Annali d'Italia, vol. 2 - 07
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lettera, indirizzata al medesimo Costanzo, piena di sentimenti
ingiuriosi e mordaci, che lo stesso storico confessa indecenti, e tali
da non essere rivelati al pubblico. Zonara[322] veramente rapporta più
tardi, cioè dappoichè seguì aperta rottura fra Costanzo e lui, questa
lettera; ma Ammiano ha il vantaggio sopra di lui d'essere scrittore
contemporaneo ed adoratore dello stesso Giuliano. Andarono gli
ambasciatori, passando con difficoltà, e con assai ritardi per l'Italia
e per l'Illirico; e finalmente arrivati in Asia, trovarono l'imperadore
Costanzo in Cesarea di Cappadocia. Era già stato prevenuto l'arrivo loro
da Decenzio, Fiorenzo ed altri fuggiti dalle Gallie. Costanzo ammise
quei legati all'udienza, si mostrò alterato stranamente contra di
Giuliano, nè più li volle ascoltare. Tuttavia, contenendo la collera
sua, e consigliato dai savii, fece sapere colla spedizione di _Leonas_
questore a Giuliano di non poter approvare il fatto, e che s'egli voleva
provvedere alla salute propria e dei suoi amici, si contentasse del
titolo di _Cesare_, e di ricevere gli uffiziali che gli verrebbero
spediti, cioè _Nebridio_ eletto prefetto del pretorio delle Gallie, e
_Felice_ mastro degli uffizii. Arrivato Leonas a Parigi, fu ben
accolto[323], ed esposti gli ordini di Costanzo, Giuliano si mostrò
pronto ad ubbidire, purchè l'esercito v'acconsentisse[324]. Leonas non
volle rimessa la decision dell'affare a tante teste, per paura d'essere
tagliato a pezzi. Accettò bensì Giuliano per uffiziale Nebridio, ma
rifiutò tutti gli altri, con rimandar poscia Leonas a Costanzo, e
dargli, secondo Zonara, la lettera suddetta ben fornita di querele ed
ingiurie contro il medesimo Augusto. Andarono poi innanzi e indietro
altre ambascerie, ma senza che alcun dei due retrocedesse un passo: con
che rotta affatto restò fra di loro l'armonia, e crebbe l'odio e lo
spirito della vendetta.
Sì preso dalla rabbia per questo tradimento del beneficato Giuliano si
trovò l'Augusto Costanzo, che pose infino in consulta, s'egli dovesse
lasciar la guerra strepitosa de' Persiani per volgere l'armi contra del
cugino. La vinse il parere de' saggi, che gli consigliarono di continuar
la dimora in Oriente: altrimenti non la sola Mesopotamia, ma anche la
Soria correvano rischio di cader nelle mani del re Sapore. Esso re
appunto, venuta la stagione del guerreggiare, uscì in campagna nell'anno
presente ancora con grandi forze[325]. Caddero i primi suoi fulmini
sopra la città di Singara nella Mesopotamia, la quale fece per qualche
dì gagliarda difesa; ma soccombendo essa in fine alla nemica potenza,
furono tutti i suoi abitanti col presidio condotti in una misera
schiavitù, e la città restò smantellata. Di là Sapore passò addosso alla
città di Bezabde, appellata anche Fenice, città forte alle rive del
fiume Tigri, custodita da tre legioni romane. Dopo alcuni giorni
d'assedio il vescovo della città si portò al campo persiano per procurar
la liberazione o la salute del suo popolo. Parlò ai venti, e la città da
lì a qualche tempo fu presa a forza d'armi. Chi de' cittadini scappò al
furor delle sciable, andò a penare schiavo nelle contrade persiane. Con
questa felicità camminavano gli affari di Sapore: ed ancorchè
l'imperadore Costanzo, dimorante in Costantinopoli, udisse tanti suoi
progressi, sembrava più applicato a rovinar la Chiesa cattolica, che a
difendere i proprii Stati. Quando Dio volle, passò pur egli in Asia, e
giunse a Cesarea di Cappadocia, dove poco fa dicemmo che gli capitarono
le disgustose nuove della ribellione di Giuliano. Fece maneggi per tener
saldo nella fedeltà verso l'imperio _Arsace_ re dell'Armenia, il qual
veramente con tutte le minaccie di Sapore corrispose alle speranze de'
Romani. Passò dipoi Costanzo a Melitene, città della picciola Armenia,
per unir ivi tutta la sua armata, e questa non fu all'ordine che dopo
l'equinozio dell'autunno. Se un così timido e negligente generale d'armi
fosse capace di grandi imprese, e di far paura ai Persiani, ognun sel
vede. Marciò egli alla perfine, e, passando per Amida, non potè mirarne
le rovine senza un tributo di lagrime. Si credette di poter ricuperare
Bezabde, e l'assediò; ma sopravvenendo le pioggie e la cattiva stagione,
fu costretto a levare il campo, e a ritirarsi coll'esercito ad
Antiochia, dove si fermò per tutto il verno. In questo mentre[326] il
novello imperador Giuliano, a fin di tenere in esercizio le sue truppe,
passò all'improvviso il Reno, per quanto si crede, verso Cleves, e diede
addosso ai Franchi cognominati Attuarii, che avevano in altri tempi
colle loro scorrerie inquietata la vicina Gallia. Durò poca fatica a
vincerli. Perchè umilmente chiesero pace, loro la diede; e poi, dopo
aver visitate sin verso Basilea le fortezze poste sulla riva del Reno,
per Besanzone passò a svernare in Vienna del Delfinato. Morì circa
questi tempi _Flavia Giulia Elena Augusta_ sua moglie, e sorella
dell'imperador Costanzo[327]: chi disse di parto, chi perchè cacciata
dal palazzo[328]: e non mancò chi parlò di veleno, come s'ha, per
attestato del Valesio, da una orazion manuscritta di Libanio. Fioriva in
questi tempi l'insigne vescovo di Poitiers nelle Gallie sant'_Ilario_,
che per la religion cattolica tanto soffrì e tanto scrisse.
NOTE:
[309] Ammianus, lib. 17, cap. 11.
[310] Idem, lib. 15, cap. 1.
[311] Julian., Epist. ad Atheniens.
[312] Zosimus, lib. 3, cap. 10. Libanius, Orat. X. Ammianus, lib. 20,
cap. 4.
[313] Julian., Epist. ad Atheniens.
[314] Zosim. l. 3, c. 11. Julian., Epist. ad Athen. Ammianus, lib. 20,
cap. 4. Libanius, Orat. XII.
[315] Ammianus, lib. 20, cap. 5.
[316] Eunap., Vit. Sophist., cap. 5.
[317] Liban., Orat. XII.
[318] Liban. Ammian. Zosimus.
[319] Gregorius Nazianzen., Orat. II. Philostorgius, lib. 4, cap. 5.
Theodoret., in Histor. Eccl. Sozom., in Hist. Eccl. Zonaras, in Annal.
[320] Ammian., lib. 20, cap. 8.
[321] Julian., Epist. ad Athen.
[322] Zonar., in Annal.
[323] Liban., Orat. XII.
[324] Zonar., in Annalib.
[325] Ammian., lib. 20, cap. 6.
[326] Ammianus, lib. 20, cap. 10.
[327] Goltzius Tristanus.
[328] Ammianus, lib. 21, cap. 1. Zonar., in Annalib.
Anno di CRISTO CCCLXI. Indizione IV.
LIBERIO papa 10.
GIULIANO imperadore 1.
_Consoli_
FLAVIO TAURO e FLAVIO FIORENZO.
Il secondo console, cioè _Fiorenzo_, quel medesimo è che vedemmo
prefetto del pretorio delle Gallie, e fuggito di là dopo la ribellion di
Giuliano, da cui poscia fu condannato a morte; ma egli si nascose, tanto
che venissero tempi migliori. _Tauro_ era anche prefetto del pretorio
d'Italia, e, per ben servire a Costanzo, aveva oppresso i cattolici nel
concilio di Rimini. Permise Iddio che anch'egli fosse dipoi condannato
all'esilio da Giuliano, tuttochè nulla avesse operato contra di lui.
