Alla finestra: Novelle - 11

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le sue opinioni, nemmen per idea, e posso dire che nelle occasioni
gli ho detto l'animo mio, e in qualche caso egli non ebbe a dolersi di
avermi abbadato.... Non lo dico già per vantarmi.... Tutto dipende dal
non essere uomo di partito....
— Sicuro; il partito rovina tutto, — osservano, sorseggiando il caffè
i sapientoni del _Mercurio Risorto_.
Durante un cosidetto rimpasto ministeriale si diffuse la voce che
il commendatore Filiberto potesse esser chiamato a formar parte del
Gabinetto. Bisognava vedere il signor Isidoro in quei giorni. Che
maestà olimpica nella sua persona, che gravità piena di significato
nelle sue frasi, che eloquenza nei suoi saluti e nelle sue strette di
mano!
Gli adoratori del sole che sorge gli si affollavano intorno più
ossequiosi che mai, serii s'egli era serio, faceti s'egli era faceto,
sollecitanti il suo patrocinio con lo sguardo e con le parole.
— Chiacchiere dei giornali, — diceva l'egregio uomo, — tutte
chiacchiere.... Non c'è nulla di positivo.... Mio fratello non si è
ancora deciso.... Ha scritto anche a me per domandare il mio parere....
Io sono franco.... l'ho sconsigliato....
— Oh.... questo poi....
— Ma, caro signor Isidoro....
— Sì, sì.... Il potere?.. Brighe, fastidi.... niente altro.... Esser
servi di tutti, avere una folla di nemici, vedersi messi in berlina
per le gazzette, ecco ciò che significa stare in certi posti.... Meglio
l'essere oscuri, mille volte meglio.... Almeno io la ho sempre pensata
così.
Ma mentre parlava in pubblico su questo tuono, il signor Isidoro
scriveva due volte al giorno al senatore commendatore per eccitarlo
a romper gli indugi, ad accettare il portafoglio, a dar questo nuovo
lustro al nome dei Ferrarecci.
La combinazione ministeriale in cui doveva entrare il commendatore
Filiberto andò fallita, e svanirono con essa le splendide prospettive
del signor Isidoro. Egli cercava di fare il disinvolto e diceva: —
Meglio così.... L'avevo sconsigliato anch'io....
Quindi riscaldandosi da sè, come avviene sovente, egli si scagliava
contro la politica. — Io predico sempre a mio fratello che si
ritiri, che di gloria ne ha ormai abbastanza, che avrebbe diritto
di riposarsi.... Tanto e tanto nessuno gli è grato perchè si ammazza
lavorando da mattina a sera.
Però quando un giorno un suo conoscente gli fece la burletta di dirgli
a bruciapelo: — Mi assicurano di aver letto in un giornale che tuo
fratello rinuncia a tutti i suoi uffici e rientra nella vita privata,
— il signor Isidoro divenne bianco come un cencio lavato, corse prima
a casa a veder se ci fossero lettere del commendatore, poi al caffè a
leggere i fogli e non ebbe pace finchè non acquistò la certezza che in
quella notizia non c'era ombra di vero.
Eppure, alla stretta dei conti, che cosa ci guadagna il signor Isidoro
dalla posizione di suo fratello, se in tanti anni non è stato fatto
nemmeno cavaliere della Corona d'Italia? Non inarchi le ciglia, gentile
lettrice; pare impossibile, ma è così. Il commendatore Filiberto,
scrupoloso com'è, vedrebbe malvolentieri accordato a un membro della
sua famiglia uno speciale favore che si potesse ritenere attribuibile
all'influenza di lui. Meglio quindi non recargli questo dispiacere,
perchè se il dare una croce costa poco, il non darla costa ancora meno.
