Annali d'Italia, vol. 2 - 09
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tremuoto che rovinò tutte le cave e case vicine colla morte d'assaissime
persone, e specialmente di moltissimi di quegli operai. Non rallentarono
per questo i Giudei il lavoro; ma, nel più bel del cavare, sboccò da più
lati de' fondamenti, e più di una volta, un fuoco che abbruciò gran
numero di persone; e beato chi ebbe tempo da fuggire. In somma questi ed
altri flagelli, riconosciuti per prodigiosi fin dagli stessi Giudei,
fecero cessar l'impresa, e recarono insigne gloria alle parole del
Salvatore e alla santa sua religione. E non già i soli scrittori
cristiani di questo e del seguente secolo, come il Nazianzeno,
sant'Ambrosio[421], il Grisostomo[422], Socrate, e Sozomeno, ed altri
attestarono la verità del miracolo, ma anche lo stesso Ammiano[423]
gentile ne fa fede con iscrivere: _Metuendi globi flammarum prope
fundamenta crebris assultibus erumpentes fecere locum exustis aliquoties
operantibus inaccessum._
Le applicazioni maggiori dell'Augusto Giuliano erano state fin qui
intorno i preparamenti della guerra ch'egli meditava di fare a Sapore re
di Persia, per vendicare, diceva egli, i tanti oltraggi e danni recati
all'imperio romano da' Persiani sotto Costanzo, ma più per avidità di
gloria, figurandosi non da meno d'altri Augusti predecessori che aveano
portate l'armi e il terrore nel cuor della Persia. Ed ancorchè Sapore,
sentendo il turbine minaccioso, dimandasse con sua lettera di potergli
spedire degli ambasciatori per trattar di pace, con offerir anche delle
condizioni vantaggiose[424], Giuliano stracciò la lettera, nè volle
ascoltarlo. Socrate[425] pretende che gli ambasciatori vennero, ma non
riportarono altra risposta, se non che verrebbe l'imperatore a trattare
in persona con quel re senza bisogno d'ambasciatori. Ammassato dunque un
fioritissimo e potente esercito, senza voler aiuto da molte nazioni
orientali che s'erano esibite ausiliarie, a riserva d'un corpo di Goti,
mosse Giuliano da Antiochia nel dì 5 di marzo[426]. Ai nobili antiocheni
che lo accompagnarono un pezzo, e gli augurarono un buon viaggio, e un
felice e trionfal ritorno, con pregarlo di venir più placato e clemente
verso di loro, aspramente rispose che nol vedrebbono più, perchè volea
passare il verno in Tarso della Cilicia. Ve lo passò, ma diversamente da
quello ch'egli credeva. Il viaggio del guerriero Augusto e della sua
armata, e il passaggio dell'Eufrate, si trovano descritti dal medesimo
Giuliano[427], da Ammiano[428] e da Zosimo[429]. Giunto ch'egli fu a
Carres, lasciò uno staccamento di circa venti mila persone sotto il
comando di _Procopio_ e del _conte Sebastiano_, acciocchè custodissero
le frontiere della Mesopotamia, con iscrivere nel medesimo tempo ad
_Arsace_ re dell'Armenia in termini ingiuriosi, perchè era cristiano, e
comandandogli boriosamente di venire ad unire le sue forze colle sue.
Non mancò Sozomeno[430] di rilevar la vanità di Giuliano in quella
lettera, e il di lui veleno contro di Costanzo Augusto: lettera che,
perduta in addietro, ho io poi data alla luce[431]. Intanto una flotta
di settecento barche e di quattrocento altre da carico scendeva per
l'Eufrate, e venne ad unirsi all'armata di terra. Ammiano ne fa molto
maggiore il numero. Prese allora Giuliano il cammino a seconda di quel
fiume, e dopo aver passato il fiume Abora, e fatto rompere il ponte,
affinchè i soldati conoscessero che conveniva menar le mani, e non
fuggire, gl'incoraggì poi col donare a cadaun soldato centotrenta nummi
d'argento[432]. I suoi principali comandanti dell'armata erano _Nevitta,
Arinteo, Ormisda_ fratello bandito del re Sapore, _Dagalaifo, Vittore_ e
_Secondino_. Ascendeva questo corpo d'armata a sessantacinque mila
persone, gente scelta, e con esso entrò Giuliano nel paese persiano
dalla parte dell'Assiria, come dice Ammiano; e trovato quel territorio
fertile e ricco, lasciò metterlo tutto a sacco; e ciò senza consigliarsi
colla prudenza, perchè si privò de' foraggi e viveri che gli avrebbono
potuto servir nel ritorno. Ammiano[433], che si trovava in quella
spedizione, oltre a Libanio[434] e Zosimo[435], descrive minutamente il
continuato viaggio di Giuliano, a cui niuno si trovava che facesse
resistenza. Prese alcune castella, e specialmente la città di Bersabora,
una delle maggiori di quelle contrade, e poscia a forza d'armi
Maozamalca, altra gran città. Non era egli lungi da Ctesifonte, capitale
allora della Persia, quando arditamente fece passare il fiume Tigri
all'armata sua in faccia ai nemici che ne difendevano la ripa opposta, e
andarono ben presto in rotta. Vero è avere Socrate[436] scritto che
Giuliano imprese l'assedio di Ctesifonte, dove era chiuso lo stesso re
Sapore; ma dagli autori contemporanei, cioè da Ammiano, Libanio e s.
Gregorio Nazianzeno, altro non sappiamo se non ch'egli fece dar il
guasto ai contorni d'essa città, e che Sapore si trovava lungi di là,
intento a metter insieme una poderosa armata per resistere ai Romani.
Non lasciò egli di spedir altri deputati a Giuliano per dimandar pace; e
questi s'indirizzarono ad Ormisda, fratello d'esso re, il quale militava
in favor di Giuliano. Ne parlò Ormisda; ma Giuliano, senza volerne
intender parola, gli ordinò di licenziar tosto que' messi, e di coprire
il motivo della lor venuta per timore che le lusinghe della pace non
ismorzassero l'ardor delle truppe. Giacchè riconobbe pericoloso
l'assediar Ctesifonte, non che difficile l'impadronirsene, determinò
Giuliano di tornarsene addietro alla lunga del Tigri[437]. Ma lasciatosi
sovvertire da un furbo disertore persiano, al dispetto de' consigli
d'Ormisda si allontanò da quel fiume, e prese a passare per mezzo al
paese insperanzito ancora di trovar Sapore e di dargli battaglia. Fece
prendere ai soldati dei viveri per venti giorni, ed affinchè la flotta,
da cui ritirò le milizie, non cadesse in man dei nemici, a riserva di
alquante barche, tutta la bruciò. Dio, che voleva alfin liberare la
terra da questo nemico del nome cristiano, e che tanto confidava ne'
falsi dii, permise ch'egli si accecasse in questa forma, appigliandosi
ad una risoluzion tale, che da Ammiano e de altri altamente vien
condannata.