_Tertullo_ in questo anno ancora si truova prefetto di Roma. In luogo
suo fu poi creato Massimo, dappoichè Giuliano divenne padron di tutto.
Passò esso Giuliano Augusto, siccome già accennai, il verno in
Vienna[329], dove sul principio di marzo gli giunse avviso che gli
Alamanni sudditi del re o principe Vadomario verso Basilea aveano fatto
delle scorrerie nel paese romano della Rezia. Spedì egli Libinone conte
con una brigata di soldati per mettere al dovere que' Barbari; ma essi
misero lui a morte, avendo egli disordinatamente voluto venir alle mani
con loro. Fama corse che _Vadomario_, uomo furbo, trattando con
Giuliano, gli dava i titoli d'Augusto e di dio[330]; menava poi segreti
trattati con Costanzo imperadore, e da lui avea ricevuti ordini
d'infestare il medesimo Giuliano; dicendosi di più ch'erano state
intercette lettere comprovanti tal fatto. Vero o falso che ciò fosse,
Giuliano se ne prevalse per uno de' suoi pretesti di far guerra a
Costanzo. Intanto diede commissione a _Filagrio_ suo segretario, che poi
fu conte d'Oriente, di attrappolar, se poteva, Vadomario, con cui
continuava l'apparenza della pace; ed in fatti gli riuscì di farlo
prigione in un convito. Altro male non gli avvenne, se non che Giuliano
il relegò nelle Spagne, di dove uscito nei tempi susseguenti, fu creato
duca della Fenicia. Passò poi lo stesso Giuliano di là dal Reno per
gastigar coloro che aveano ucciso Libinone; ma non ebbe molto a
faticare, perchè tutti dimandarono pace, o pure la confermarono, con che
restarono quiete quelle contrade. Ma questi non erano i gran pensieri di
Giuliano. Giacchè durava la nimicizia insorta fra lui e Costanzo, andava
egli da gran tempo ruminando qual partito convenisse prendere, cioè di
venire a guerra aperta, o pur d'intavolare qualche accordo con lui anche
con proprio svantaggio. Ma perchè conosceva non essere Costanzo principe
da potersi fidare della di lui parola, antepose la risoluzion di passare
all'armi contra di lui. E tanto più si animò a questa impresa, perchè,
essendo egli perduto nell'arte d'indovinare[331] o per augurii o per
negromanzia, s'immaginò che Costanzo avesse da mancar di vita in questo
anno, e nel mese di novembre. San Gregorio Nazianzeno scrive[332], non
essere da stupire s'egli previde la morte d'esso imperadore, perchè avea
guadagnato uno dei di lui cortigiani per avvelenarlo; e per questa
fidanza s'incamminò dipoi coll'armi verso Levante. Osservò ancora
Sozomeno[333] la follia di Giuliano in prestar fede ai suoi auguri e
indovini, perchè egli non previde punto la propria morte, nè il funesto
fine della sua impresa contro i Persiani. Ammiano il vuole scusar su
questo, con dire ch'egli riguardava, non come cose certe, ma solamente
come conghietture le predizioni de' suoi indovini: scusa familiare ad
altri che s'immergono nell'arte empia e vanissima di voler conoscere
l'avvenire.
La risoluzion presa da Giuliano di sguainar la spada contra di Costanzo
imperadore ognun può scorgere quanta occasion desse a tutti i saggi di
mormorare di lui, trattandosi di volgere l'armi contra di un cugino che
l'avea colmato di benefizii, valendosi dell'autorità a lui conferita per
ispogliare ed abbattere il medesimo suo benefattore. Cresceva anche
l'iniquità ed ingratitudine sua, perchè Costanzo non si movea punto
contra di lui, e trovavasi allora in angustie per la svantaggiosa guerra
che avea coi Persiani. Si studiò lo stesso Giuliano di parare questa
odiosità con varie scuse e pretesti, essendosi spezialmente studiato di
giustificar la sua condotta presso le città della Grecia, come apparisce
dalla lunga sua lettera, o sia dal manifesto scritto agli Ateniesi[334],
che si legge stampata. Il bello è ch'egli pretendeva di essere stato o
consigliato o pure obbligato dai suoi dii a ribellarsi; e Zosimo
scrive[335] che una deità, apparendogli in sogno, l'animò all'impresa,
senza badare ch'egli covava in cuore un interno iniquo dio, cioè
l'ambizione, da cui era più che da altro spronato a tanta sconoscenza
verso chi l'avea tanto beneficato. Anche i suoi soldati e partigiani
dicevano promesso a lui da essi dii un felice successo: il che quanto si
verificasse, si vedrà a suo tempo. Intanto fece egli quanti preparamenti
mai seppe di gente e danaro per marciare verso l'Oriente. L'amore,
ch'egli s'era guadagnato fra i popoli delle Gallie, indusse molti ad
offerirgli spontaneamente ori ed argenti per isperanza di ricavarne buon
frutto a suo tempo; nè si trovò più difficoltà ne' soldati per uscir
dalle Gallie, e passar l'Alpi, facendo egli credere alla sua armata di
non cercar altro per ora che d'impossessarsi dell'Illirico sino alla
Dacia novella, per prendere poi altre misure o di accordo o di guerra.
_Nebridio_, mandato già per prefetto del pretorio nelle Gallie da
Costanzo, il solo fu[336] che protestò di non poter impegnarsi contra
dello stesso Costanzo Augusto, e corse rischio d'essere messo in brani
dai soldati, se Giuliano non l'avesse coperto col suo manto, e datagli
poi licenza di ritirarsi in Toscana. Da Libanio[337] vien chiamato esso
Nebridio un mezzo uomo. Se vuol dire per avventura un codardo, da quando
in qua merita nome di codardo la fedeltà verso il principe suo? Se non
si trattasse di un nobile romano, si crederebbe che egli parlasse di un
eunuco. Fece Giuliano una promozion d'uffiziali, creando generale della
sua cavalleria _Nevitta_, _Dagalaifo_ capitan delle guardie, _Mamertino_
tesoriere, quello stesso che poi compose il panegirico di Giuliano, e
distribuendo ad altri varie cariche militari e civili. Lasciò
_Sallustio_ per prefetto del pretorio nelle Gallie, e finalmente mise in
moto l'esercito suo, diviso in varii corpi, parte inviandone per
l'Italia, e parte per la Rezia, per far credere che fossero più che non
erano le forze sue, quando non più di ventitrè mila persone, se non
s'inganna Zosimo[338], egli conduceva seco. Con gran diligenza
marciarono; ed ordine v'era di trovarsi tutti a Sirmio. Era allora tempo
di state. Arrivato che fu Giuliano dove il Danubio comincia ad essere
navigabile, trovata ivi fortunatamente gran copia di barchette, con tre
mila soldati s'imbarcò, e andò a prendere terra in tempo di notte a
Bononia, nove miglia lungi da Sirmio, capitale della Pannonia. Di là
spedì Dagalaifo con una brigata di soldati, a mettere le mani addosso a
_Lucilliano_ conte, generale d'armi di Costanzo nell'Illirico, il quale
per sua negligenza niun sentore pare che avesse avuto de' frettolosi
movimenti di Giuliano. Coltolo a letto, il menarono via, e presentarono
ad esso Giuliano: dopo di che a dirittura egli marciò a Sirmio, dove fu
con gran pompa e festa accolto da quel numeroso popolo: cosa che gli
fece sperar facile la conquista di tutto l'Illirico. E così in fatti
avvenne, perchè senza adoperar lancia o spada in poco tempo tutto
l'Illirico, la Macedonia e la Grecia il riconobbero per loro
signore[339]. Creò egli allora governatore della seconda Pannonia
_Aurelio Vittore_, quel medesimo che ci lasciò un compendio delle Vite
dei Cesari. Venuto già era l'autunno, e Giuliano si ridusse a Naisso
nella Dacia novella, o nella Mesia, dove, secondo le apparenze, si fermò
sino alla morte di Costanzo, applicandosi intanto ad ingrossar la sua
armata e a munir le fortezze, con disegno poi di entrar nella Tracia, e
far maggiori progressi.