Infine, siam giusti, il signor Isidoro è persona discreta. Gli
basta farsi credere depositario di segreti che non ha, stromento di
concessioni che non può ottenere, gli basta sopratutto poter seccare il
prossimo all'ombra della riputazione fraterna. E in quest'ultimo punto
egli riesce a maraviglia, ve lo assicuro. Ci riesce quando vi trova
per la strada e quando viene a visitarvi a casa, ci riesce quando vi
dice le sue opinioni e quando vi domanda le vostre, ci riesce quando è
loquace e quando è taciturno, quando parla grave e quando vuol essere
arguto, quando è lusinghiero e quando è accigliato. Dio buono! Ho paura
che ci riesca anche quando inspira le pagine d'uno scrittore. Signora
lettrice, se si è annoiata davvero, non se la pigli meco, ma ne dia
la colpa a _lui_, al fratello del grand'uomo. Egli ha tanti di questi
peccatacci sulla coscienza che si può affibbiargliene un altro senza
rimorso.


IL COLPO DI STATO DI CLARINA

Quando Clarina se ne avvide, cominciò coll'esserne stupita, poi gliene
dispiacque, e finalmente, a forza di pensarvi, giudicò che la cosa era
naturalissima, che doveva farsi, e doveva farsi anzi per mezzo suo.
— Se ne avvide? E di che? E che modo di raccontare è questo?
Il lettore ha ragione. Mi pento, e comincio secondo le regole....
. . . . . . .
Il salotto da pranzo non è nè troppo grande, nè troppo piccolo, è
ammobiliato senza lusso, ma con discreta eleganza: un lume a petrolio
in mezzo alla tavola vi spande un sufficiente chiarore.
Regna un silenzio profondo, interrotto soltanto dal crepitar della
fiamma nel camminetto. In una poltrona vicina alla tavola è sdraiato il
signor Emilio bell'uomo che a vederlo non mostra più di quarant'anni,
sebbene abbia già qualche capello grigio in testa, e qualche piega
un po' risentita sulla fronte. Del resto, ha fisonomia, oltre che
simpatica, intelligente e leale. Tiene, in bocca il sigaro, in mano una
gazzetta, ma nè fuma, nè legge.... il _rêve_, come dicono i Francesi, o
_el fila caligo_, come si dice espressivamente in Venezia. Dirimpetto
a lui, e fissandolo ad ogni tratto senza lasciarsi scorgere, è seduta
la Clarina, avvenente ragazza sui diciotto, seppure li ha, con occhi
pieni a un tempo di vivacità e di dolcezza, labbretti di rosa fatti
apposta per sorridere e per dare e ricever baci, e folti capelli
di color castagno, colore che dai poeti (ad eccezione dell'Aleardi
nell'_Ora della mia giovinezza_) non si vuol celebrare, ma che
incornicia in guisa mirabile un leggiadro visino. È pallida alquanto,
ma non datevi pensiero, io non ho punto intenzione di farvela morir
tisica, e se fu malata, oggi sta perfettamente. Infine, ho l'onore di
presentarvi l'Angelica, zitellona che ha compito ormai i nove lustri,
che tiene il _quid medium_ tra la cameriera e la dama di compagnia,
che ha visto nascere la Clarina e morir la povera mamma di lei, e che è
trattata a buon dritto come un membro della famiglia. Oltre all'affetto
sviscerato pe' suoi padroni, l'Angelica va distinta per tre qualità;
un abborrimento smisurato pel matrimonio, una tenerezza grandissima
per un pingue gatto soriano che porta il nome singolare di Artaserse
(nome impostogli dalla padroncina in un momento di fervore per la
storia di Persia) e un'abitudine inveterata di dormire tutte le sere
d'inverno dalle sette alle otto col sullodato animale sulle ginocchia
nella stanza ove stanno Clarina e suo padre, a cui l'Angelica dice di
voler tener compagnia. Altro che compagnia! Ella dorme come un serpente
boa dopo che si è ben pasciuto. In questo momento però ella è tuttora
svegliata, quantunque il capo cominci a divenirle grave, e il silenzio,
in lei inusato, accenni all'approssimarsi di Morfeo. Il gatto Artaserse
con occhi semichiusi le sonnecchia in grembo, e solo di quando in
quando mette fuori la lingua a leccarsi i baffi, umidi ancora di
qualche ghiotto manicaretto; le corse precipitose e un miagolio erotico
di altri gatti sul tetto delle case vicine rompono la quiete della
stanza. L'Angelica dà un balzo sulla sedia con notevole incomodo del
tranquillo Artaserse il quale si sente minacciato nella sua posizione.