Si mise in marcia l'armata romana, ma piena di mormorazioni, nel dì 16
di giugno: ed ecco comparir Sapore con quante forze potè, non per
decidere la sorte con una giornata campale, ma solamente per infestare e
pizzicar da ogni lato i Romani, sperando specialmente di affamarli,
perchè preventivamente avea desolato il paese per dove aveano da
passare[438]. Così appunto avvenne. D'uopo fu lo star quasi sempre in
armi; frequenti furono le scaramuccie; mancarono in fine i viveri, e
foraggio non si trovava: però i lamenti e la costernazione si diffusero
per tutto l'esercito. Venne il dì 20 di giugno, in cui più arditi che
mai giunsero in grosso numero e in varii corpi i Persiani ad assalire i
Romani che erano in marcia, molestandoli qua e là, e massimamente alla
coda. Giuliano, all'intendere il gran rumore e la strage che faceva de'
suoi il nimico, senza far caso del trovarsi allora senza usbergo, anzi
affatto disarmato, dato di piglio ad uno scudo, volò ad incoraggire i
suoi. Ma mentre egli dà la caccia ai nemici[439], un'asta lanciata da un
cavaliere gli volò addosso, e trapassategli le coste, penetrò sino alle
viscere. Caduto da cavallo, fu immediatamente portato sopra uno scudo in
luogo sicuro; si mise mano ai medicamenti; tale nondimeno era la ferita,
che nella notte seguente si trovò disperata la sua salute. Dimandò egli
che luogo era quello. Gli fu risposto _Frigia_. Allora Giuliano si tenne
spedito, perchè dicono essergli stato gran tempo innanzi predetto che
morrebbe nella Frigia. Di simili predizioni altri esempli ci somministra
la storia, con apparenza che sieno state inventate dopo il fatto dai
gentili, per accreditar le pazze loro superstizioni. In somma Giuliano
in quella stessa notte terminò i suoi giorni in età di circa trentadue
anni. Tale è il racconto che fa della morte di Giuliano lo storico
Ammiano, il quale si trovava in quella stessa armata, ed aggiugne
essersi nel conflitto d'esso giorno fatto gran macello dei Persiani,
finchè la notte diede fine alla pugna, e che restarono sul campo morti
cinquanta dei loro satrapi. Io non la finirei sì presto, se volessi qui
riferir la varietà dei racconti che abbiamo intorno alle circostanze
della morte di questo apostata imperadore. Scrive Teodoreto[440]
ch'egli, preso colla mano del suo sangue, lo gittò in aria dicendo:
_L'hai vinta, Galileo._ Così soleva egli chiamare il Signor nostro Gesù
Cristo. Altrettanto abbiamo da Sozomeno[441]. Secondo Filostorgio[442],
egli bestemmiò il sole, suo gran dio, e tutti gli altri dii, trattandoli
da traditori. Quanto al cavaliere che colla lancia (altri[443] dicono
con un dardo, ed altri colla spada) diede il colpo mortale a Giuliano,
mai non si potè sapere chi fosse. Libanio sofista pagano[444], spacciato
adorator di questa apostata, il solo è che ne fa autore un cristiano,
giacchè egli dice aver prima d'allora i cristiani tramate altre insidie
contro la vita di lui; e che il re persiano, per quante diligenze
facesse, e per quante ricompense promettesse, non potè trovare alcun de'
suoi che si vantasse d'aver fatto quel colpo. Ma il medesimo Libanio
altrove[445] tien un altro parere, attribuendo ciò ad un Aquemenide,
cioè ad un Persiano. Eutropio[446], che si trovò anche egli in quella
spedizione, Rufo Festo[447] ed Aurelio Vittore[448] scrivono che la
ferita venne dalla mano d'un cavalier nemico, che gli gittò l'asta in
fuggire, com'era l'uso de' Persiani. Ammiano e Zosimo, se un cristiano
fosse stato l'uccisore, siccome pagani, verisimilmente non l'avrebbono
taciuto. Il primo d'essi solamente scrive essere corsa voce, che un
Romano l'avesse mortalmente ferito. Qualunque nondimeno fosse un tal
cavaliere, certo egli fu esecutore e ministro della volontà e giustizia
di Dio, nel cui tribunale era acceso il processo della nera apostasia di
Giuliano, e peroravano le lagrime e preghiere de' santi contra di questo
persecutore del popolo e della religion de' cristiani. Però essi
cristiani attribuirono alla onnipossente mano di Dio la di lui
caduta[449], e il rappresentarono dipoi come trafitto con una lancia da
san Mercurio martire. Fu portato il corpo dell'estinto Giuliano a Tarso
di Cilicia[450], dove accompagnato da commedianti e buffoni (che tale
era l'uso dei gentili) ebbe un'assai vile sepoltura, e per accidente fu
posto vicino a quello di Massimino II Augusto, cioè di un altro fiero
nemico della religion cristiana. Non si potrebbe abbastanza dire con che
gioia dai popoli cristiani, con che dolore dai pagani fosse intesa la
morte di questo empio imperadore. Libanio[451] confessa che fu vicino a
darsi la morte a questo avviso; ma volle sopravvivere, per poterne far
l'orazione funebre, ed in fatti la compose dipoi con impiegar la sua
adulatoria eloquenza a dare risalto alle apparenti di lui virtù, e a
caricarlo di lodi eccessive. Ma nè pur fra i cristiani mancò chi con
migliore pennello lasciò dipinti i vizii e le iniquità di Giuliano; e
questi fu san Gregorio Nazianzeno[452], il quale con soda facondia
compose due celebri orazioni contra di lui, e ci lasciò un ritratto più
somigliante al vero di quel che fecero i gentili.
Questo avvenimento poi, quanto men pensato, tanto più dovette recar di
confusione non solo al medesimo Giuliano ferito, ma ancora al paganesimo
tutto. Sforzaronsi ben Ammiano[453] e Libanio[454] per far credere che
gli aruspici indovini e maghi, de' quali cotanto abbondava, e sì forte
si fidava il superstizioso Augusto, osservarono più presagii della di
lui vicina morte; ma il fatto grida in contrario. Certo è che Giuliano,
badando a quegl'impostori, si prometteva gloriose vittorie, ed aveva già
spedito Memorio presidente della Cilicia, perchè gli preparasse buon
quartiere in Tarso, dov'egli pensava di svernare. Si sa inoltre che egli
avea minacciato un fiero scempio ai cristiani, tornato che fosse
glorioso per la sognata vittoria de' Persiani. Fuor di dubbio è ancora
che Giuliano[455] prima di uscire in campagna, e per tutto il viaggio,
fece innumerabili sagrifizii, tanto per aver favorevoli gli insensati
suoi dii, quanto per cercar nelle viscere delle vittime la cognizion
dell'avvenire. Lo stesso Ammiano[456] confessa ch'egli alle volte in un
sol sacrifizio faceva scannar centinaia di buoi, ed innumerabili greggi
d'altre bestie, e bianchi uccelli, cercati per mare e per terra, di modo
che quasi non passava giorno, in cui colle carni di tanti animali uccisi
non solamente s'ingrassassero i falsi suoi sacerdoti, ma ne sguazzassero
ancora tutti i suoi soldati: spesa indicibile, condannata fin da quel
medesimo storico gentile. Così nel celebre tempio di Carres dedicato
alla Luna, per quanto narra Teodoreto[457], chiusosi Giuliano un giorno
durante la suddetta spedizione, non si seppe cosa ivi facesse, se non
che uscito, mise le guardie a quel luogo, con ordine di non lasciarvi
entrar persona sino al suo ritorno. Venuta poi la nuova di sua morte, fu
aperto il tempio, e vi si trovò una donna impiccata col ventre aperto,
per qualche incantesimo fatto da Giuliano, o pure per cercar nelle di
lei viscere quel che gli dovea succedere nella guerra co' Persiani. Che
impostore solenne dovette mai essere il primo che fece credere, e trovò
poi tanti che stoltamente credettero potersi nelle viscere degli animali
scoprir l'avvenire de' fatti degli uomini e degli accidenti della vita!
Che han che fare i fegati e polmoni delle bestie, sagrificate a caso,
colle azioni umane, onde si potesse leggere quivi, come in un libro, le
cifre di quel che dovea accadere? L'evento poi fece pur conoscere quante
fossero in ciò le illusioni di Giuliano, quanto vana la di lui fidanza
ne' suoi idoli. Allorchè egli si credea vicino al colmo della gloria, e
nel tempo stesso, come osservò il Nazianzeno[458], che tutto il
paganesimo immolava vittime per lui: eccolo steso a terra dalla destra
di Dio, e andare in un fascio le sue glorie, e seco tutte le speranze
de' gentili, i quali già si figuravano di dover calpestare la Croce, e
rendere idolatra di nuovo il romano imperio. Perchè erano bene
incamminate le lettere in questi tempi, si possono rammentare sotto il
breve regno di Giuliano varii scrittori che registrarono le azioni di
lui, come _Ammiano Marcellino, Eunapio, Temistio_ e _Libanio_, celebri
sofisti pagani. Abbiamo ancora alcuni libri del medesimo _Giuliano_
pieni di satire e di buffonerie. Non resta più quello ch'egli scrisse
contro la religione cristiana, ma bensì ne abbiamo la confutazione fatta
da san Cirillo vescovo d'Alessandria. Altri sofisti e filosofi fiorirono
allora, de' quali si son perdute le opere, e fu in credito ancora
_Oribasio_ medico, di cui si son conservati varii libri. Ma se i gentili
coltivavano allora le lettere, non men di loro vi si applicarono i
cristiani, fra' quali specialmente gran nome e venerazione venne ai
santi _Basilio, Gregorio Nisseno, Gregorio Nazianzeno, Cesario, Ilario_
e ad altri, dei quali parla la storia ecclesiastica e letteraria.