Quello che può parere strano, si è che non sappiamo avere Giuliano
inviato altro corpo di milizie in Italia, se non quel tenue che,
passando per Aquileia, andò a congiugnersi seco a Sirmio: e pure certa
cosa è che Roma e l'Italia tutta, quasi con universale concordia,
abbandonò Costanzo, e si mise sotto la signoria di Giuliano. Convien
credere che questi popoli fossero ben malcontenti del governo d'esso
Costanzo e del suo arianismo, credendo essi tuttavia cristiano e
cattolico Giuliano; e che si prevalessero di questo leggier vento per
sottrarsi dal di lui dominio. Si aggiunse ancora un panico terrore,
perchè si sparse voce[340] che Giuliano calava in Italia con un diluvio
di gente: laonde ognun si affrettò a rendergli ubbidienza. Tale dovette
essere in Roma stessa la commozione e paura, che _Tauro_ e _Fiorenzo_
consoli scapparono, non so se di là, o da altro luogo, dove stessero
allora, e passarono per le poste verso l'Oriente, parendo loro disperato
il caso, e paventando lo sdegno di Giuliano, il quale poi, per
testimonianza di Zosimo[341], mandò ordine che, mettendo il loro nome
negli atti pubblici, si aggiugnesse _consoli fuggitivi o fuggiti_. In
mezzo poi ai pensieri della guerra non dimenticava Giuliano quei del
governo civile, scrivendo Ammiano ch'egli si occupava ad ascoltar e
decidere le liti de' particolari, a riformar gli abusi: notando
nondimeno esso istorico, ch'egli talvolta commetteva delle ingiustizie
per correggere quelle degli altri. Mamertino[342] si stende qui all'uso
de' panegiristi nelle lodi di lui, dicendo ch'egli mise in buon ordine e
stato le città tutte dell'Illirico, della Grecia, Macedonia, Epiro e
Dalmazia. Carestia di grani si provava in Roma. Fu inviato colà da
Giuliano per prefetto di quella città _Massimo_, il quale, contuttochè
permesso non fosse all'Africa di mandar frumenti colà, pure seppe trovar
maniera di provvedere al bisogno, e di prevenire i pericolosi tumulti,
ai quali fu sottoposto il suo predecessore Tertullo. Diedesi poi meglio
a conoscere in tal occasione la vanità e l'ingratitudine di
Giuliano[343], perchè già scorgendo tolta affatto la speranza di
riconciliarsi con Costanzo Augusto, scrisse contra di lui al senato
romano una invettiva piena di mordacità, con esagerar tutti i vizii e
difetti di lui: il che parve sì improprio agli stessi senatori, che, al
leggersi nella loro assemblea quella satira, non poterono contenersi dal
gridare ad una voce che il pregavano di portar più rispetto e riverenza
a chi l'avea creato Cesare e beneficato cotanto. Lo stesso Ammiano,
tuttochè adoratore, non che parziale di lui, non potè di meno di non
condannare una sì ingiuriosa scrittura, e tanto più perchè, non contento
egli di sfogarsi contra di Costanzo, addentò anche la memoria di
Costantino il Grande, proverbiandolo come novatore e perturbatore delle
antiche leggi, e perchè avesse innalzate persone barbare sino al
consolato: sciocca accusa, come Ammiano confessa, perchè lo stesso
Giuliano poco stette a crear console _Nevitta_, Goto di nazione, e
persona selvatica, anzi crudele; laddove Costantino non promosse se non
persone di raro merito e di gran riputazione e virtù[344]. Avvenne
intanto un affare che avrebbe potuto imbrogliar non poco le misure di
Giuliano, se non fosse intervenuta la morte di Costanzo Augusto. Due
legioni e una compagnia di arcieri, che già servivano a Costanzo,
trovate da Giuliano in Sirmio, perchè d'esse egli non si fidava, prese
la risoluzione d'inviarle nelle Gallie; e queste andarono. Ma giunte ad
Aquileia, ricca città, e forte non meno pel sito che per le buone mura,
e trovata la plebe tuttavia divota al nome di Costanzo Augusto, che si
sollevò all'arrivo loro, quivi fermarono il piede, e si afforzarono
contra di Giuliano. Perchè questo fatto potea tirarsi dietro delle
brutte conseguenze, Giuliano mandò ordini a _Giovino_ general della
cavalleria, che era in marcia verso la Pannonia, di accorrere colà, e
convenne formarne l'assedio, che fu lungamente sostenuto con bravura e
spargimento di sangue. Nè finiva sì presto quell'impegno, se non veniva
la nuova della morte di Costanzo, per cui que' soldati in fine
capitolarono la resa, lasciando esposto allo sdegno di Giuliano il
promotore di quella sedizione Nigrino tribuno, che fu bruciato vivo, ed
alcuni pochi altri, ai quali fu reciso il capo.
Tempo è oramai di parlare dell'Augusto Costanzo, che noi lasciammo a'
quartieri d'inverno in Antiochia. Le applicazioni sue tutte erano in
preparamenti di guerra, e in far masse di milizie per opporsi ai sempre
nemici Persiani. Ma non era così occupato da' pensieri guerrieri, che
non ne nudrisse ancora de' mansueti e geniali[345]. Gli avea tolta la
morte poco dianzi _Eusebia_ Augusta sua moglie, donna che non l'avea mai
arricchito di prole, e che (siccome spacciò la fama) per aver voluto
prendere un medicamento, creduto atto a farla concepire, abbreviò a sè
stessa la vita[346]. Voce ancora corse[347] ch'essa con una bevanda data
ad _Elena_ sua cognata, allorchè questa fu per maritarsi con Giuliano
Cesare, la conciasse in maniera che abortisse ad ogni gravidanza. Le
dicerie del volgo son facili in tal sorta di accuse. Ora Costanzo, per
desiderio di lasciar dopo di sè qualche figliuolanza[348], prese in
questi tempi per moglie _Massimo Faustina_, della cui famiglia nulla
dicono le storie. Solamente si sa ch'egli morendo la lasciò gravida, ed
esserne nata una figliuola, appellata _Flavia Massimo Costanza_. Questa
poi prese per marito _Graziano_, che vedremo a suo tempo imperadore.
Forse non si figurava Costanzo che Giuliano si avesse a muovere dalle
Gallie, e però non prese le convenevoli precauzioni per munire l'Italia
e l'Illirico contra dei di lui tentativi. Provvide bensì
all'Africa[349], con inviare colà _Gaudenzio_ suo segretario, il quale,
andando d'accordo con _Crezione_ conte, dispose così ben le cose, che
durante la vita d'esso Augusto da niuno restò turbata la quiete di
quelle provincie. S'udivano intanto le grandiose disposizioni di Sapore
re della Persia per tornare ostilmente ad invadere la Mesopotamia. Il
perchè Costanzo si procacciò con diversi regali l'assistenza e il favore
dei re confinanti co' Persiani, e massimamente di _Arsace_ re
dell'Armenia. Poscia, allorchè vennero nuove che pareva imminente il
passaggio dei Persiani nella Mesopotamia, circa il mese di maggio uscì
anch'egli in campagna, e passato di là dall'Eufrate, andò a fermarsi in
Edessa, con inviare nello stesso tempo i suoi generali _Arbezione_ ed
_Agilone_ alle rive del Tigri, ma con espresso ordine di non azzardare
una battaglia. Stettero ivi le soldatesche romane gran tempo, aspettando
il nemico, senza mai vederlo comparire; ed intanto giunse a Costanzo la
dolorosa novella che il ribelle Giuliano s'era già impadronito
dell'Illirico. Facile è l'immaginare che turbazione ed affanno gli
recassero i passi dell'odiato cugino. Ma nel dì seguente ricevette il
grato avviso che il re Sapore, o sia perchè da' suoi indovini gli furono
predette disgrazie se s'inoltrava, o pure perchè gli diedero apprensione
le forze de' Romani, se n'era tornato addietro. Allora fu che Costanzo,
tenendosi come liberato dalla molestia de' Persiani, lasciate solamente
le guarnigioni opportune nelle città e fortezze della Mesopotamia, se ne
tornò indietro con disegno di procedere armato contra di Giuliano,
giacchè si teneva sicura la vittoria, combattendo con quell'ingrato.