Nondimeno la bestia, se oso chiamar così un quadrupede tanto stimato,
ritrova presto il suo centro di gravità, e l'Angelica cacciandogli la
mano entro il morbido pelo e carezzandogli il muso con quell'espansione
che non volle usare con nessun uomo al mondo, esclama: — Beato te,
Artaserse, che non hai di queste seccature! — Il ben pasciuto animale
non si preoccupa dell'allusione offensiva, ma torna a socchiudere
gli occhi, e a russare. Il signor Emilio sorride fuggevolmente, e la
fanciulla dà una scrollatina di spalle.
Suonano le sette all'orologio dell'andito. È l'ora in cui l'Angelica e
il suo micio sogliono addormentarsi davvero, è l'ora delle confidenze
tra padre e figliuola.
Ma stasera le labbra di entrambi sono suggellate. _Tic tac_, _tic tac_;
battono i secondi, passano i minuti, le ultime bragie scoppiettano nel
camminetto, i due dormienti empiono la stanza del loro grave respiro,
ma la Clarina ed il signor Emilio non dicono una parola.
Finalmente Clarina si alza dal suo posto, comincia col dare
un'occhiatina al termometro appeso alla parete vicino alla credenza,
poi fa un rapido cambiamento di fronte, e sfiorando appena il tappeto
co' suoi piedini leggieri, va a sedersi accanto al signor Emilio, gli
mette un braccio intorno al collo, gli leva di bocca il sigaro e di
mano il giornale e bisbiglia: — Babbo.
Egli alza su lei il viso atteggiato a infinita dolcezza, le ravvia con
la mano i bruni capelli sulla fronte, e dice: — Clarina mia, ti senti
proprio bene stasera?
— Come un pesce. O perchè sono un po' pallida mi crederesti ancora
malata?
— Dunque non c'è proprio più nulla, nulla?
— Ma nulla affatto. Vuoi vedermi ballare?
— Eppure, via, non me lo nascondere, non sei del tuo umore consueto.
— Oh bella! A vederti così serio gli è naturale. Me ne sono accorta,
sai....
— Di che? — interruppe il signor Emilio, arrossendo subitamente.
— Del tuo cangiamento d'umore, — rispose Clarina, facendosi rossa alla
sua volta.
— Ah!... — esclamò egli, come se fosse sollevato d'un peso. —
T'inganni, Clarina.
— No, babbo, è così.... Oh ma io non sono indiscreta; so che non ami
di essere interrogato su questo proposito, e mi taccio.... È un tuo
difetto, ma ci vuol pazienza. Del resto, è vero, non son ilare nemmeno
io... Penso....
— A che cosa?...
— Non saprei spiegarlo, è una folla di pensieri che mi si accumulano in
mente.... Ma, prima di tutto, penso ad _una_ che non ho conosciuta....
— A tua madre, povera Clarina?
— Sì, babbo, e quando rifletto che sei rimasto così solo....
— Solo, bimba mia? Non ci fosti sempre tu?
— Oh è un'altra cosa, — mormorò la fanciulla, chinando gli occhi a
terra, e mettendosi un dito sul labbro. — Chi sa ch'io non sia invece
un inciampo?...
— Clarina, — proruppe con accento severo il signor Emilio, — t'ho io
mai dato il diritto di parlarmi così? Vaneggi forse stasera?
— Babbo, babbo, non prendere in mala parte le mie parole, — disse
supplichevole la vezzosa giovinetta, chiudendogli la bocca con un bel
bacio. — Credimi, ho tanti peccati verso di te.... Voglio dire.... ma
mi lasci proprio cominciar da principio?