Trovavasi l'armata romana per l'imprudente condotta di Giuliano in
grandissime angustie, perchè in un paese incognito e difficile; priva di
vettovaglie, e senza sapere onde condurne; sminuita di molto per li
patimenti e per le battaglie; attorniata tuttavia e continuamente
infestata dall'armi persiane. A questi malanni si aggiunse l'inaspettata
morte dell'imperadore: il perchè tutto era confusione ed affanno. Sì
fiera contingenza obbligò gli uffiziali di esso esercito a provvedersi
di un capo senza perdere tempo; e perciò nel dì seguente, giorno 27 di
giugno, concordemente elessero imperador _Gioviano_[459], ch'era allora
capitan della guardia appellata de' domestici, personaggio di gran
riputazione nella corte, e per la sua dolcezza, onoratezza e prudenza
amato e stimato da ognuno[460]. Era stato suo padre _Varroniano_ conte,
nativo di Singidono città della Mesia, che aveva esercitata la stessa
carica nella guardia de' domestici, e poi s'era ritirato per godere il
resto dei suoi giorni in riposo[461]. Anche il credito del padre
contribuì non poco alla esaltazione del figliuolo. Secondo i conti di
Eutropio, nacque Gioviano circa l'anno 331, e nelle medaglie[462] il
troviamo chiamato _Flavio Claudio Gioviano_. Ci vorrebbe far credere
Ammiano[463] che quasi accidentale fosse la di lui elezione, e molti se
ne mostrassero malcontenti; e vorrà dire i pagani. Sparla ancora dei di
lui costumi. Altrettanto fa Eunapio[464]. Erano amendue gentili. Ma
Zosimo[465], che pur era anch'egli pagano, e Teodoreto[466] lo attestano
eletto di comune consentimento; e ciò vien confermato da Eutropio che si
trovò in quell'armata. Cristiano di professione era Gioviano; e ricavasi
da Socrate[467], che avendo l'apostata Giuliano intimato agli uffiziali
di rinunziare alla religion cristiana, o pur ai lor impegni, Gioviano
allora tribuno scelse l'ultimo partito. Ma perchè egli era uomo
sperimentato nella milizia, gli conservò il suo posto. E di questo suo
attaccamento una pruova gloriosa diede egli appena creato
imperadore[468]. Imperocchè, senza temere la possanza de' generali e il
capriccio dei soldati, protestò d'essere cristiano, e di non poter
comandare ad un'armata, che avendo appresa da Giuliano l'empietà, ed
essendo abbandonata da Dio, altro non dovea aspettarsi che l'ultimo
eccidio. Al che risposero ad alta voce i soldati, con dichiararsi
cristiani, perchè parte tali erano, e gli altri elessero di farsi.
Quello che dipoi succedesse per conto della guerra co' Persiani, benchè
spettante al presente anno, pure chieggo licenza di riferirlo al
seguente.
NOTE:
[407] Pagius, Crit. Baron. ad annum 362, n. 32.
[408] Ammian., lib. 26, cap. 3.
[409] Gregor. Nazianz., Orat. IV. Chrysostom., in Gent. Sozomenus, lib.
6 Hist., cap. 2.
[410] Liban., Orat. XII.
[411] Ammian., lib. 22, cap. 13.
[412] Julian., in Misopog. Libanius, Orat. XII.
[413] Ammianus, lib. 22, cap. 14.
[414] Liban., in Vita sua.
[415] Zosimus, lib. 3, cap. 11.
[416] Julian., in Misopog.
[417] Socrates, lib. 3 Hist., cap. 17. Sozomenus, lib. 4 Hist., cap. 19.
[418] Gregorius Nazianz., Orat. IV.
[419] Ammianus, lib. 22, cap. 14.
[420] Theodoretus, lib. 3 Hist., cap. 15. Gregorius Nazianz., Orat. IV.
Socrates, l. 3 Hist., c. 20.
[421] Ambros., Epistol. ad Theod.
[422] Chrysostomus, in Judaeos.
[423] Ammianus, lib. 23, cap. 1.
[424] Liban., Orat. X.
[425] Socrat., lib. 3, cap. 19.
[426] Ammianus, lib. 23, cap. 2.
[427] Julian., Epist. XXVII.
[428] Ammianus, lib. 23, cap. 2.
[429] Zosimus, lib. 3, cap. 12.
[430] Sozom., lib. 6 Histor., cap. 1.
[431] Anecdota Graeca.
[432] Zosim., lib. 3. cap. 13.
[433] Ammianus, lib. 24, cap. 1.
[434] Liban., Orat. XII.
[435] Zosim., lib. 3, cap. 17.
[436] Socrat., lib. 3, cap. 21.
[437] Joan. Malala, Chron. Rufus Fest., in Brev.
[438] Ammianus, lib. 25, cap. 1 et seq. Rufus Festus, in Brev. Aurelius
Victor, in Epitome.
[439] Ammianus, lib. 25, cap. 3.
[440] Theodoretus, lib. 3 Hist., cap. 20.
[441] Sozomenus, Histor., lib. 4, cap. 2.
[442] Philostorg., lib. 6, cap. 15.
[443] Zonaras, in Annalib. Chronicon Alexandrin.
[444] Liban., Orat. XII.
[445] Idem, Orat. XI.
[446] Eutrop., in Breviar.
[447] Rufus Festus, in Breviar.
[448] Aurelius Victor, in Epitome.
[449] Joannes Malala, in Chron. Alexand.
[450] Gregor. Nazianzen., Orat. IV.
[451] Liban., in Vita sua. Idem, Orat. XI et XII.
[452] Gregor. Nazianz., Orat. IV.
[453] Ammian., lib. 23, cap. 2.
[454] Liban., de Templ.
[455] Ammian., lib. 22, cap. 12.
[456] Idem, ibid.
[457] Theodoretus, lib. 3 Hist., cap. 21.
[458] Gregor. Nazianz., Orat. IV.
[459] Eutropius, in Breviar. Hieronymus, in Chronic.
[460] Aurelius Victor, in Epitome. Ammianus, lib. 25, cap. 7.
[461] Themist., Orat. V.
[462] Du-Cange, Hist. Byz. Mediobarbus, Numism. Imper.
[463] Ammian., lib. 25, cap. 7.
[464] Eunap., Vit. Sophist.
[465] Zosimus, lib. 3 Hist., cap. 30.
[466] Theod., lib. 4 Hist., cap. 1.
[467] Socrates, lib. 3 Hist., cap. 22.
[468] Rufin., Hist., lib. 3. Socrates. Sozomen. Theodoret.
Anno di CRISTO CCCLXIV. Indizione VII.
LIBERIO papa 13.
VALENTINIANO e
VALENTE imperadori 1.
_Consoli_
FLAVIO CLAUDIO GIOVIANO AUGUSTO e FLAVIO VARRONIANO nobilissimo
fanciullo.