Partecipata all'esercito questa sua intenzione, tutti ne fecero festa, e
si animarono al viaggio. Partissi egli da Antiochia nell'autunno
avanzato; ma arrivato a Tarso nella Cilicia, fu preso da una picciola
febbre, per cui non desistè dal cammino. Si trovò poi forzato dal male,
che andò crescendo, a posare in Mopsuerene, luogo situato ai confini
della Cilicia plesso il monte Tauro[350], dove nel dì 5 di dicembre
(Ammiano scrive nel dì 3) in età di circa quarantacinque anni diede fine
al suo vivere, con essersi detto che Giuliano l'avesse fatto avvelenare.
Lasciò questo principe dopo di sè una assai svantaggiosa memoria.
Certamente a lui non mancavano delle belle qualità, come l'essere
indurato alle fatiche e a dormir poco, se il bisogno lo richiedeva[351].
Negli esercizii militari niuno gli andava innanzi, e quanto fu
moderatissimo sempre nel mangiare e bere, altrettanto si guardò dal
lusso e dai piaceri illeciti, in guisa tale che nè pur chi gli voleva
male arrivò mai ad accusarlo di avere contravvenuto alle leggi della
castità. Ornato delle belle lettere, sapea far discorsi sensati e gravi.
Chi prese a lodarlo vivente (il che fecero Giuliano e Temistio[352]),
cel rappresenta moderato in tutte le passioni, e specialmente padrone
della sua collera, con soffrir le ingiurie senza farne vendetta. E certo
sensibili segni di clemenza diede talvolta[353] sino a perdonare con
facilità alle città che aveano fatta sollevazione: laonde da molti per
questa sua indulgenza era amato non poco. Fece ancora risplendere il suo
zelo contra dell'idolatria, e di sopra accennammo le rigorose sue leggi
contro di essa. Ristaurò pur anche o di nuovo edificò molte chiese in
Oriente, e le arricchì; e gran rispetto conservò sempre verso i vescovi,
facendoli mangiare alla sua tavola, e ricevendo da loro con umiltà la
benedizione. Tali erano i pregi di Costanzo in poche parole.
Ammiano[354] più a lungo ne lasciò descritto quel poco o molto ch'egli
aveva di buono. Ma, voltando carta, troviamo che contrappesavano ben più
i di lui difetti. Gran disgrazia è l'aver principi deboli di testa, e
che si figurano nondimeno di aver testa superiore in intendimento a
quella di ognuno. A Costanzo ne era toccata una di questo tenore. Peggio
poi se il principe non ama e non soffre se non chi il loda, e solamente
si compiace degli adulatori, disprezzando o rigettando chi osa dirgli la
verità, e non sa lodare i difetti, nè far plauso alle azioni viziose o
mal fatte. Costanzo era appunto un di questi[355], pieno di una vanità
ridicola, per cui voleva, a guisa dei tiranni dell'Oriente, essere
appellato Signore di tutta la terra[356]; e si fece alzar archi
trionfali nelle Gallie e nella Pannonia per aver vinto dei Romani
ribelli: gloria abborrita da tutti i saggi imperadori; pavoneggiandosi
ancora delle vittorie riportate da' suoi generali[357], come se in
persona fosse egli intervenuto alle battaglie. Nè la sua clemenza andò
molto innanzi, perchè spietato comparve contro chiunque o tentò o fu
sospettato di tentare contro la di lui corona. Non si può poscia
abbastanza esprimere che predominio avessero nella corte di lui gli
adulatori, e quanta fosse la prepotenza de' suoi eunuchi, i quali,
abusandosi della tenuità del di lui intendimento, e della timidità del
suo cuore, l'ingannavano continuamente, ed arrivarono in certa guisa a
far essi da imperadori di fatto, con lasciarne a lui il solo nome,
perchè nulla operava, nulla determinava senza il lor consiglio, nè pur
osando di far cosa che venisse da lor disapprovata. Di qua poi venne la
vendita delle cariche e della giustizia, e l'elezion degl'indegni
ministri e governatori con immenso danno dei popoli. Non venne anche un
peggior male, cioè un gravissimo sconcerto alla Chiesa di Dio; perchè
quella vile, ma superba canaglia, guadagnata dagli ariani, il portò a
sposar gli empii loro insegnamenti, e a perseguitare i vescovi della
Chiesa cattolica, e ad abbattere per quanto potè la dottrina della vera
Chiesa di Dio. Però nella storia ecclesiastica noi il troviamo dipinto
(e ben sel meritava) con dei neri colori, spezialmente da santo Ilario e
da Lucifero vescovo di Cagliari, come principe o tiranno, che contra le
leggi del Vangelo si arrogò l'autorità di far dipendente da' suoi voleri
la religione santa di Cristo, e volle esser arbitro delle controversie
della fede che Dio ha riserbato al giudizio dei sacri suoi pastori. Lo
stesso Ammiano, ancorchè gentile, il condannò per questa sua prepotenza.
Imbevuto egli così degli errori dell'arianismo, in essi durò poi sino
alla morte, senza mai prendere il sacro battesimo, fuorchè negli ultimi
dì di sua vita[358], nei quali fu battezzato da Euzoio vescovo ariano.
Ma finiamola di parlar di un regnante cattivo, per passare ad un
peggiore, che, provveduto da Dio di molte belle doti personali, avrebbe
potuto far bella figura fra gl'imperadori de' Romani, ma per la sua
empietà si screditò affatto presso de' Cristiani, che tuttavia
rammentano con orrore il di lui nome. Parlo di _Giuliano_, che già aveva
usurpato il titolo d'Imperadore Augusto, e si trovava nell'Illirico
allorchè gli giunse la gratissima nuova della morte di Costanzo Augusto.
Riserbando io di favellare più precisamente di lui all'anno seguente,
solamente ora dirò ch'egli, veggendo tolto ogni ostacolo alla sua
grandezza, marciò a dirittura a Costantinopoli nel dì 11 di
dicembre[359], dove fu ben accolto, e fatto portar colà il cadavere del
defunto cugino Augusto, gli fece dar sepoltura colla pompa consueta
degl'imperatori nella chiesa degli Apostoli, intervenendo egli stesso
alla sacra funzione come cristiano in apparenza, ancorchè qual fosse
internamente, staremo poco a vederlo.
NOTE:
[329] Ammianus, lib. 21, cap. 3.
[330] Liban., Orat. V et XII. Julian., Epist. ad Atheniens.
[331] Ammianus, lib. 20, cap. 1. Liban., Orat. XII.
[332] Gregor. Nazianzen., Orat. III.
[333] Sozom., lib. 5 Hist., cap. 1.
[334] Julian., Epistol. ad Atheniens.
[335] Zosimus, lib. 3, cap. 9.
[336] Ammianus, lib. 21, cap. 5.
[337] Liban., Orat. XII.
[338] Zosimus, lib. 3, cap. 10.
[339] Ammianus, lib. 21, cap 10. Libanius, Orat. XII.
[340] Ammianus, lib. 21, cap. 9.
[341] Zosim., lib. 3, cap. 10.
[342] Mamertinus, in Panegy.
[343] Ammian., lib. 21, cap. 10.
[344] Ammianus, lib. 21, cap. 11.
[345] Ammianus, lib. 21, cap. 6.
[346] Zonar. Cedrenus. Chrysost., Hom. 15 ad Philipp.
[347] Ammianus, lib. 16.
[348] Du-Cange, Hist. Byz.
[349] Ammianus, lib. 21, cap. 7.