— Su, parla, la singolare fanciulla che sei.
— Son quindic'anni e più, non è vero? da _quella sera_? La povera
mamma così bella, e buona, e giovine, domandava di me. — _La Clarina
dorme_, — le dissero. Ella sorrise con mestizia, susurrò a fior di
labbra: — _Or ora dormirò anch'io_, — si volse dolcemente sul fianco,
portò la mano sotto il capo, e si addormentò.... per sempre.... Nella
stanza contigua, pargoletta di due anni e mezzo, dormivo io pure, ma
d'un sonno diverso.... Ero io pure piegata da un lato, avevo io pure
la mano sotto la testa, precisamente come _lei_.... Me lo disse tante
volte l'Angelica.... Tu, poichè tentasti invano di rianimar co' tuoi
baci quella tua cara, ti trascinasti fino alla mia cameretta, e là,
abbandonata la persona sopra una sedia vicino al mio letticciuolo,
posasti il capo stanco sulla mia coltrice, cercando nelle linee del
mio viso le sembianze della povera estinta, e sentendo nel mio respiro
un alito della sua vita. L'Angelica, occupata in più tristi cure, non
venne mai nella stanza, tanto solitaria, tanto fievolmente rischiarata,
quanto la stanza vicina era piena di moto e di luce sinistra. L'alba,
penetrando attraverso le persiane, trovò me dormente e te vigile
accanto, e quand'io mi svegliai, fu per te il mio primo sorriso che,
subito dopo, per quel che mi assicurano, si mutò in pianto dirotto.
Vedendo poscia altri bimbi in condizioni simili, mi parve capire che
in quell'età la sventura non s'intende, ma s'indovina.... non si sa
perchè si pianga, ma si sente bisogno di piangere.... Tutti codesti
particolari io li ebbi in parte da te, in parte dall'Angelica; se non
son veri, dimmelo....
— Sono verissimi, ma non so perchè tu mi faccia questo discorso....
Sono ricordi penosi....
— Devi permettermi di parlare: ho il cuore che mi trabocca.... Quando
siamo rimasti così, tu ed io, tu avevi venticinque o ventisei anni;
t'eri ammogliato giovanissimo. Eri bello, gagliardo, intelligente,
operoso; potevi avere il mondo per te, potevi ricominciare la vita
come si ripiglia una strada un momento interrotta.... ma c'ero io, così
gracile, eppure così insuperabile intoppo...,
— Oh! Clarina....
— Si, intoppo. Perchè nessuno si frapponesse a noi due, tu hai voluto
rimanere solo, perchè io non dovessi subire le vicende di una esistenza
avventurosa, tu ti sei negato il soddisfacimento di ogni onesta
ambizione: potendo essere, pur che tu lo volessi, felice e celebre, hai
prescelto di essere derelitto ed oscuro.... Oh lo so, lo so quello che
tu vuoi dire: che il mio amore ti compensava di tante altre cose....
E fino a un certo punto lo credo anche.... ma non è tutto.... io ero
cresciuta amandoti di un amore appassionato, ma sospettoso, egoista.
Non solo credevo di poter bastare a quanto v'era d'affetto nell'anima
tua, ma mi pareva anzi che tu non avessi diritto a domandare di più;
che tu dovessi appagarti de' miei sorrisi, divertirti de' miei giuochi,
andar pazzo pe' miei capricci. Ero superba, ma ero anche gelosa di
te. I giorni che tu venivi a prendermi a scuola erano per me giorni di
festa. Quando t'inchinavi a baciarmi in presenza delle mie compagne, io
mi guardavo intorno pavoneggiandomi tutta, come se volessi dire alle
altre: — Quale è di voi che abbia un così bel babbo? — Vedi; tu hai
conservato la tua elegante persona, sei ancora un bell'uomo, non c'è
che dire (non ridere!) ma c'è qualche impertinente filo bianco nei tuoi
capelli, c'è qualche grinza sulla tua fronte. Allora, dieci, o dodici
anni fa, eri nel tuo pieno splendore....