Ebbe Gioviano Augusto per moglie _Caritone_, figliuola di Lucilliano
generale rinomato in questi tempi, che gli partorì una figlia ed un
figliuolo, nomato _Varroniano_, in età allora, per quanto si può
raccogliere da Ammiano[469], di circa un anno. Conferì Gioviano a questo
suo rampollo il titolo di _nobilissimo fanciullo_, e il volle console
seco per l'anno presente; ma perchè coi vagiti e colla ripugnanza mostrò
di non voler essere condotto nella sedia curale, i superstiziosi pagani
presero ciò per un presagio di disgrazie. Tornando ora alle avventure
dell'anno precedente, da che Gioviano fu proclamato Augusto, cominciò a
pensare ai mezzi di salvare l'armata dall'evidente rischio di perire
affatto o per le armi de' Persiani, o per la mancanza de' viveri[470].
Intanto un alfiere romano, tra cui e Gioviano erano passati dei
disgusti, desertò, e portò al re Sapore la nuova della morte di
Giuliano; che essendo eletto in luogo di lui un imperadore dappoco, era
venuto il tempo di subissare i Romani. Animato da tali avvisi il
Persiano, per tre giorni con tutte le sue forze inseguì la marcia del
nemico esercito, non senza strage di molti Romani, ma sempre con perdita
maggiore dal canto suo. Arrivò nel primo dì di luglio l'afflitta armata
romana alla città di Dura, non lungi dal Tigri, e si stentò forte a
tener in dovere le ammutinate milizie, che faceano istanza di passar
tosto quel rapido fiume, benchè senza ponte, e prive affatto di barche,
perchè la fame li pungeva, e toccava ai poveri cavalli uccisi di servir
loro di pane. In questo miserabile stato, e in pericolo di restar tutti
preda dei nemici, come si può conghietturare, mosso Iddio in riguardo
del piissimo imperadore a pietà[471], fece che il re persiano
spontaneamente inviò persone a Gioviano Augusto per trattar di
pace[472]. A tale spedizione si credè spinto Sapore dalla notizia
d'essere stati in ogni scaramuccia e fatto d'armi perditori i suoi
soldati, dal timore di peggio, e dal desiderio di liberare il suo paese
da un sì poderoso nemico. Riconobbe lo stesso Ammiano, benchè nemico di
Gioviano, per un favor particolare di Dio, una tale spedizione e
dimanda, quando le apparenze tutte erano che Sapore potea finir la
guerra colla total rovina dell'esercito romano. Trattossi dunque di pace
nello spazio di quattro giorni; e perchè i Romani si trovavano in troppo
svantaggio, e si udiva che _Procopio_, parente del defunto Giuliano,
macchinava ribellione, fu astretto l'Augusto Gioviano a comperar dai
nemici una pace vergognosa bensì per l'imperio romano, ma
necessaria[473]. Gli convenne dunque restituire a' Persiani cinque
provincie picciole con alcune castella che essi aveano già ceduto ai
Romani sotto Diocleziano, ed inoltre abbandonar loro le città di Nisibi
e di Singara, con ritirarne prima gli abitanti. Zosimo[474] aggiugne che
anche buona parte dell'Armenia passò allora in poter de' Persiani, ma
ciò accadde in altro tempo. Non lasciarono gli scrittori pagani, cioè
Ammiano, Eutropio e Zosimo, di processar Gioviano imperadore, quasichè
con questo trattato di pace egli facesse perdere il credito al romano
imperio, il cui chimerico dio Termine si gloriavano una volta i Romani
che non rinculcava giammai. E pure abbiamo veduto che Adriano, Aureliano
e Diocleziano abbandonarono ai Barbari varie provincie che già erano
dell'imperio. Oltre di che, non si doveva a Gioviano attribuir questo
infelice successo, ma bensì alla imprudenza e temerità di Giuliano, per
aver fatta bruciar la flotta necessaria, e poscia impegnata l'armata
romana così innanzi nel paese nemico, fatto altresì devastare da lui,
senza aver punto di comunicazione col proprio, e senza prendere buone
misure per l'importante sussistenza e provvisione de' viveri. In tali
strettezze il consiglio si prende non dall'amore della gloria, nè dalla
propria volontà, ma bensì dalla necessità e dall'arbitrio di chi gode il
vantaggio. Che se da Eutropio[475] è biasimato Gioviano, perchè dopo
essere giunto in salvo non ruppe il trattato: di questa infame politica
non si servono i principi veramente cristiani che rispettano Dio più
della propria utilità, nè adoperano mai il giuramento per ingannare
altrui, sapendo quando Iddio, chiamato in testimonio de' patti,
abborrisca e gastighi gli spergiuri.
Stabilita la pace e dati gli ostaggi, quietamente, ma con gran fatica e
perdita di molte persone annegate, o morte di fame[476], passò l'armata
romana di là dal Tigri, e le convenne far tuttavia viaggio per sei
giorni, senza trovar neppur acqua non che cibo, supplendo al bisogno
l'erbe e la carne de' cammelli uccisi. Arrivati finalmente al castello
d'Ur, trovarono ivi qualche rinfresco, finchè giunsero in siti da
potersi ben satollare. Allora Gioviano Augusto spedì in Italia,
nell'Illirico e nelle Gallie uffiziali a portar la nuova della sua
esaltazione, distribuì i governi e le cariche. Giunto poi che fu a
Nisibi, volle eseguita la capitolazione, consegnando a' Persiani quella
ricca e popolata città, con trasportarne altrove gli abitanti: scena
lagrimevole descritta da Ammiano[477] e da Zosimo[478], e più
pateticamente dal Grisostomo[479], in guisa che intenerisce i lettori.
Nel mese di ottobre finalmente pervenne ad Antiochia, il cui popolo, da
che intese la morte dell'apostata Giuliano, avea fatta gran festa,
gridando dappertutto[480]: _Dio l'ha vinta, e Gesù Cristo con lui_: con
passar poi a dileggiare l'estinto odiato principe, e Massimo filosofo, e
tutta l'altra ciurma degli incantatori e indovini che l'aveano burlato
con tante loro promesse. Applicossi tosto il novello imperadore a
ristabilire la pace della religione cristiana. Se vogliam credere a
Temistio[481], egli permise ad ognuno la libertà di osservar quella che
più gli piacesse, nè ai pagani vietò l'uso dei loro templi e sagrifizii.
Altramente ne parla Socrate[482], con dire che d'ordine suo furono
chiusi di nuovo i templi degl'idoli. Quel che è più, lo stesso
Libanio[483] sofista, sì caro a Giuliano, confessa che dopo la morte di
lui ognun poteva a man salva parlare contra de' falsi dii, e che i
templi de' gentili restavano serrati e andavano in rovina; e che i
sacerdoti filosofi e sofisti pagani erano maltrattati, derisi e
imprigionati. Libanio anch'egli corse gran pericolo della vita[484],
perchè non cessava di piangere e lodar Giuliano; ma il buon Gioviano non
gli volle mai fare un reato di questo suo pazzo impegno. Furono dunque
dal piissimo Augusto restituiti tutti i privilegii alle chiese, al
clero, alle vergini e vedove sacre, e richiamati dall'esilio i vescovi
cattolici, molti de' quali erano stati banditi dal perfido Giuliano, e
massimamente l'insigne vescovo d'Alessandria sant'Atanasio[485]. Andò
egli a trovar Gioviano in Antiochia, e la sua presenza assaissimo giovò
per preservare il di lui cuore dalle suggestioni degli ariani, de'
macedoniani e degli altri eretici o scismatici di questi tempi. Ma che?