[350] Hieronymus, in Chronico. Idacius in Fastis. Chronicon Alexandr.
ingiuriosi e mordaci, che lo stesso storico confessa indecenti, e tali
da non essere rivelati al pubblico. Zonara[322] veramente rapporta più
tardi, cioè dappoichè seguì aperta rottura fra Costanzo e lui, questa
lettera; ma Ammiano ha il vantaggio sopra di lui d'essere scrittore
contemporaneo ed adoratore dello stesso Giuliano. Andarono gli
ambasciatori, passando con difficoltà, e con assai ritardi per l'Italia
e per l'Illirico; e finalmente arrivati in Asia, trovarono l'imperadore
Costanzo in Cesarea di Cappadocia. Era già stato prevenuto l'arrivo loro
da Decenzio, Fiorenzo ed altri fuggiti dalle Gallie. Costanzo ammise
quei legati all'udienza, si mostrò alterato stranamente contra di
Giuliano, nè più li volle ascoltare. Tuttavia, contenendo la collera
sua, e consigliato dai savii, fece sapere colla spedizione di _Leonas_
questore a Giuliano di non poter approvare il fatto, e che s'egli voleva
provvedere alla salute propria e dei suoi amici, si contentasse del
titolo di _Cesare_, e di ricevere gli uffiziali che gli verrebbero
spediti, cioè _Nebridio_ eletto prefetto del pretorio delle Gallie, e
_Felice_ mastro degli uffizii. Arrivato Leonas a Parigi, fu ben
accolto[323], ed esposti gli ordini di Costanzo, Giuliano si mostrò
pronto ad ubbidire, purchè l'esercito v'acconsentisse[324]. Leonas non
volle rimessa la decision dell'affare a tante teste, per paura d'essere
tagliato a pezzi. Accettò bensì Giuliano per uffiziale Nebridio, ma
rifiutò tutti gli altri, con rimandar poscia Leonas a Costanzo, e
dargli, secondo Zonara, la lettera suddetta ben fornita di querele ed
ingiurie contro il medesimo Augusto. Andarono poi innanzi e indietro
altre ambascerie, ma senza che alcun dei due retrocedesse un passo: con
che rotta affatto restò fra di loro l'armonia, e crebbe l'odio e lo
spirito della vendetta.
Sì preso dalla rabbia per questo tradimento del beneficato Giuliano si
trovò l'Augusto Costanzo, che pose infino in consulta, s'egli dovesse
lasciar la guerra strepitosa de' Persiani per volgere l'armi contra del
cugino. La vinse il parere de' saggi, che gli consigliarono di continuar
la dimora in Oriente: altrimenti non la sola Mesopotamia, ma anche la
Soria correvano rischio di cader nelle mani del re Sapore. Esso re
appunto, venuta la stagione del guerreggiare, uscì in campagna nell'anno
presente ancora con grandi forze[325]. Caddero i primi suoi fulmini
sopra la città di Singara nella Mesopotamia, la quale fece per qualche
dì gagliarda difesa; ma soccombendo essa in fine alla nemica potenza,
furono tutti i suoi abitanti col presidio condotti in una misera
schiavitù, e la città restò smantellata. Di là Sapore passò addosso alla
città di Bezabde, appellata anche Fenice, città forte alle rive del
fiume Tigri, custodita da tre legioni romane. Dopo alcuni giorni
d'assedio il vescovo della città si portò al campo persiano per procurar
la liberazione o la salute del suo popolo. Parlò ai venti, e la città da
lì a qualche tempo fu presa a forza d'armi. Chi de' cittadini scappò al
furor delle sciable, andò a penare schiavo nelle contrade persiane. Con
questa felicità camminavano gli affari di Sapore: ed ancorchè
l'imperadore Costanzo, dimorante in Costantinopoli, udisse tanti suoi
progressi, sembrava più applicato a rovinar la Chiesa cattolica, che a
difendere i proprii Stati. Quando Dio volle, passò pur egli in Asia, e
giunse a Cesarea di Cappadocia, dove poco fa dicemmo che gli capitarono
le disgustose nuove della ribellione di Giuliano. Fece maneggi per tener
saldo nella fedeltà verso l'imperio _Arsace_ re dell'Armenia, il qual
veramente con tutte le minaccie di Sapore corrispose alle speranze de'
Romani. Passò dipoi Costanzo a Melitene, città della picciola Armenia,
per unir ivi tutta la sua armata, e questa non fu all'ordine che dopo
l'equinozio dell'autunno. Se un così timido e negligente generale d'armi
fosse capace di grandi imprese, e di far paura ai Persiani, ognun sel
vede. Marciò egli alla perfine, e, passando per Amida, non potè mirarne
le rovine senza un tributo di lagrime. Si credette di poter ricuperare
Bezabde, e l'assediò; ma sopravvenendo le pioggie e la cattiva stagione,
fu costretto a levare il campo, e a ritirarsi coll'esercito ad
Antiochia, dove si fermò per tutto il verno. In questo mentre[326] il
novello imperador Giuliano, a fin di tenere in esercizio le sue truppe,
passò all'improvviso il Reno, per quanto si crede, verso Cleves, e diede
addosso ai Franchi cognominati Attuarii, che avevano in altri tempi
colle loro scorrerie inquietata la vicina Gallia. Durò poca fatica a
vincerli. Perchè umilmente chiesero pace, loro la diede; e poi, dopo
aver visitate sin verso Basilea le fortezze poste sulla riva del Reno,
per Besanzone passò a svernare in Vienna del Delfinato. Morì circa
questi tempi _Flavia Giulia Elena Augusta_ sua moglie, e sorella
dell'imperador Costanzo[327]: chi disse di parto, chi perchè cacciata
dal palazzo[328]: e non mancò chi parlò di veleno, come s'ha, per
attestato del Valesio, da una orazion manuscritta di Libanio. Fioriva in
questi tempi l'insigne vescovo di Poitiers nelle Gallie sant'_Ilario_,
che per la religion cattolica tanto soffrì e tanto scrisse.
NOTE:
[309] Ammianus, lib. 17, cap. 11.
[310] Idem, lib. 15, cap. 1.
[311] Julian., Epist. ad Atheniens.
[312] Zosimus, lib. 3, cap. 10. Libanius, Orat. X. Ammianus, lib. 20,
cap. 4.
[313] Julian., Epist. ad Atheniens.
[314] Zosim. l. 3, c. 11. Julian., Epist. ad Athen. Ammianus, lib. 20,
cap. 4. Libanius, Orat. XII.
[315] Ammianus, lib. 20, cap. 5.
[316] Eunap., Vit. Sophist., cap. 5.
[317] Liban., Orat. XII.
[318] Liban. Ammian. Zosimus.
[319] Gregorius Nazianzen., Orat. II. Philostorgius, lib. 4, cap. 5.
Theodoret., in Histor. Eccl. Sozom., in Hist. Eccl. Zonaras, in Annal.
[320] Ammian., lib. 20, cap. 8.
[321] Julian., Epist. ad Athen.
[322] Zonar., in Annal.
[323] Liban., Orat. XII.
[324] Zonar., in Annalib.
[325] Ammian., lib. 20, cap. 6.
[326] Ammianus, lib. 20, cap. 10.
[327] Goltzius Tristanus.
[328] Ammianus, lib. 21, cap. 1. Zonar., in Annalib.
Anno di CRISTO CCCLXI. Indizione IV.
LIBERIO papa 10.
GIULIANO imperadore 1.
_Consoli_
FLAVIO TAURO e FLAVIO FIORENZO.
Il secondo console, cioè _Fiorenzo_, quel medesimo è che vedemmo
prefetto del pretorio delle Gallie, e fuggito di là dopo la ribellion di
Giuliano, da cui poscia fu condannato a morte; ma egli si nascose, tanto
che venissero tempi migliori. _Tauro_ era anche prefetto del pretorio
d'Italia, e, per ben servire a Costanzo, aveva oppresso i cattolici nel
concilio di Rimini. Permise Iddio che anch'egli fosse dipoi condannato
all'esilio da Giuliano, tuttochè nulla avesse operato contra di lui.