— Oh che bimba! — disse il signor Emilio, carezzandole i capelli.
— Ma, — continuò imperturbata la Clarina, — ma se tu poi pigliavi sulle
ginocchia un'altra fanciulla, e anch'ella per quel tuo fascino arcano
ti sorrideva festosa, non ti so dire quanta stizza io provassi. Già
te ne sarai accorto, perchè io non facevo complimenti.... Un giorno
solenne per la mia vita fu quello in cui, divenuta ormai grandicella
(aveva, credo, dieci anni) potei uscire di casa attaccata al tuo
braccio. Mi conveniva stare un po' in punta di piedi, ma avrei fatto
altro che quello! Io ritengo che mi sarei fatta volentieri precedere
per le vie da un tubatore che annunziasse ai popoli la grande novella.
Ben se ne rammenta l'Angelica che sa quali esigenze io avessi in
quel dì pel vestito e l'acconciatura. A forza di star dinanzi allo
specchio mi persuasi (vedi vanità) che, se io andavo superba del mio
_cavaliere_, tu non potevi scontentarti della tua _dama_. Lungo la
strada s'incontravano signori e signore a cui tu facevi bellissime
scappellate, mentre io salutavo con un sorriso di degnazione. Mi
ricordo di aver tossito due volte passando dinanzi alla fruttaiola
che stava sull'angolo per richiamar la sua attenzione sull'importante
spettacolo. Ma la volgarissima donna occupata a smerciare un panierino
di fragole, non se ne diede nemmeno per intesa. Dopo quel giorno
io non credo d'averti lasciato tranquillo una settimana. Bisognava
far sempre quella famosa passeggiata, bisognava sempre mostrarsi al
colto pubblico. Già io non sapevo nemmeno concepire che tu potessi
desiderare un miglior trattenimento di quello del condurmi a passeggio,
e quando tu mi adducevi un'occupazione, o un impegno, io mi annuvolavo
subitamente. Era però ben altra cosa se qualche sera tu ti proponevi
di rimanere in casa a tenermi compagnia. Allora, s'era d'estate, ci
mettevamo sul bel terrazzo che dà in giardino, lì in mezzo a quelle
piante di limoni che spandono una sì grata fragranza; e, s'era
d'inverno, stavamo qui in questo salottino, proprio come adesso,
senonchè l'Angelica allora non pigliava sonno così facilmente. Ed
io t'interrogavo sul passato, e tu mi parlavi della mamma, e me la
descrivevi con tanta evidenza che mi pareva sempre d'averla dinanzi
agli occhi, bella, elegante, gioconda. E ad ogni uscio che s'apriva e
a ogni fruscìo di veste che mi feriva l'orecchio mi pareva impossibile
che non dovesse esser _lei_, proprio _lei_ che mi venisse dinanzi e
dicesse: — Son qui, Clarina. M'hai aspettata un pezzo, non è vero?
ma ormai starò sempre, sempre con te. — E così del suo soffio e della
sua immagine io avevo popolato la casa, e spesso mi faceva l'effetto
come s'ella fosse davvero con noi.... E allora m'accorsi che le mie
gelosie eran per lei, che io dovevo custodire in nome di lei le pareti
domestiche da ogni intromissione profana. Con questo pensiero mi
parve di nobilitare il mio ufficio di guardiana ombrosa ed arcigna.
L'Angelica mi secondava benissimo, e tengo per fermo che due creature
meno ospitali di noi non potessero trovarsi in tutta Italia, a cercarle
col lumicino. Non puoi immaginarti che profonda antipatia io sentissi
per quella signora Agliani che è poi andata a stabilirsi in Torino. Con
la scusa ch'eravamo condiscepole con la sua bimba, e che per cagion
nostra, vi eravate incontrati più volte alla scuola, ella t'invitò a
farle visita.... che sfacciataggine!... e poi, sempre per accompagnare
quella sua figliuola lunga e sottile come un giunco, ella veniva ogni
momento nel nostro giardino, e raccontava ch'era vedova, senz'appoggi,
col cuore vuoto, ecc., ecc. Che cosa me n'importava a me di questa
roba? Basta, babbo, purchè tu non mi sgridi, ti confesserò che un
giorno instigai l'Angelica a metterle farina invece di zucchero nella
tazza del caffè....