Mentre il buon principe s'affatica per la tranquillità della Chiesa e
per la pubblica felicità, ecco un'improvvisa morte troncar il filo di
sua vita, e far abortire tutti i di lui gloriosi disegni. S'affrettava
egli per venire in Occidente affin di mettere riparo alle sedizioni e
rivolte che si temevano. Ed in fatti essendo egli pervenuto a Tiana
nella Cappadocia, gli giunse avviso che _Lucilliano_ suocero suo, creato
ultimamente, o pure confermato generale dell'armi nell'Illirico[486],
essendo passato nelle Gallie, quivi dai soldati batavi ammutinati era
stato privato di vita. _Valentiniano_ tribuno, ch'era seco, ebbe la
fortuna di salvarsi, destinato da Dio per divenir imperadore fra pochi
persone, e specialmente di moltissimi di quegli operai. Non rallentarono
per questo i Giudei il lavoro; ma, nel più bel del cavare, sboccò da più
lati de' fondamenti, e più di una volta, un fuoco che abbruciò gran
numero di persone; e beato chi ebbe tempo da fuggire. In somma questi ed
altri flagelli, riconosciuti per prodigiosi fin dagli stessi Giudei,
fecero cessar l'impresa, e recarono insigne gloria alle parole del
Salvatore e alla santa sua religione. E non già i soli scrittori
cristiani di questo e del seguente secolo, come il Nazianzeno,
sant'Ambrosio[421], il Grisostomo[422], Socrate, e Sozomeno, ed altri
attestarono la verità del miracolo, ma anche lo stesso Ammiano[423]
gentile ne fa fede con iscrivere: _Metuendi globi flammarum prope
fundamenta crebris assultibus erumpentes fecere locum exustis aliquoties
operantibus inaccessum._
Le applicazioni maggiori dell'Augusto Giuliano erano state fin qui
intorno i preparamenti della guerra ch'egli meditava di fare a Sapore re
di Persia, per vendicare, diceva egli, i tanti oltraggi e danni recati
all'imperio romano da' Persiani sotto Costanzo, ma più per avidità di
gloria, figurandosi non da meno d'altri Augusti predecessori che aveano
portate l'armi e il terrore nel cuor della Persia. Ed ancorchè Sapore,
sentendo il turbine minaccioso, dimandasse con sua lettera di potergli
spedire degli ambasciatori per trattar di pace, con offerir anche delle
condizioni vantaggiose[424], Giuliano stracciò la lettera, nè volle
ascoltarlo. Socrate[425] pretende che gli ambasciatori vennero, ma non
riportarono altra risposta, se non che verrebbe l'imperatore a trattare
in persona con quel re senza bisogno d'ambasciatori. Ammassato dunque un
fioritissimo e potente esercito, senza voler aiuto da molte nazioni
orientali che s'erano esibite ausiliarie, a riserva d'un corpo di Goti,
mosse Giuliano da Antiochia nel dì 5 di marzo[426]. Ai nobili antiocheni
che lo accompagnarono un pezzo, e gli augurarono un buon viaggio, e un
felice e trionfal ritorno, con pregarlo di venir più placato e clemente
verso di loro, aspramente rispose che nol vedrebbono più, perchè volea
passare il verno in Tarso della Cilicia. Ve lo passò, ma diversamente da
quello ch'egli credeva. Il viaggio del guerriero Augusto e della sua
armata, e il passaggio dell'Eufrate, si trovano descritti dal medesimo
Giuliano[427], da Ammiano[428] e da Zosimo[429]. Giunto ch'egli fu a
Carres, lasciò uno staccamento di circa venti mila persone sotto il
comando di _Procopio_ e del _conte Sebastiano_, acciocchè custodissero
le frontiere della Mesopotamia, con iscrivere nel medesimo tempo ad
_Arsace_ re dell'Armenia in termini ingiuriosi, perchè era cristiano, e
comandandogli boriosamente di venire ad unire le sue forze colle sue.
Non mancò Sozomeno[430] di rilevar la vanità di Giuliano in quella
lettera, e il di lui veleno contro di Costanzo Augusto: lettera che,
perduta in addietro, ho io poi data alla luce[431]. Intanto una flotta
di settecento barche e di quattrocento altre da carico scendeva per
l'Eufrate, e venne ad unirsi all'armata di terra. Ammiano ne fa molto
maggiore il numero. Prese allora Giuliano il cammino a seconda di quel
fiume, e dopo aver passato il fiume Abora, e fatto rompere il ponte,
affinchè i soldati conoscessero che conveniva menar le mani, e non
fuggire, gl'incoraggì poi col donare a cadaun soldato centotrenta nummi
d'argento[432]. I suoi principali comandanti dell'armata erano _Nevitta,
Arinteo, Ormisda_ fratello bandito del re Sapore, _Dagalaifo, Vittore_ e
_Secondino_. Ascendeva questo corpo d'armata a sessantacinque mila
persone, gente scelta, e con esso entrò Giuliano nel paese persiano
dalla parte dell'Assiria, come dice Ammiano; e trovato quel territorio
fertile e ricco, lasciò metterlo tutto a sacco; e ciò senza consigliarsi
colla prudenza, perchè si privò de' foraggi e viveri che gli avrebbono
potuto servir nel ritorno. Ammiano[433], che si trovava in quella
spedizione, oltre a Libanio[434] e Zosimo[435], descrive minutamente il
continuato viaggio di Giuliano, a cui niuno si trovava che facesse
resistenza. Prese alcune castella, e specialmente la città di Bersabora,
una delle maggiori di quelle contrade, e poscia a forza d'armi
Maozamalca, altra gran città. Non era egli lungi da Ctesifonte, capitale
allora della Persia, quando arditamente fece passare il fiume Tigri
all'armata sua in faccia ai nemici che ne difendevano la ripa opposta, e
andarono ben presto in rotta. Vero è avere Socrate[436] scritto che
Giuliano imprese l'assedio di Ctesifonte, dove era chiuso lo stesso re
Sapore; ma dagli autori contemporanei, cioè da Ammiano, Libanio e s.
Gregorio Nazianzeno, altro non sappiamo se non ch'egli fece dar il
guasto ai contorni d'essa città, e che Sapore si trovava lungi di là,
intento a metter insieme una poderosa armata per resistere ai Romani.
Non lasciò egli di spedir altri deputati a Giuliano per dimandar pace; e
questi s'indirizzarono ad Ormisda, fratello d'esso re, il quale militava
in favor di Giuliano. Ne parlò Ormisda; ma Giuliano, senza volerne
intender parola, gli ordinò di licenziar tosto que' messi, e di coprire
il motivo della lor venuta per timore che le lusinghe della pace non
ismorzassero l'ardor delle truppe. Giacchè riconobbe pericoloso
l'assediar Ctesifonte, non che difficile l'impadronirsene, determinò
Giuliano di tornarsene addietro alla lunga del Tigri[437]. Ma lasciatosi
sovvertire da un furbo disertore persiano, al dispetto de' consigli
d'Ormisda si allontanò da quel fiume, e prese a passare per mezzo al
paese insperanzito ancora di trovar Sapore e di dargli battaglia. Fece
prendere ai soldati dei viveri per venti giorni, ed affinchè la flotta,
da cui ritirò le milizie, non cadesse in man dei nemici, a riserva di
alquante barche, tutta la bruciò. Dio, che voleva alfin liberare la
terra da questo nemico del nome cristiano, e che tanto confidava ne'
falsi dii, permise ch'egli si accecasse in questa forma, appigliandosi
ad una risoluzion tale, che da Ammiano e de altri altamente vien
condannata.