_Tertullo_ in questo anno ancora si truova prefetto di Roma. In luogo
suo fu poi creato Massimo, dappoichè Giuliano divenne padron di tutto.
Passò esso Giuliano Augusto, siccome già accennai, il verno in
Vienna[329], dove sul principio di marzo gli giunse avviso che gli
Alamanni sudditi del re o principe Vadomario verso Basilea aveano fatto
delle scorrerie nel paese romano della Rezia. Spedì egli Libinone conte
con una brigata di soldati per mettere al dovere que' Barbari; ma essi
misero lui a morte, avendo egli disordinatamente voluto venir alle mani
con loro. Fama corse che _Vadomario_, uomo furbo, trattando con
Giuliano, gli dava i titoli d'Augusto e di dio[330]; menava poi segreti
trattati con Costanzo imperadore, e da lui avea ricevuti ordini
d'infestare il medesimo Giuliano; dicendosi di più ch'erano state
intercette lettere comprovanti tal fatto. Vero o falso che ciò fosse,
Giuliano se ne prevalse per uno de' suoi pretesti di far guerra a
Costanzo. Intanto diede commissione a _Filagrio_ suo segretario, che poi
fu conte d'Oriente, di attrappolar, se poteva, Vadomario, con cui
continuava l'apparenza della pace; ed in fatti gli riuscì di farlo
prigione in un convito. Altro male non gli avvenne, se non che Giuliano
il relegò nelle Spagne, di dove uscito nei tempi susseguenti, fu creato
duca della Fenicia. Passò poi lo stesso Giuliano di là dal Reno per
gastigar coloro che aveano ucciso Libinone; ma non ebbe molto a
faticare, perchè tutti dimandarono pace, o pure la confermarono, con che
restarono quiete quelle contrade. Ma questi non erano i gran pensieri di
Giuliano. Giacchè durava la nimicizia insorta fra lui e Costanzo, andava
egli da gran tempo ruminando qual partito convenisse prendere, cioè di
venire a guerra aperta, o pur d'intavolare qualche accordo con lui anche
con proprio svantaggio. Ma perchè conosceva non essere Costanzo principe
da potersi fidare della di lui parola, antepose la risoluzion di passare
all'armi contra di lui. E tanto più si animò a questa impresa, perchè,
essendo egli perduto nell'arte d'indovinare[331] o per augurii o per
negromanzia, s'immaginò che Costanzo avesse da mancar di vita in questo
anno, e nel mese di novembre. San Gregorio Nazianzeno scrive[332], non
essere da stupire s'egli previde la morte d'esso imperadore, perchè avea
guadagnato uno dei di lui cortigiani per avvelenarlo; e per questa
fidanza s'incamminò dipoi coll'armi verso Levante. Osservò ancora
Sozomeno[333] la follia di Giuliano in prestar fede ai suoi auguri e
indovini, perchè egli non previde punto la propria morte, nè il funesto
fine della sua impresa contro i Persiani. Ammiano il vuole scusar su
questo, con dire ch'egli riguardava, non come cose certe, ma solamente
come conghietture le predizioni de' suoi indovini: scusa familiare ad
altri che s'immergono nell'arte empia e vanissima di voler conoscere
l'avvenire.
La risoluzion presa da Giuliano di sguainar la spada contra di Costanzo
imperadore ognun può scorgere quanta occasion desse a tutti i saggi di
mormorare di lui, trattandosi di volgere l'armi contra di un cugino che
l'avea colmato di benefizii, valendosi dell'autorità a lui conferita per
ispogliare ed abbattere il medesimo suo benefattore. Cresceva anche
l'iniquità ed ingratitudine sua, perchè Costanzo non si movea punto
contra di lui, e trovavasi allora in angustie per la svantaggiosa guerra
che avea coi Persiani. Si studiò lo stesso Giuliano di parare questa
odiosità con varie scuse e pretesti, essendosi spezialmente studiato di
giustificar la sua condotta presso le città della Grecia, come apparisce
dalla lunga sua lettera, o sia dal manifesto scritto agli Ateniesi[334],
che si legge stampata. Il bello è ch'egli pretendeva di essere stato o
consigliato o pure obbligato dai suoi dii a ribellarsi; e Zosimo
scrive[335] che una deità, apparendogli in sogno, l'animò all'impresa,
senza badare ch'egli covava in cuore un interno iniquo dio, cioè
l'ambizione, da cui era più che da altro spronato a tanta sconoscenza
verso chi l'avea tanto beneficato. Anche i suoi soldati e partigiani
dicevano promesso a lui da essi dii un felice successo: il che quanto si
verificasse, si vedrà a suo tempo. Intanto fece egli quanti preparamenti
mai seppe di gente e danaro per marciare verso l'Oriente. L'amore,
ch'egli s'era guadagnato fra i popoli delle Gallie, indusse molti ad
offerirgli spontaneamente ori ed argenti per isperanza di ricavarne buon
frutto a suo tempo; nè si trovò più difficoltà ne' soldati per uscir
dalle Gallie, e passar l'Alpi, facendo egli credere alla sua armata di
non cercar altro per ora che d'impossessarsi dell'Illirico sino alla
Dacia novella, per prendere poi altre misure o di accordo o di guerra.
_Nebridio_, mandato già per prefetto del pretorio nelle Gallie da
Costanzo, il solo fu[336] che protestò di non poter impegnarsi contra
dello stesso Costanzo Augusto, e corse rischio d'essere messo in brani
dai soldati, se Giuliano non l'avesse coperto col suo manto, e datagli
poi licenza di ritirarsi in Toscana. Da Libanio[337] vien chiamato esso
Nebridio un mezzo uomo. Se vuol dire per avventura un codardo, da quando
in qua merita nome di codardo la fedeltà verso il principe suo? Se non
si trattasse di un nobile romano, si crederebbe che egli parlasse di un
eunuco. Fece Giuliano una promozion d'uffiziali, creando generale della
sua cavalleria _Nevitta_, _Dagalaifo_ capitan delle guardie, _Mamertino_
tesoriere, quello stesso che poi compose il panegirico di Giuliano, e
distribuendo ad altri varie cariche militari e civili. Lasciò
_Sallustio_ per prefetto del pretorio nelle Gallie, e finalmente mise in
moto l'esercito suo, diviso in varii corpi, parte inviandone per
l'Italia, e parte per la Rezia, per far credere che fossero più che non
erano le forze sue, quando non più di ventitrè mila persone, se non
s'inganna Zosimo[338], egli conduceva seco. Con gran diligenza
marciarono; ed ordine v'era di trovarsi tutti a Sirmio. Era allora tempo
di state. Arrivato che fu Giuliano dove il Danubio comincia ad essere
navigabile, trovata ivi fortunatamente gran copia di barchette, con tre
mila soldati s'imbarcò, e andò a prendere terra in tempo di notte a
Bononia, nove miglia lungi da Sirmio, capitale della Pannonia. Di là
spedì Dagalaifo con una brigata di soldati, a mettere le mani addosso a
_Lucilliano_ conte, generale d'armi di Costanzo nell'Illirico, il quale
per sua negligenza niun sentore pare che avesse avuto de' frettolosi
movimenti di Giuliano. Coltolo a letto, il menarono via, e presentarono
ad esso Giuliano: dopo di che a dirittura egli marciò a Sirmio, dove fu
con gran pompa e festa accolto da quel numeroso popolo: cosa che gli
fece sperar facile la conquista di tutto l'Illirico. E così in fatti
avvenne, perchè senza adoperar lancia o spada in poco tempo tutto
l'Illirico, la Macedonia e la Grecia il riconobbero per loro
signore[339]. Creò egli allora governatore della seconda Pannonia
_Aurelio Vittore_, quel medesimo che ci lasciò un compendio delle Vite
dei Cesari. Venuto già era l'autunno, e Giuliano si ridusse a Naisso
nella Dacia novella, o nella Mesia, dove, secondo le apparenze, si fermò
sino alla morte di Costanzo, applicandosi intanto ad ingrossar la sua
armata e a munir le fortezze, con disegno poi di entrar nella Tracia, e
far maggiori progressi.