— Oh che sgarbata! — disse il signor Emilio tra il serio e il faceto.
— Più tardi l'Angelica mi raccontò che la signora Agliani aveva messo
gli occhi su te per farsi sposare, ma che tu non hai voluto nemmeno
pensarci per cagion mia.... Eppure, babbo, quando di fanciullina
divenni ragazza, e si svegliaron in me nuove fantasie e nuove idee,
e mi si affacciarono agli occhi i languidi barlumi d'un mondo ancora
inesplorato, e sentii l'irrequietezza dei quattordici a quindic'anni,
principiai ad accorgermi che per te dovevano esservi altri orizzonti,
altri desiderii, altre speranze. Ma il primo movimento dell'animo mio
non fu generoso: fu un accrescimento di sospetti. Mi pareva sempre che
tu dovessi dirmi da un momento all'altro: — Cara la mia Clarina, io
ti voglio un gran bene, ma tu non mi basti. — E se tu parlavi a bassa
voce con l'Angelica, e se facevi ridipinger le stanze, o ricevevi
un'ambasciata inattesa, io ero lì con tanto d'occhi e d'orecchi
nella paura di una rivelazione sgradevole. Oppure entravo nella mia
cameretta, e pensavo alla mia mamma, e piangevo....
— Sciocchina! — interruppe il signor Emilio. — Perchè immaginarti ciò
che non era? O, in ogni modo, perchè non venir franca da me, e dirmi:
— Babbo, _nessun altro_ deve entrare in casa nostra: _Clarina non lo
vuole!_
— Ah! Perchè? Perchè? Perchè in mezzo a tutto io sentivo una specie
di rimorso del mio egoismo; e avrei voluto esser più buona, più
ragionevole, più generosa.... ma non c'era caso.
— Andiamo bimba mia, datti pace, io ti voglio bene ugualmente, e se tu
mi hai preso per confessore, io ti assolvo. Ti basta?
Con queste parole, il signor Emilio diede un gran bacio a Clarina
e fece atto d'alzarsi. Ma ella premendogli la mano sulla spalla
gli impedì di muoversi dicendo.... — Chè? Chè? Siamo ancora al
principio....
— Al principio, di che cosa?
— Oh bella! del mio racconto.
— Davvero? Parla allora.
— Ti ricorderai che la mia selvatichezza aveva qualche eccezione. Due
anni fa io andavo ancora al collegio. Ero una delle alunne più grandi
e quindi più saggie, di quelle che ricevono le confidenze delle maestre
e tentano d'isolarsi dalle loro condiscepole. In quel tempo appunto si
allontanò dalla scuola per prender marito quella bella e sentimentale
signora Adelina che c'insegnava il francese e la musica. Io ero
vissuta con lei in qualche dimestichezza, e anzi ci fu un tempo ch'ella
esercitava su di me un fascino irresistibile. Non so che cosa nasca
in voi altri uomini quando siete adolescenti; so che in noi giovinette
accade spesso di provare un non so che di romantico, d'ineffabile per
qualche persona del nostro sesso che riempie alcune delle condizioni
del nostro ideale. Ci dispiace quasi di non essere uomini per poter
dirle: — Se siete malinconica, io cercherò di farvi sorridere; se siete
sola, io vi terrò compagnia; se avete bisogno d'affetti, io v'amerò;
Ecco la parola.... l'ho detta.
— Sai, Clarina, che stasera per una ragazza....