Si mise in marcia l'armata romana, ma piena di mormorazioni, nel dì 16
di giugno: ed ecco comparir Sapore con quante forze potè, non per
decidere la sorte con una giornata campale, ma solamente per infestare e
pizzicar da ogni lato i Romani, sperando specialmente di affamarli,
perchè preventivamente avea desolato il paese per dove aveano da
passare[438]. Così appunto avvenne. D'uopo fu lo star quasi sempre in
armi; frequenti furono le scaramuccie; mancarono in fine i viveri, e
foraggio non si trovava: però i lamenti e la costernazione si diffusero
per tutto l'esercito. Venne il dì 20 di giugno, in cui più arditi che
mai giunsero in grosso numero e in varii corpi i Persiani ad assalire i
Romani che erano in marcia, molestandoli qua e là, e massimamente alla
coda. Giuliano, all'intendere il gran rumore e la strage che faceva de'
suoi il nimico, senza far caso del trovarsi allora senza usbergo, anzi
affatto disarmato, dato di piglio ad uno scudo, volò ad incoraggire i
suoi. Ma mentre egli dà la caccia ai nemici[439], un'asta lanciata da un
cavaliere gli volò addosso, e trapassategli le coste, penetrò sino alle
viscere. Caduto da cavallo, fu immediatamente portato sopra uno scudo in
luogo sicuro; si mise mano ai medicamenti; tale nondimeno era la ferita,
che nella notte seguente si trovò disperata la sua salute. Dimandò egli
che luogo era quello. Gli fu risposto _Frigia_. Allora Giuliano si tenne
spedito, perchè dicono essergli stato gran tempo innanzi predetto che
morrebbe nella Frigia. Di simili predizioni altri esempli ci somministra
la storia, con apparenza che sieno state inventate dopo il fatto dai
gentili, per accreditar le pazze loro superstizioni. In somma Giuliano
in quella stessa notte terminò i suoi giorni in età di circa trentadue
anni. Tale è il racconto che fa della morte di Giuliano lo storico
Ammiano, il quale si trovava in quella stessa armata, ed aggiugne
essersi nel conflitto d'esso giorno fatto gran macello dei Persiani,
finchè la notte diede fine alla pugna, e che restarono sul campo morti
cinquanta dei loro satrapi. Io non la finirei sì presto, se volessi qui
riferir la varietà dei racconti che abbiamo intorno alle circostanze
della morte di questo apostata imperadore. Scrive Teodoreto[440]
ch'egli, preso colla mano del suo sangue, lo gittò in aria dicendo:
_L'hai vinta, Galileo._ Così soleva egli chiamare il Signor nostro Gesù
Cristo. Altrettanto abbiamo da Sozomeno[441]. Secondo Filostorgio[442],
egli bestemmiò il sole, suo gran dio, e tutti gli altri dii, trattandoli
da traditori. Quanto al cavaliere che colla lancia (altri[443] dicono
con un dardo, ed altri colla spada) diede il colpo mortale a Giuliano,
mai non si potè sapere chi fosse. Libanio sofista pagano[444], spacciato
adorator di questa apostata, il solo è che ne fa autore un cristiano,
giacchè egli dice aver prima d'allora i cristiani tramate altre insidie
contro la vita di lui; e che il re persiano, per quante diligenze
facesse, e per quante ricompense promettesse, non potè trovare alcun de'
suoi che si vantasse d'aver fatto quel colpo. Ma il medesimo Libanio
altrove[445] tien un altro parere, attribuendo ciò ad un Aquemenide,
cioè ad un Persiano. Eutropio[446], che si trovò anche egli in quella
spedizione, Rufo Festo[447] ed Aurelio Vittore[448] scrivono che la
ferita venne dalla mano d'un cavalier nemico, che gli gittò l'asta in
fuggire, com'era l'uso de' Persiani. Ammiano e Zosimo, se un cristiano
fosse stato l'uccisore, siccome pagani, verisimilmente non l'avrebbono
taciuto. Il primo d'essi solamente scrive essere corsa voce, che un
Romano l'avesse mortalmente ferito. Qualunque nondimeno fosse un tal
cavaliere, certo egli fu esecutore e ministro della volontà e giustizia
di Dio, nel cui tribunale era acceso il processo della nera apostasia di
Giuliano, e peroravano le lagrime e preghiere de' santi contra di questo
persecutore del popolo e della religion de' cristiani. Però essi
cristiani attribuirono alla onnipossente mano di Dio la di lui
caduta[449], e il rappresentarono dipoi come trafitto con una lancia da
san Mercurio martire. Fu portato il corpo dell'estinto Giuliano a Tarso
di Cilicia[450], dove accompagnato da commedianti e buffoni (che tale
era l'uso dei gentili) ebbe un'assai vile sepoltura, e per accidente fu
posto vicino a quello di Massimino II Augusto, cioè di un altro fiero
nemico della religion cristiana. Non si potrebbe abbastanza dire con che
gioia dai popoli cristiani, con che dolore dai pagani fosse intesa la
morte di questo empio imperadore. Libanio[451] confessa che fu vicino a
darsi la morte a questo avviso; ma volle sopravvivere, per poterne far
l'orazione funebre, ed in fatti la compose dipoi con impiegar la sua
adulatoria eloquenza a dare risalto alle apparenti di lui virtù, e a
caricarlo di lodi eccessive. Ma nè pur fra i cristiani mancò chi con
migliore pennello lasciò dipinti i vizii e le iniquità di Giuliano; e
questi fu san Gregorio Nazianzeno[452], il quale con soda facondia
compose due celebri orazioni contra di lui, e ci lasciò un ritratto più
somigliante al vero di quel che fecero i gentili.
Questo avvenimento poi, quanto men pensato, tanto più dovette recar di
confusione non solo al medesimo Giuliano ferito, ma ancora al paganesimo
tutto. Sforzaronsi ben Ammiano[453] e Libanio[454] per far credere che
gli aruspici indovini e maghi, de' quali cotanto abbondava, e sì forte
si fidava il superstizioso Augusto, osservarono più presagii della di
lui vicina morte; ma il fatto grida in contrario. Certo è che Giuliano,
badando a quegl'impostori, si prometteva gloriose vittorie, ed aveva già
spedito Memorio presidente della Cilicia, perchè gli preparasse buon
quartiere in Tarso, dov'egli pensava di svernare. Si sa inoltre che egli
avea minacciato un fiero scempio ai cristiani, tornato che fosse
glorioso per la sognata vittoria de' Persiani. Fuor di dubbio è ancora
che Giuliano[455] prima di uscire in campagna, e per tutto il viaggio,
fece innumerabili sagrifizii, tanto per aver favorevoli gli insensati
suoi dii, quanto per cercar nelle viscere delle vittime la cognizion
dell'avvenire. Lo stesso Ammiano[456] confessa ch'egli alle volte in un
sol sacrifizio faceva scannar centinaia di buoi, ed innumerabili greggi
d'altre bestie, e bianchi uccelli, cercati per mare e per terra, di modo
che quasi non passava giorno, in cui colle carni di tanti animali uccisi
non solamente s'ingrassassero i falsi suoi sacerdoti, ma ne sguazzassero
ancora tutti i suoi soldati: spesa indicibile, condannata fin da quel
medesimo storico gentile. Così nel celebre tempio di Carres dedicato
alla Luna, per quanto narra Teodoreto[457], chiusosi Giuliano un giorno
durante la suddetta spedizione, non si seppe cosa ivi facesse, se non
che uscito, mise le guardie a quel luogo, con ordine di non lasciarvi
entrar persona sino al suo ritorno. Venuta poi la nuova di sua morte, fu
aperto il tempio, e vi si trovò una donna impiccata col ventre aperto,
per qualche incantesimo fatto da Giuliano, o pure per cercar nelle di
lei viscere quel che gli dovea succedere nella guerra co' Persiani. Che
impostore solenne dovette mai essere il primo che fece credere, e trovò
poi tanti che stoltamente credettero potersi nelle viscere degli animali
scoprir l'avvenire de' fatti degli uomini e degli accidenti della vita!
Che han che fare i fegati e polmoni delle bestie, sagrificate a caso,
colle azioni umane, onde si potesse leggere quivi, come in un libro, le
cifre di quel che dovea accadere? L'evento poi fece pur conoscere quante
fossero in ciò le illusioni di Giuliano, quanto vana la di lui fidanza
ne' suoi idoli. Allorchè egli si credea vicino al colmo della gloria, e
nel tempo stesso, come osservò il Nazianzeno[458], che tutto il
paganesimo immolava vittime per lui: eccolo steso a terra dalla destra
di Dio, e andare in un fascio le sue glorie, e seco tutte le speranze
de' gentili, i quali già si figuravano di dover calpestare la Croce, e
rendere idolatra di nuovo il romano imperio. Perchè erano bene
incamminate le lettere in questi tempi, si possono rammentare sotto il
breve regno di Giuliano varii scrittori che registrarono le azioni di
lui, come _Ammiano Marcellino, Eunapio, Temistio_ e _Libanio_, celebri
sofisti pagani. Abbiamo ancora alcuni libri del medesimo _Giuliano_
pieni di satire e di buffonerie. Non resta più quello ch'egli scrisse
contro la religione cristiana, ma bensì ne abbiamo la confutazione fatta
da san Cirillo vescovo d'Alessandria. Altri sofisti e filosofi fiorirono
allora, de' quali si son perdute le opere, e fu in credito ancora
_Oribasio_ medico, di cui si son conservati varii libri. Ma se i gentili
coltivavano allora le lettere, non men di loro vi si applicarono i
cristiani, fra' quali specialmente gran nome e venerazione venne ai
santi _Basilio, Gregorio Nisseno, Gregorio Nazianzeno, Cesario, Ilario_
e ad altri, dei quali parla la storia ecclesiastica e letteraria.