Quello che può parere strano, si è che non sappiamo avere Giuliano
inviato altro corpo di milizie in Italia, se non quel tenue che,
passando per Aquileia, andò a congiugnersi seco a Sirmio: e pure certa
cosa è che Roma e l'Italia tutta, quasi con universale concordia,
abbandonò Costanzo, e si mise sotto la signoria di Giuliano. Convien
credere che questi popoli fossero ben malcontenti del governo d'esso
Costanzo e del suo arianismo, credendo essi tuttavia cristiano e
cattolico Giuliano; e che si prevalessero di questo leggier vento per
sottrarsi dal di lui dominio. Si aggiunse ancora un panico terrore,
perchè si sparse voce[340] che Giuliano calava in Italia con un diluvio
di gente: laonde ognun si affrettò a rendergli ubbidienza. Tale dovette
essere in Roma stessa la commozione e paura, che _Tauro_ e _Fiorenzo_
consoli scapparono, non so se di là, o da altro luogo, dove stessero
allora, e passarono per le poste verso l'Oriente, parendo loro disperato
il caso, e paventando lo sdegno di Giuliano, il quale poi, per
testimonianza di Zosimo[341], mandò ordine che, mettendo il loro nome
negli atti pubblici, si aggiugnesse _consoli fuggitivi o fuggiti_. In
mezzo poi ai pensieri della guerra non dimenticava Giuliano quei del
governo civile, scrivendo Ammiano ch'egli si occupava ad ascoltar e
decidere le liti de' particolari, a riformar gli abusi: notando
nondimeno esso istorico, ch'egli talvolta commetteva delle ingiustizie
per correggere quelle degli altri. Mamertino[342] si stende qui all'uso
de' panegiristi nelle lodi di lui, dicendo ch'egli mise in buon ordine e
stato le città tutte dell'Illirico, della Grecia, Macedonia, Epiro e
Dalmazia. Carestia di grani si provava in Roma. Fu inviato colà da
Giuliano per prefetto di quella città _Massimo_, il quale, contuttochè
permesso non fosse all'Africa di mandar frumenti colà, pure seppe trovar
maniera di provvedere al bisogno, e di prevenire i pericolosi tumulti,
ai quali fu sottoposto il suo predecessore Tertullo. Diedesi poi meglio
a conoscere in tal occasione la vanità e l'ingratitudine di
Giuliano[343], perchè già scorgendo tolta affatto la speranza di
riconciliarsi con Costanzo Augusto, scrisse contra di lui al senato
romano una invettiva piena di mordacità, con esagerar tutti i vizii e
difetti di lui: il che parve sì improprio agli stessi senatori, che, al
leggersi nella loro assemblea quella satira, non poterono contenersi dal
gridare ad una voce che il pregavano di portar più rispetto e riverenza
a chi l'avea creato Cesare e beneficato cotanto. Lo stesso Ammiano,
tuttochè adoratore, non che parziale di lui, non potè di meno di non
condannare una sì ingiuriosa scrittura, e tanto più perchè, non contento
egli di sfogarsi contra di Costanzo, addentò anche la memoria di
Costantino il Grande, proverbiandolo come novatore e perturbatore delle
antiche leggi, e perchè avesse innalzate persone barbare sino al
consolato: sciocca accusa, come Ammiano confessa, perchè lo stesso
Giuliano poco stette a crear console _Nevitta_, Goto di nazione, e
persona selvatica, anzi crudele; laddove Costantino non promosse se non
persone di raro merito e di gran riputazione e virtù[344]. Avvenne
intanto un affare che avrebbe potuto imbrogliar non poco le misure di
Giuliano, se non fosse intervenuta la morte di Costanzo Augusto. Due
legioni e una compagnia di arcieri, che già servivano a Costanzo,
trovate da Giuliano in Sirmio, perchè d'esse egli non si fidava, prese
la risoluzione d'inviarle nelle Gallie; e queste andarono. Ma giunte ad
Aquileia, ricca città, e forte non meno pel sito che per le buone mura,
e trovata la plebe tuttavia divota al nome di Costanzo Augusto, che si
sollevò all'arrivo loro, quivi fermarono il piede, e si afforzarono
contra di Giuliano. Perchè questo fatto potea tirarsi dietro delle
brutte conseguenze, Giuliano mandò ordini a _Giovino_ general della
cavalleria, che era in marcia verso la Pannonia, di accorrere colà, e
convenne formarne l'assedio, che fu lungamente sostenuto con bravura e
spargimento di sangue. Nè finiva sì presto quell'impegno, se non veniva
la nuova della morte di Costanzo, per cui que' soldati in fine
capitolarono la resa, lasciando esposto allo sdegno di Giuliano il
promotore di quella sedizione Nigrino tribuno, che fu bruciato vivo, ed
alcuni pochi altri, ai quali fu reciso il capo.
Tempo è oramai di parlare dell'Augusto Costanzo, che noi lasciammo a'
quartieri d'inverno in Antiochia. Le applicazioni sue tutte erano in
preparamenti di guerra, e in far masse di milizie per opporsi ai sempre
nemici Persiani. Ma non era così occupato da' pensieri guerrieri, che
non ne nudrisse ancora de' mansueti e geniali[345]. Gli avea tolta la
morte poco dianzi _Eusebia_ Augusta sua moglie, donna che non l'avea mai
arricchito di prole, e che (siccome spacciò la fama) per aver voluto
prendere un medicamento, creduto atto a farla concepire, abbreviò a sè
stessa la vita[346]. Voce ancora corse[347] ch'essa con una bevanda data
ad _Elena_ sua cognata, allorchè questa fu per maritarsi con Giuliano
Cesare, la conciasse in maniera che abortisse ad ogni gravidanza. Le
dicerie del volgo son facili in tal sorta di accuse. Ora Costanzo, per
desiderio di lasciar dopo di sè qualche figliuolanza[348], prese in
questi tempi per moglie _Massimo Faustina_, della cui famiglia nulla
dicono le storie. Solamente si sa ch'egli morendo la lasciò gravida, ed
esserne nata una figliuola, appellata _Flavia Massimo Costanza_. Questa
poi prese per marito _Graziano_, che vedremo a suo tempo imperadore.
Forse non si figurava Costanzo che Giuliano si avesse a muovere dalle
Gallie, e però non prese le convenevoli precauzioni per munire l'Italia
e l'Illirico contra dei di lui tentativi. Provvide bensì
all'Africa[349], con inviare colà _Gaudenzio_ suo segretario, il quale,
andando d'accordo con _Crezione_ conte, dispose così ben le cose, che
durante la vita d'esso Augusto da niuno restò turbata la quiete di
quelle provincie. S'udivano intanto le grandiose disposizioni di Sapore
re della Persia per tornare ostilmente ad invadere la Mesopotamia. Il
perchè Costanzo si procacciò con diversi regali l'assistenza e il favore
dei re confinanti co' Persiani, e massimamente di _Arsace_ re
dell'Armenia. Poscia, allorchè vennero nuove che pareva imminente il
passaggio dei Persiani nella Mesopotamia, circa il mese di maggio uscì
anch'egli in campagna, e passato di là dall'Eufrate, andò a fermarsi in
Edessa, con inviare nello stesso tempo i suoi generali _Arbezione_ ed
_Agilone_ alle rive del Tigri, ma con espresso ordine di non azzardare
una battaglia. Stettero ivi le soldatesche romane gran tempo, aspettando
il nemico, senza mai vederlo comparire; ed intanto giunse a Costanzo la
dolorosa novella che il ribelle Giuliano s'era già impadronito
dell'Illirico. Facile è l'immaginare che turbazione ed affanno gli
recassero i passi dell'odiato cugino. Ma nel dì seguente ricevette il
grato avviso che il re Sapore, o sia perchè da' suoi indovini gli furono
predette disgrazie se s'inoltrava, o pure perchè gli diedero apprensione
le forze de' Romani, se n'era tornato addietro. Allora fu che Costanzo,
tenendosi come liberato dalla molestia de' Persiani, lasciate solamente
le guarnigioni opportune nelle città e fortezze della Mesopotamia, se ne
tornò indietro con disegno di procedere armato contra di Giuliano,
giacchè si teneva sicura la vittoria, combattendo con quell'ingrato.