— Parlo troppo, non è vero? Me ne accorgo anch'io, ma bisogna che tu
mi lasci parlare.... Oh la signora Adelina! Con quella persona svelta,
con quegli occhi neri, grandi, soavi, con quell'aspetto così gracile,
con quel viso così pallido! Ah il pallore e la gracilità, non lo nego,
avevano gran parte nella mia simpatia. Ci sarebbe voluto poi di tratto
in tratto qualche leggero colpo di tosse, e non già una malattia di
consunzione, (Dio guardi!).... ma una lontana minaccia. Da questo lato
la signora Adelina era alquanto restìa a compiacermi, ella non aveva
mai un dolore di capo, mai un po' di languore, ed era fornita di un
grande appetito. Nondimeno, io l'ero sempre ai panni, e m'aspettavo
ogni giorno che dovesse accaderle qualche strepitosa avventura.
Perciò, in mezzo a tutta la mia ammirazione, non volevo condurla
troppo spesso a casa, parendomi che nulla dovesse resistere alla sua
virtù affascinatrice.... Fetonte non fece un maggior capitombolo di
quello che io mi facessi un giorno che la signora Adelina mi chiamò da
parte annunciandomi ch'ella voleva dirmi qualche cosa in segreto. Mi
preparai a una rivelazione straordinaria, orgogliosa fuor di misura
dell'onore di cui mi si credeva degna. Supponevo che vi sarebbero
lagrime, svenimenti e singhiozzi, e, quanto a me, ero già commossa
in anticipazione. La signora Adelina mi condusse nel salotto ove la
direttrice soleva ricevere le famiglie delle alunne, e ivi con faccia
più ilare ch'io non avrei voluto, mi disse:
— Dunque, la mia bimba, ci lasciamo.
— Oh! — fec'io con voce tremula.
— Sì, cara, io mi marito. Il mio sposo non è nè troppo giovine,
nè troppo bello, ma è benestante, ha fondi propri, ha uno stato
assicurato, e io non potevo aspettarmi meglio di così..... Che cos'hai,
Clarina?
— Nulla.... il dispiacere della vostra partenza. — balbettai confusa.
— Coraggio, coraggio! — rispos'ella ridendo — verrai a trovarmi a X....
nella nostra farmacia....
Di male in peggio. Quest'uomo nè bello, nè giovine, era anche
farmacista! E Adelina acconsentiva a sposarlo, e Adelina non si
strappava i capelli, e Adelina non isveniva nelle mie braccia!...
T'assicuro, babbo, che questo fu uno de' maggiori disinganni della mia
vita.
— Senti, Clarina, — interruppe il signor Emilio, — tu racconti le cose
con bastante buon garbo, ma io non so intendere ove tu voglia riuscire.
— Pazienza, e arriveremo. Quindici giorni dopo la partenza della
signora Adelina giunse nella scuola la istitutrice che doveva
sostituirla. Grande curiosità nelle alunne; soddisfazione poca. Già
era impossibile agguagliare la signora Adelina. La nuova venuta, la
signora Fanny, doveva essere più vicina ai trenta che ai venti, e
dicevano anzi che anche i trenta li avesse passati. Il tipo di lei
non era perfettamente italiano, e invero era nata di madre inglese.
Era piuttosto alta della persona, aveva gli occhi azzurri, e i capelli
biondi che le scendevano in lunghe anella sul collo. Questa dei capelli
era forse la sua maggior bellezza, era certo l'unica sua vanità. Il
suo volto era alquanto affilato, e aveva un fondo di malinconia: sulla
sua fronte era la traccia di molti dolori patiti, mista a un non so che
di risoluto e virile che imponeva il rispetto. Vestiva semplice, quasi
dimessa, e non mi ricordo d'aver visto mai un colore smagliante nel suo
abbigliamento. Poichè ella adempiva egregiamente all'ufficio suo, e, da
questo lato, convien dirlo senza reticenze, era di gran lunga superiore
alla signora Adelina, non tardò a conciliarsi la stima di tutta la
scuola. I suoi modi dolci, benchè un po' riservati, l'assennatezza
de' suoi discorsi da cui traspariva una cultura fuor del comune ne
facevano un perfetto contrapposto della signora Adelina così gaja, così
giovanilmente spensierata, così proclive a scherzare con noi.
