe. Arrivato a Carnunto, città che vien creduta il
luogo del moderno Haimburg, trenta miglia in circa di sotto da Vienna
d'Austria, quivi fermata la corte, si applicò alle disposizioni militari
convenevoli per dare la mala pasqua ai Barbari suddetti; ma senza fare
alcuna ricerca dell'assassinio fatto a Gabinio re de' Quadi. Mostrossi
solamente voglioso di abbattere _Probo_ prefetto del pretorio, il quale,
se s'ha da credere ad Ammiano gentile, cioè ad un nemico dei cristiani,
avea commesso di grandi estorsioni ed ingiustizie, per far colar l'oro
nella borsa del principe, e sostener sè stesso in quell'illustre carica.
E certamente fu creduto che se Valentiniano non si fosse affrettato a
morire, non mancava la rovina di Probo. Durante il tempo di tre mesi che
questo imperadore dimorò in Carnunto, egli fece tagliar la testa a
Faustino, nipote di _Giuvenzio_ prefetto del pretorio delle Gallie,
accusato di aver ucciso un asino per far dei sortilegii; ed inoltre
perchè avendogli per burla un certo Negrino dimandato di essere fatto
segretario di corte, ridendo avea risposto: _Fammi imperatore, se vuoi
quest'uffizio._ Per questa burla Faustino, Negrino ed altri perderono la
vita; e di questo passo camminava la giustizia sotto Valentiniano, che
non voleva essere da meno di Valente suo fratello.
Venuto il settembre, spinse egli innanzi _Merobaude_ e _Sebastiano_
conte con diverse brigate di armati addosso a' Quadi[664]; ed egli
stesso in persona col resto dell'armata passò dipoi il Danubio, e fece
dare il sacco e il fuoco ad un buon tratto del nemico paese, essendosi
ritirati alle montagne quei popoli. Senza far altra bravura che questa,
se ne ritornò poi indietro, e dopo essersi fermato in Acinco per qualche
tempo, si rimise in cammino alla volta di Sabaria con animo di svernare
in quella città. Arrivato che fu alla volta di Bregizione, comparvero
colà i deputati dei Quadi per chiedere perdono e pace. Furono ammessi
all'udienza; e perchè si voleano scusare con pretendere fatte da persone
particolari senza assenso del comune le insolenze passate, a
Valentiniano si accese la bile, di maniera che fremendo rimproverò forte
a quella nazione, come ingrata, i benefizii ricevuti dai Romani.
Calmossi dipoi, ma all'improvviso cominciò a vomitar sangue, e il prese
un sudore mortale. Portato a letto, non si trovò se non tardi un
cerusico che gli aprisse la vena; fatto anche il salasso, non ne uscì
neppure una goccia. Sicchè di lì a poche ore terminò il corso di sua
vita[665] nel dì 17 di novembre, in età d'anni cinquantacinque, e dodici
d'imperio. Ammiano fa qui un compendio delle qualità buone e cattive di
questo imperatore[666]. Altri ancora commendarono la di lui gravità, la
castità, la perizia militare, il coraggio, la vigilanza per dar le
cariche a persone degne, e castigar i dilitti, con altre belle doti, per
le quali fu creduto ch'egli avrebbe potuto uguagliar la gloria di
Traiano e di Aureliano, se egli non avesse avuto il contrappeso di varii
difetti. Il principale fu l'eccessivo suo rigore, che passò ad essere
crudeltà, e talvolta involse non meno i rei che gl'innocenti. Ne abbiamo
accennato alcuni esempli, ed Ausonio stesso, in parlando a Graziano
Augusto di lui figlio, confessa che sotto suo padre la corte era tutta
piena di terrore, e in volto de' magistrati si leggeva una continua
inquietudine e tristezza. Questo suo genio sanguinario bastante ben è a
far parere un nulla tutte le altre sue virtù. Padri amorevoli e
clementi, e non implacabili aguzzini o carnefici de' popoli, han da
essere i principi che tendono alla vera gloria, e fan conto del Vangelo.