Partecipata all'esercito questa sua intenzione, tutti ne fecero festa, e
si animarono al viaggio. Partissi egli da Antiochia nell'autunno
avanzato; ma arrivato a Tarso nella Cilicia, fu preso da una picciola
febbre, per cui non desistè dal cammino. Si trovò poi forzato dal male,
che andò crescendo, a posare in Mopsuerene, luogo situato ai confini
della Cilicia plesso il monte Tauro[350], dove nel dì 5 di dicembre
(Ammiano scrive nel dì 3) in età di circa quarantacinque anni diede fine
al suo vivere, con essersi detto che Giuliano l'avesse fatto avvelenare.
Lasciò questo principe dopo di sè una assai svantaggiosa memoria.
Certamente a lui non mancavano delle belle qualità, come l'essere
indurato alle fatiche e a dormir poco, se il bisogno lo richiedeva[351].
Negli esercizii militari niuno gli andava innanzi, e quanto fu
moderatissimo sempre nel mangiare e bere, altrettanto si guardò dal
lusso e dai piaceri illeciti, in guisa tale che nè pur chi gli voleva
male arrivò mai ad accusarlo di avere contravvenuto alle leggi della
castità. Ornato delle belle lettere, sapea far discorsi sensati e gravi.
Chi prese a lodarlo vivente (il che fecero Giuliano e Temistio[352]),
cel rappresenta moderato in tutte le passioni, e specialmente padrone
della sua collera, con soffrir le ingiurie senza farne vendetta. E certo
sensibili segni di clemenza diede talvolta[353] sino a perdonare con
facilità alle città che aveano fatta sollevazione: laonde da molti per
questa sua indulgenza era amato non poco. Fece ancora risplendere il suo
zelo contra dell'idolatria, e di sopra accennammo le rigorose sue leggi
contro di essa. Ristaurò pur anche o di nuovo edificò molte chiese in
Oriente, e le arricchì; e gran rispetto conservò sempre verso i vescovi,
facendoli mangiare alla sua tavola, e ricevendo da loro con umiltà la
benedizione. Tali erano i pregi di Costanzo in poche parole.
Ammiano[354] più a lungo ne lasciò descritto quel poco o molto ch'egli
aveva di buono. Ma, voltando carta, troviamo che contrappesavano ben più
i di lui difetti. Gran disgrazia è l'aver principi deboli di testa, e
che si figurano nondimeno di aver testa superiore in intendimento a
quella di ognuno. A Costanzo ne era toccata una di questo tenore. Peggio
poi se il principe non ama e non soffre se non chi il loda, e solamente
si compiace degli adulatori, disprezzando o rigettando chi osa dirgli la
verità, e non sa lodare i difetti, nè far plauso alle azioni viziose o
mal fatte. Costanzo era appunto un di questi[355], pieno di una vanità
ridicola, per cui voleva, a guisa dei tiranni dell'Oriente, essere
appellato Signore di tutta la terra[356]; e si fece alzar archi
trionfali nelle Gallie e nella Pannonia per aver vinto dei Romani
ribelli: gloria abborrita da tutti i saggi imperadori; pavoneggiandosi
ancora delle vittorie riportate da' suoi generali[357], come se in
persona fosse egli intervenuto alle battaglie. Nè la sua clemenza andò
molto innanzi, perchè spietato comparve contro chiunque o tentò o fu
sospettato di tentare contro la di lui corona. Non si può poscia
abbastanza esprimere che predominio avessero nella corte di lui gli
adulatori, e quanta fosse la prepotenza de' suoi eunuchi, i quali,
abusandosi della tenuità del di lui intendimento, e della timidità del
suo cuore, l'ingannavano continuamente, ed arrivarono in certa guisa a
far essi da imperadori di fatto, con lasciarne a lui il solo nome,
perchè nulla operava, nulla determinava senza il lor consiglio, nè pur
osando di far cosa che venisse da lor disapprovata. Di qua poi venne la
vendita delle cariche e della giustizia, e l'elezion degl'indegni
ministri e governatori con immenso danno dei popoli. Non venne anche un
peggior male, cioè un gravissimo sconcerto alla Chiesa di Dio; perchè
quella vile, ma superba canaglia, guadagnata dagli ariani, il portò a
sposar gli empii loro insegnamenti, e a perseguitare i vescovi della
Chiesa cattolica, e ad abbattere per quanto potè la dottrina della vera
Chiesa di Dio. Però nella storia ecclesiastica noi il troviamo dipinto
(e ben sel meritava) con dei neri colori, spezialmente da santo Ilario e
da Lucifero vescovo di Cagliari, come principe o tiranno, che contra le
leggi del Vangelo si arrogò l'autorità di far dipendente da' suoi voleri
la religione santa di Cristo, e volle esser arbitro delle controversie
della fede che Dio ha riserbato al giudizio dei sacri suoi pastori. Lo
stesso Ammiano, ancorchè gentile, il condannò per questa sua prepotenza.
Imbevuto egli così degli errori dell'arianismo, in essi durò poi sino
alla morte, senza mai prendere il sacro battesimo, fuorchè negli ultimi
dì di sua vita[358], nei quali fu battezzato da Euzoio vescovo ariano.
Ma finiamola di parlar di un regnante cattivo, per passare ad un
peggiore, che, provveduto da Dio di molte belle doti personali, avrebbe
potuto far bella figura fra gl'imperadori de' Romani, ma per la sua
empietà si screditò affatto presso de' Cristiani, che tuttavia
rammentano con orrore il di lui nome. Parlo di _Giuliano_, che già aveva
usurpato il titolo d'Imperadore Augusto, e si trovava nell'Illirico
allorchè gli giunse la gratissima nuova della morte di Costanzo Augusto.
Riserbando io di favellare più precisamente di lui all'anno seguente,
solamente ora dirò ch'egli, veggendo tolto ogni ostacolo alla sua
grandezza, marciò a dirittura a Costantinopoli nel dì 11 di
dicembre[359], dove fu ben accolto, e fatto portar colà il cadavere del
defunto cugino Augusto, gli fece dar sepoltura colla pompa consueta
degl'imperatori nella chiesa degli Apostoli, intervenendo egli stesso
alla sacra funzione come cristiano in apparenza, ancorchè qual fosse
internamente, staremo poco a vederlo.
NOTE:
[329] Ammianus, lib. 21, cap. 3.
[330] Liban., Orat. V et XII. Julian., Epist. ad Atheniens.
[331] Ammianus, lib. 20, cap. 1. Liban., Orat. XII.
[332] Gregor. Nazianzen., Orat. III.
[333] Sozom., lib. 5 Hist., cap. 1.
[334] Julian., Epistol. ad Atheniens.
[335] Zosimus, lib. 3, cap. 9.
[336] Ammianus, lib. 21, cap. 5.
[337] Liban., Orat. XII.
[338] Zosimus, lib. 3, cap. 10.
[339] Ammianus, lib. 21, cap 10. Libanius, Orat. XII.
[340] Ammianus, lib. 21, cap. 9.
[341] Zosim., lib. 3, cap. 10.
[342] Mamertinus, in Panegy.
[343] Ammian., lib. 21, cap. 10.
[344] Ammianus, lib. 21, cap. 11.
[345] Ammianus, lib. 21, cap. 6.
[346] Zonar. Cedrenus. Chrysost., Hom. 15 ad Philipp.
[347] Ammianus, lib. 16.
[348] Du-Cange, Hist. Byz.
[349] Ammianus, lib. 21, cap. 7.
[350] Hieronymus, in Chronico. Idacius in Fastis. Chronicon Alexandr.
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