Avvezza a chiedere la tua opinione su tutto, e a farne un grandissimo
conto, t'interrogai anche riguardo alla signora Fanny, dopo un primo
colloquio che tu avesti seco. Tu mi rispondesti con breviloquenza
telegrafica.
— Ti pare una signora di garbo?... io chiesi.
— Molto — fu la tua risposta.
— E bella?
— Punto.
Era quello ch'io desideravo. La signora Fanny, donna di assai garbo,
ma punto bella, poteva essere ammessa in casa nostra. Clarina decideva
così nella sua onnipotenza. E così avvenne. Siccome io lasciavo allora
la scuola, la signora Fanny avrebbe continuato a darmi lezioni di
lingua inglese e di musica. Quanto più io la conoscevo, tanto più la
compagnia di lei m'era gradita e istruttiva, e perchè tu pure avevi
agio di apprezzarla nei frequenti colloqui, una certa dimestichezza si
andò formando tra voi. Oh! Quantunque siano passati ormai tanti mesi
non dimenticherò mai una sera del penultimo autunno....
— Quale, Clarina?
— La signora Fanny veniva anche allora come viene adesso spessissimo
a visitarci verso le otto. Quella sera faceva un tempo magnifico,
spirava un'aria mite, il cielo era d'una limpidezza cristallina.
Sedemmo tutti e tre sul terrazzo. Di discorso in discorso, tu fosti
tratto a raccontare del tuo matrimonio e della tua felicità così
presto svanita. Incuorata dalla tua espansione, la signora Fanny volle
ricambiartene con uguale confidenza e ti narrò d'un suo unico amore
finito miseramente. Ella era stata più infelice di te, perchè non aveva
convissuto nemmeno un giorno con la persona diletta. Una palla a San
Martino le aveva ucciso sul colpo il fidanzato: ella non aveva potuto
nè chiudergli gli occhi, nè deporre un fiore sulla sua tomba. Era una
storia semplice come la tua: nulla di singolare, nulla di fantastico;
ma questi due dolori così schietti e sinceri che per un momento si
mischiavano insieme nello sfogo delle confidenze reciproche avevano in
sè una potenza ammaliatrice contro cui io non sapevo resistere. Mentre
voi parlavate, io piangevo in un angolo del terrazzo. Tu ti alzasti
pel primo e porgendo la mano alla signora Fanny le dicesti: — Abbiamo
tutti e due delle memorie da custodire, una specie di fuoco sacro da
alimentare: ciò forma fra noi un vincolo fraterno. — Ella non rispose
nulla, ma strinse la mano che tu le offrivi, passandosi il fazzoletto
sugli occhi. Poi si alzò anch'ella dalla sedia, venne presso di me e
mi baciò in fronte. Io le gettai le braccia al collo abbandonandole il
capo sulla spalla, e lasciai sgorgare le mie lagrime liberamente.... Tu
eri rientrato nella stanza....
Oh come io mi sentivo meglio dopo quel vostro colloquio! S'era formato
tra voi un legame che nulla turbava, che non feriva nessuna delle
mie ricordanze, che non destava nessuno dei miei timori. Il cammino
della mia vita, dal quale tu avevi con tanta sollecitudine sviato gli
ostacoli e le amarezze, mi era reso ancora più facile: io avevo un
altro braccio a cui appoggiarmi, un altro cuore in cui versare ciò che
traboccava dal mio.... Egoista! Egoista! Sciocca ed egoista!
— Perchè ti accusi in tal guisa, Clarina? Ciò che ti rese tanto felice
non esiste ancora? Non siamo sempre ottimi amici, la signora Fanny ed
io? Non ti vuol ella il bene d'una volta? E che può farti pentire se tu
cerchi in sì caste emozioni la tua felicità?
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