Vi si aggiunse ancora l'avarizia; perchè sebben sui principii si guardò
dall'aggiungere nuovi aggravii ai suoi sudditi, col tempo poi mutò
registro, e, per attestato di Ammiano[667] e di Zosimo[668], egli si
acquistò l'odio d'ognuno per le eccessive imposte, che faceva anche
esigere con tutto rigore, e si studiava per tutte le vie anche indecenti
di ricavare ed accumulare danaro. Fu osservato che nello spazio di
trenta anni addietro erano cresciute al doppio le gravezze dei sudditi
del romano imperio. Sicchè, ben pesato il tutto, benchè sant'Ambrosio,
Aurelio Vittore, Sozomeno ed altri esaltino la persona e il governo di
Valentiniano, tuttavia nelle bilance di Dio e degli uomini non avrà mai
credito un principe cristiano a cui manchi la clemenza e la carità verso
de' suoi popoli. Fu poi portato il di lui corpo imbalsamato a
Costantinopoli, per essere seppellito appresso gli altri Augusti
cristiani.
Dacchè cessò di vivere questo imperadore, apprension non poca vi fu che
qualche sedizione potesse insorgere nell'armata, e che taluno
macchinasse di occupar il trono cesareo. Però _Merobaude_, uno dei primi
generali, trovata maniera di allontanar _Sebastiano_ conte, tenne
consiglio con gli altri primarii uffiziali, e fu risoluto di proclamare
Augusto _Flavio Valentiniano juniore_, secondogenito del defunto
imperadore[669]. Era troppo lontano _Graziano imperadore_, suo fratello
maggiore, perchè dimorante allora in Treveri, per poter impedire le
novità temute; e sapendo gli uffiziali qual fosse la di lui bontà e
rettitudine, si avvisarono di poter innalzare questo principe, stante il
pericolo presente, senza incorrere nella di lui disgrazia, per aver ciò
osato prima di ricercarne il di lui consenso. E così fu. Certamente
Graziano se l'ebbe a male, e non men di lui Valente suo zio; ma non
tardarono amendue ad approvar questo fatto; Valente, per non poter di
meno, e Graziano per la sua buona indole e virtù, per cui non lasciò
mai, finchè visse, di far conoscere il suo buon cuore verso di esso
fratello. Trovavasi il fanciullo Valentiniano allora, siccome
accennammo, in età di circa cinque anni, lungi dall'armata ben cento
miglia. Furono spediti corrieri a chiamarlo, e venuto che fu ad Acinco
nella Pannonia con Giustina Augusta sua madre, il dichiararono
_Imperadore Augusto_ nel dì 22 di novembre. Zosimo[670] e Vittore[671]
attribuiscono la di lui promozione principalmente a _Merobaude_ e ad
_Equizio_ generali; il primo di essi storici, siccome ancora
Eunapio[672], lasciarono scritto che i due fratelli divisero fra loro
l'Occidente, con aver Graziano ritenuta per sè la Gallia, la Spagna e la
Bretagna, con assegnar al fratello l'Illirico, l'Italia e l'Africa. Ma
questa divisione si tiene piuttosto fatta dopo l'anno di Cristo 379; ed
il Gotofredo[673] osservò che stante l'essere Valentiniano II in età
pupillare, e però incapace di reggere, Graziano Augusto continuò ancora
da qui innanzi il governo di tutto l'Occidente. Abbiamo inoltre dalla
Cronica Alessandrina[674] ch'esso Graziano, dopo la morte del padre,
richiamò alla corte _Severa_ sua madre già esiliata da Valentiniano
seniore, che utilmente si servì dipoi co' suoi consigli. Parimente in
questi tempi, per attestato di Zosimo[675], si fecero sentire degli
orrendi tremuoti, che specialmente danneggiarono l'isola di Creta, la
Morea e tutta la Grecia, a riserva dell'Attica. Per conto di Valente
Augusto, le leggi del Codice Teodosiano[676] ci assicurano essersi egli
trattenuto in Antiochia sino al principio di giugno, e vi si truova
anche nel dì 5 di dicembre. Andarono innanzi indietro[677] varie
ambasciate di esso Augusto e di Sapore re di Persia per intavolar la
pace; ma in fine nulla si conchiuse, e durò tuttavia la guerra aperta
fra loro: laonde ognun di essi seguitò a far preparamenti per farsi
giustizia coll'armi.