Trovavasi l'armata romana per l'imprudente condotta di Giuliano in
grandissime angustie, perchè in un paese incognito e difficile; priva di
vettovaglie, e senza sapere onde condurne; sminuita di molto per li
patimenti e per le battaglie; attorniata tuttavia e continuamente
infestata dall'armi persiane. A questi malanni si aggiunse l'inaspettata
morte dell'imperadore: il perchè tutto era confusione ed affanno. Sì
fiera contingenza obbligò gli uffiziali di esso esercito a provvedersi
di un capo senza perdere tempo; e perciò nel dì seguente, giorno 27 di
giugno, concordemente elessero imperador _Gioviano_[459], ch'era allora
capitan della guardia appellata de' domestici, personaggio di gran
riputazione nella corte, e per la sua dolcezza, onoratezza e prudenza
amato e stimato da ognuno[460]. Era stato suo padre _Varroniano_ conte,
nativo di Singidono città della Mesia, che aveva esercitata la stessa
carica nella guardia de' domestici, e poi s'era ritirato per godere il
resto dei suoi giorni in riposo[461]. Anche il credito del padre
contribuì non poco alla esaltazione del figliuolo. Secondo i conti di
Eutropio, nacque Gioviano circa l'anno 331, e nelle medaglie[462] il
troviamo chiamato _Flavio Claudio Gioviano_. Ci vorrebbe far credere
Ammiano[463] che quasi accidentale fosse la di lui elezione, e molti se
ne mostrassero malcontenti; e vorrà dire i pagani. Sparla ancora dei di
lui costumi. Altrettanto fa Eunapio[464]. Erano amendue gentili. Ma
Zosimo[465], che pur era anch'egli pagano, e Teodoreto[466] lo attestano
eletto di comune consentimento; e ciò vien confermato da Eutropio che si
trovò in quell'armata. Cristiano di professione era Gioviano; e ricavasi
da Socrate[467], che avendo l'apostata Giuliano intimato agli uffiziali
di rinunziare alla religion cristiana, o pur ai lor impegni, Gioviano
allora tribuno scelse l'ultimo partito. Ma perchè egli era uomo
sperimentato nella milizia, gli conservò il suo posto. E di questo suo
attaccamento una pruova gloriosa diede egli appena creato
imperadore[468]. Imperocchè, senza temere la possanza de' generali e il
capriccio dei soldati, protestò d'essere cristiano, e di non poter
comandare ad un'armata, che avendo appresa da Giuliano l'empietà, ed
essendo abbandonata da Dio, altro non dovea aspettarsi che l'ultimo
eccidio. Al che risposero ad alta voce i soldati, con dichiararsi
cristiani, perchè parte tali erano, e gli altri elessero di farsi.
Quello che dipoi succedesse per conto della guerra co' Persiani, benchè
spettante al presente anno, pure chieggo licenza di riferirlo al
seguente.
NOTE:
[407] Pagius, Crit. Baron. ad annum 362, n. 32.
[408] Ammian., lib. 26, cap. 3.
[409] Gregor. Nazianz., Orat. IV. Chrysostom., in Gent. Sozomenus, lib.
6 Hist., cap. 2.
[410] Liban., Orat. XII.
[411] Ammian., lib. 22, cap. 13.
[412] Julian., in Misopog. Libanius, Orat. XII.
[413] Ammianus, lib. 22, cap. 14.
[414] Liban., in Vita sua.
[415] Zosimus, lib. 3, cap. 11.
[416] Julian., in Misopog.
[417] Socrates, lib. 3 Hist., cap. 17. Sozomenus, lib. 4 Hist., cap. 19.
[418] Gregorius Nazianz., Orat. IV.
[419] Ammianus, lib. 22, cap. 14.
[420] Theodoretus, lib. 3 Hist., cap. 15. Gregorius Nazianz., Orat. IV.
Socrates, l. 3 Hist., c. 20.
[421] Ambros., Epistol. ad Theod.
[422] Chrysostomus, in Judaeos.
[423] Ammianus, lib. 23, cap. 1.
[424] Liban., Orat. X.
[425] Socrat., lib. 3, cap. 19.
[426] Ammianus, lib. 23, cap. 2.
[427] Julian., Epist. XXVII.
[428] Ammianus, lib. 23, cap. 2.
[429] Zosimus, lib. 3, cap. 12.
[430] Sozom., lib. 6 Histor., cap. 1.
[431] Anecdota Graeca.
[432] Zosim., lib. 3. cap. 13.
[433] Ammianus, lib. 24, cap. 1.
[434] Liban., Orat. XII.
[435] Zosim., lib. 3, cap. 17.
[436] Socrat., lib. 3, cap. 21.
[437] Joan. Malala, Chron. Rufus Fest., in Brev.
[438] Ammianus, lib. 25, cap. 1 et seq. Rufus Festus, in Brev. Aurelius
Victor, in Epitome.
[439] Ammianus, lib. 25, cap. 3.
[440] Theodoretus, lib. 3 Hist., cap. 20.
[441] Sozomenus, Histor., lib. 4, cap. 2.
[442] Philostorg., lib. 6, cap. 15.
[443] Zonaras, in Annalib. Chronicon Alexandrin.
[444] Liban., Orat. XII.
[445] Idem, Orat. XI.
[446] Eutrop., in Breviar.
[447] Rufus Festus, in Breviar.
[448] Aurelius Victor, in Epitome.
[449] Joannes Malala, in Chron. Alexand.
[450] Gregor. Nazianzen., Orat. IV.
[451] Liban., in Vita sua. Idem, Orat. XI et XII.
[452] Gregor. Nazianz., Orat. IV.
[453] Ammian., lib. 23, cap. 2.
[454] Liban., de Templ.
[455] Ammian., lib. 22, cap. 12.
[456] Idem, ibid.
[457] Theodoretus, lib. 3 Hist., cap. 21.
[458] Gregor. Nazianz., Orat. IV.
[459] Eutropius, in Breviar. Hieronymus, in Chronic.
[460] Aurelius Victor, in Epitome. Ammianus, lib. 25, cap. 7.
[461] Themist., Orat. V.
[462] Du-Cange, Hist. Byz. Mediobarbus, Numism. Imper.
[463] Ammian., lib. 25, cap. 7.
[464] Eunap., Vit. Sophist.
[465] Zosimus, lib. 3 Hist., cap. 30.
[466] Theod., lib. 4 Hist., cap. 1.
[467] Socrates, lib. 3 Hist., cap. 22.
[468] Rufin., Hist., lib. 3. Socrates. Sozomen. Theodoret.
Anno di CRISTO CCCLXIV. Indizione VII.
LIBERIO papa 13.
VALENTINIANO e
VALENTE imperadori 1.
_Consoli_
FLAVIO CLAUDIO GIOVIANO AUGUSTO e FLAVIO VARRONIANO nobilissimo
fanciullo.