NOTE:
[661] Hieronymus, in Chronicon.
[662] Gothofred., Chronolog. Cod. Theodos.
[663] Ammian., lib. 30, cap. 5.
[664] Ammian., lib. 30, c. 5 et seq.
[665] Idacius, in Fastis. Hieronymus, in Chronic. Socrat., lib. 4, cap.
31.
[666] Ammianus. Victor. Ansonius. Symmachus. Zosim. et alii.
[667] Ammianus, lib. 30, cap. 8.
[668] Zosim., lib. 4, c. 3.
[669] Zosimus, lib. 4, c. 19. Ammianus, lib. 30, cap. 10.
[670] Zosimus, lib. 4, cap. 19.
[671] Aurelius Victor, in Epitome.
[672] Eunap., Legat. Tom. I Hist. Byz.
[673] Gothofred., Chronol. Cod. Theodos.
[674] Chronicon Alexandr.
[675] Zosimus, lib. 4, cap. 18.
[676] Gothofr., Chronol. Cod. Theodos.
[677] Ammianus, lib. 30, cap. 1.
Anno di CRISTO CCCLXXVI. Indizione IV.
DAMASO papa 11.
VALENTE imperadore 13.
GRAZIANO imperadore 10.
VALENTINIANO II imperadore 2.
_Consoli_
FLAVIO VALENTE AUGUSTO per la quarta volta e FLAVIO VALENTINIANO juniore
AUGUSTO.
Portò opinione il Panvinio[678] che la prefettura di Roma fosse in
quest'anno esercitata da _Euprassio_, e poi da _Probiano_. Il Codice
teodosiano[679], a cui si dee più fede, ci mostra ornati di quella
dignità _Rufino_, e poi _Gracco_, il qual ultimo, per attestato di san
Girolamo[680], bruciò e rovesciò gran copia d'idoli in Roma stessa, e
professò dipoi la religione cristiana. In età di circa diecisette anni
era _Graziano Augusto_ allorchè l'imperador Valentiniano suo padre
terminò il corso del suo vivere. Giovane ben fatto di corpo, ma più
d'animo, perchè dotato d'un eccellente naturale, come confessano gli
stessi storici pagani[681]. Di buon'ora fu istruito nelle belle lettere,
con aver per maestro un insigne letterato, cioè _Ausonio_, al quale,
anche dopo aver ricevuta la porpora imperiale, professò sempre un
particolar rispetto, e conferì varie cariche, alzandolo sino al
consolato. Parlano gli autori d'allora[682] della moderazione nel cibo e
nella bevanda di questo principe, della sua rigorosa castità,
affabilità, e soprattutto della sua bontà e pietà cristiana, per cui
meritò gli elogii di santo Ambrosio e di Ausonio. Della sua delicatezza
in questo proposito diede egli sui principii una luminosa pruova, col
ricusar l'abito e il titolo di pontefice massimo[683] che gli portarono
i pagani. In somma arrivò a dire Ammiano, tuttochè storico gentile e
poco amico dei cristiani, essersi unite in Graziano tante e sì belle
doti, che avrebbe potuto aspirare alla gloria de' più rinomati Augusti,
se breve non fosse stata la sua vita, e non avesse avuto ai fianchi de'
ministri cattivi, da' quali non potè guardarsi la sua non per anche
matura prudenza, e l'età sua troppo giovanile, per cui, dandosi ai
divertimenti, lasciava lor fare quanto volevano. Una delle sue prime
azioni fu quella di ascoltar le querele universali de' popoli, e
massimamente del senato romano contro i ministri della crudeltà di suo
padre[684]. Erano questi _Massimino_, allora prefetto del pretorio delle
Gallie, _Simplicio_ e _Doriferiano_. Processati costoro, provarono anche
essi, ma colpevoli, il supplizio che a tanti anche innocenti aveano
fatto provare. E perciocchè il senato romano dovette far doglianze per
tanti dell'ordine suo o uccisi o calpestati in maniere indebite da
Valentiniano, in lor favore spedì Graziano un editto, che con gioia fu
letto dal celebre _Simmaco_[685], uno allora de' senatori. Siccome
riportò plauso da ognuno la morte data a quei crudeli ministri, così fu
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