Ebbe Gioviano Augusto per moglie _Caritone_, figliuola di Lucilliano
generale rinomato in questi tempi, che gli partorì una figlia ed un
figliuolo, nomato _Varroniano_, in età allora, per quanto si può
raccogliere da Ammiano[469], di circa un anno. Conferì Gioviano a questo
suo rampollo il titolo di _nobilissimo fanciullo_, e il volle console
seco per l'anno presente; ma perchè coi vagiti e colla ripugnanza mostrò
di non voler essere condotto nella sedia curale, i superstiziosi pagani
presero ciò per un presagio di disgrazie. Tornando ora alle avventure
dell'anno precedente, da che Gioviano fu proclamato Augusto, cominciò a
pensare ai mezzi di salvare l'armata dall'evidente rischio di perire
affatto o per le armi de' Persiani, o per la mancanza de' viveri[470].
Intanto un alfiere romano, tra cui e Gioviano erano passati dei
disgusti, desertò, e portò al re Sapore la nuova della morte di
Giuliano; che essendo eletto in luogo di lui un imperadore dappoco, era
venuto il tempo di subissare i Romani. Animato da tali avvisi il
Persiano, per tre giorni con tutte le sue forze inseguì la marcia del
nemico esercito, non senza strage di molti Romani, ma sempre con perdita
maggiore dal canto suo. Arrivò nel primo dì di luglio l'afflitta armata
romana alla città di Dura, non lungi dal Tigri, e si stentò forte a
tener in dovere le ammutinate milizie, che faceano istanza di passar
tosto quel rapido fiume, benchè senza ponte, e prive affatto di barche,
perchè la fame li pungeva, e toccava ai poveri cavalli uccisi di servir
loro di pane. In questo miserabile stato, e in pericolo di restar tutti
preda dei nemici, come si può conghietturare, mosso Iddio in riguardo
del piissimo imperadore a pietà[471], fece che il re persiano
spontaneamente inviò persone a Gioviano Augusto per trattar di
pace[472]. A tale spedizione si credè spinto Sapore dalla notizia
d'essere stati in ogni scaramuccia e fatto d'armi perditori i suoi
soldati, dal timore di peggio, e dal desiderio di liberare il suo paese
da un sì poderoso nemico. Riconobbe lo stesso Ammiano, benchè nemico di
Gioviano, per un favor particolare di Dio, una tale spedizione e
dimanda, quando le apparenze tutte erano che Sapore potea finir la
guerra colla total rovina dell'esercito romano. Trattossi dunque di pace
nello spazio di quattro giorni; e perchè i Romani si trovavano in troppo
svantaggio, e si udiva che _Procopio_, parente del defunto Giuliano,
macchinava ribellione, fu astretto l'Augusto Gioviano a comperar dai
nemici una pace vergognosa bensì per l'imperio romano, ma
necessaria[473]. Gli convenne dunque restituire a' Persiani cinque
provincie picciole con alcune castella che essi aveano già ceduto ai
Romani sotto Diocleziano, ed inoltre abbandonar loro le città di Nisibi
e di Singara, con ritirarne prima gli abitanti. Zosimo[474] aggiugne che
anche buona parte dell'Armenia passò allora in poter de' Persiani, ma
ciò accadde in altro tempo. Non lasciarono gli scrittori pagani, cioè
Ammiano, Eutropio e Zosimo, di processar Gioviano imperadore, quasichè
con questo trattato di pace egli facesse perdere il credito al romano
imperio, il cui chimerico dio Termine si gloriavano una volta i Romani
che non rinculcava giammai. E pure abbiamo veduto che Adriano, Aureliano
e Diocleziano abbandonarono ai Barbari varie provincie che già erano
dell'imperio. Oltre di che, non si doveva a Gioviano attribuir questo
infelice successo, ma bensì alla imprudenza e temerità di Giuliano, per
aver fatta bruciar la flotta necessaria, e poscia impegnata l'armata
romana così innanzi nel paese nemico, fatto altresì devastare da lui,
senza aver punto di comunicazione col proprio, e senza prendere buone
misure per l'importante sussistenza e provvisione de' viveri. In tali
strettezze il consiglio si prende non dall'amore della gloria, nè dalla
propria volontà, ma bensì dalla necessità e dall'arbitrio di chi gode il
vantaggio. Che se da Eutropio[475] è biasimato Gioviano, perchè dopo
essere giunto in salvo non ruppe il trattato: di questa infame politica
non si servono i principi veramente cristiani che rispettano Dio più
della propria utilità, nè adoperano mai il giuramento per ingannare
altrui, sapendo quando Iddio, chiamato in testimonio de' patti,
abborrisca e gastighi gli spergiuri.
Stabilita la pace e dati gli ostaggi, quietamente, ma con gran fatica e
perdita di molte persone annegate, o morte di fame[476], passò l'armata
romana di là dal Tigri, e le convenne far tuttavia viaggio per sei
giorni, senza trovar neppur acqua non che cibo, supplendo al bisogno
l'erbe e la carne de' cammelli uccisi. Arrivati finalmente al castello
d'Ur, trovarono ivi qualche rinfresco, finchè giunsero in siti da
potersi ben satollare. Allora Gioviano Augusto spedì in Italia,
nell'Illirico e nelle Gallie uffiziali a portar la nuova della sua
esaltazione, distribuì i governi e le cariche. Giunto poi che fu a
Nisibi, volle eseguita la capitolazione, consegnando a' Persiani quella
ricca e popolata città, con trasportarne altrove gli abitanti: scena
lagrimevole descritta da Ammiano[477] e da Zosimo[478], e più
pateticamente dal Grisostomo[479], in guisa che intenerisce i lettori.
Nel mese di ottobre finalmente pervenne ad Antiochia, il cui popolo, da
che intese la morte dell'apostata Giuliano, avea fatta gran festa,
gridando dappertutto[480]: _Dio l'ha vinta, e Gesù Cristo con lui_: con
passar poi a dileggiare l'estinto odiato principe, e Massimo filosofo, e
tutta l'altra ciurma degli incantatori e indovini che l'aveano burlato
con tante loro promesse. Applicossi tosto il novello imperadore a
ristabilire la pace della religione cristiana. Se vogliam credere a
Temistio[481], egli permise ad ognuno la libertà di osservar quella che
più gli piacesse, nè ai pagani vietò l'uso dei loro templi e sagrifizii.
Altramente ne parla Socrate[482], con dire che d'ordine suo furono
chiusi di nuovo i templi degl'idoli. Quel che è più, lo stesso
Libanio[483] sofista, sì caro a Giuliano, confessa che dopo la morte di
lui ognun poteva a man salva parlare contra de' falsi dii, e che i
templi de' gentili restavano serrati e andavano in rovina; e che i
sacerdoti filosofi e sofisti pagani erano maltrattati, derisi e
imprigionati. Libanio anch'egli corse gran pericolo della vita[484],
perchè non cessava di piangere e lodar Giuliano; ma il buon Gioviano non
gli volle mai fare un reato di questo suo pazzo impegno. Furono dunque
dal piissimo Augusto restituiti tutti i privilegii alle chiese, al
clero, alle vergini e vedove sacre, e richiamati dall'esilio i vescovi
cattolici, molti de' quali erano stati banditi dal perfido Giuliano, e
massimamente l'insigne vescovo d'Alessandria sant'Atanasio[485]. Andò
egli a trovar Gioviano in Antiochia, e la sua presenza assaissimo giovò
per preservare il di lui cuore dalle suggestioni degli ariani, de'
macedoniani e degli altri eretici o scismatici di questi tempi. Ma che?
Mentre il buon principe s'affatica per la tranquillità della Chiesa e
per la pubblica felicità, ecco un'improvvisa morte troncar il filo di
sua vita, e far abortire tutti i di lui gloriosi disegni. S'affrettava
egli per venire in Occidente affin di mettere riparo alle sedizioni e
rivolte che si temevano. Ed in fatti essendo egli pervenuto a Tiana
nella Cappadocia, gli giunse avviso che _Lucilliano_ suocero suo, creato
ultimamente, o pure confermato generale dell'armi nell'Illirico[486],
essendo passato nelle Gallie, quivi dai soldati batavi ammutinati era
stato privato di vita. _Valentiniano_ tribuno, ch'era seco, ebbe la
fortuna di salvarsi, destinato da Dio per divenir imperadore fra pochi
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