Alla finestra: Novelle - 09

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di guardare l'amico suo senza vergogna e di stringergli la mano senza
rimorso.»
La signora Anna, ch'era stata silenziosa ed immobile per alcun tempo,
si scosse, e disse con una certa emozione.
— Ma al vostro amico non è mai venuto in capo che la virtù di quella
donna potesse resistere anche senza l'aiuto d'un raggio di sole? Egli
la stima sì poco da voler ascrivere a un caso fortuito s'ella non
macchiò il suo onore, s'ella non tradì la sua fede?
— Cara Anna — rispose il signor Maurizio — voi avete nella vostra
piccola biblioteca un romanzo ch'è tra i più belli che si pubblicassero
in questi ultimi anni, _Monsieur de Camors_. Rileggetevi l'episodio
della signora Lescande, buona, vereconda, tenerissima di suo marito,
eppur così miseramente caduta. Non sempre la purezza dell'animo e
la severità dei principi bastano a salvare la donna, che è tanto
meno preparata alla difesa quanto più è inconscia del male. La donna
sregolata cerca la colpa, ma s'avvede quand'ella viene; la donna
onesta la fugge, ma non riconoscendo nè gli aspetti ch'ella riveste,
nè le sorprese ch'ella prepara, la incontra talvolta per via allorchè
stima d'esserne le mille miglia lontana. Date per compagna alla virtù
una operosità feconda e contenta di sè, e ne avrete fatto una rocca
inespugnabile.
— Or via — disse la signora Anna con un garbato movimento del capo, e
prendendo la mano al suo interlocutore — or via, gettiamo la maschera.
Voi avete voluto darmi una lezione rifacendo, un po' a vostro modo, una
storia di quarant'anni addietro. La mia memoria è meno felice della
vostra, e vi confesso che molti degli incidenti da voi narrati, o mi
sono sfuggiti, o non mi sembrano d'una scrupolosa esattezza. Nondimeno,
la lezione io me l'ero meritata, e ve ne ringrazio. La Giulietta di cui
parlate può avere avuto un momento di debolezza, ma non ebbe e non avrà
mai riluttanza a confessare i propri errori. La Dio mercè, essi non
sono di quelli che hanno bisogno d'esser ravvolti d'un pietoso mistero.
Ella non si rammentava d'essere stata salvata da un raggio di sole, ma
si rammenta bensì che non trovò la pace dell'animo finchè non diede uno
scopo alla propria esistenza, un sicuro indirizzo ai propri pensieri.
È vero, Maurizio; sotto la vostra buccia di scettico si nasconde un
animo nobile ed elevato, e non è la prima volta ch'io debba far tesoro
dei vostri consigli. È vero, i pericoli che minacciavano Giulietta
quarant'anni fa, minacciano forse oggi Evelina, e non tutti gli uomini
possono aver la lealtà del vostro Ugo...
— Dite piuttosto che non sempre capita un raggio di sole così a
proposito.
— Non ischerziamo: lasciatemi credere piuttosto che i due personaggi
del vostro racconto avevano entrambi abbastanza virtù da arrestarsi
sull'orlo del precipizio....
— Ma di che diamine andate discorrendo da mezz'ora a questa parte?
— saltò a dire il professore Everardo che aveva chiuso in quel punto
una sapientissima dissertazione sull'_habeas corpus_ inglese, e che
finalmente stava per alzarsi dalla seggiola.
— Oh bella — rispose sorridendo il signor Maurizio — si discorreva d'un
milione di cose. E si diceva, oltre al resto, che il marito della tua
nipote ha un grandissimo torto.
— E quale, di grazia? — soggiunse Everardo, avvicinandosi.
— Quello di somigliarti;... di ricordarsi di tutto, fuorchè di avere
una moglie.
— Ma io di mia moglie me ne sono ricordato.
— Ah sì — interpose la signora Anna — da quando ella si è risolta a
farti da segretario.
— E perchè Evelina non potrebbe far lo stesso con suo marito?
— Lo farà, lo farà: vedrò io medesima di persuaderla. Me ne ha
consigliato Maurizio.
— Pare impossibile — osservò il Professore — Maurizio con
quell'affettazione di spensieratezza ha sempre de' buoni consigli da
dare.
— Sicuro, e se fossi stato in tempo di darne uno a te e a tuo nipote,
vi avrei dato quello di non prender moglie.
— E perchè?
— Perchè siete bravissime persone, arche di scienza, membri di
più accademie, insigniti di più ordini, ma non siete nati per fare
i mariti. Via, non ti corrucciare — concluse il signor Maurizio,
levandosi da sedere, e mettendo una mano sulla spalla del professore
Everardo — gli uomini grandi vedono troppo di lontano, son presbiti, e
invece per esser mariti bisogna veder da vicino, esser miopi.
— L'ho sempre detto anch'io — osservò con gravità il commendatore
Brullo, aspirando una grossa presa di tabacco.
— C'era da scommettere — borbottò il signor Maurizio — che l'aveva
detta lui anche questa!
Il dottor Belgini, imperturbabile come Farinata degli Uberti, disse
dopo essersi raschiato in gola:
«Del resto, caro professore, io non sono certamente della vostra
opinione sul carattere e le origini dell'_habeas corpus_....
La signora Anna guardò alla sfuggita l'orologio e stimò opportuno di
chiamare a raccolta:
— Signor Belgini, del vostro _habeas corpus_ parlerete un altro giorno:
intanto, se non vi dispiace, venite tutti a bevere una tazza di tè.
Si avvicinarono al tavolino, e con dottrinale posatezza sorbirono la
bibita aromatica preparata dalla padrona di casa.
Nell'uscire, Maurizio si fece all'orecchio della signora Anna e in
tuono semiserio le disse:
— Ricordatevi del raggio di sole.


LA GAMBA DI GIOVANNINO

Io non avevo nulla di serio da rimproverare all'Adele....
(Prego il lettore di credere che non sono io, autore, che parlo; in
quanto a me, quest'Adele non la ho conosciuta nemmeno di vista. Parla
il signor Roberto Cefali, ingegnere e possidente, marito della signora
Adele).
Io non avevo nulla di serio da rimproverare all'Adele; l'Adele non
aveva nulla di serio da rimproverare a me, ma non potevamo soffrirci.
Ossia, bisogna esser giusti, ero io che non potevo soffrir lei;
l'Adele era così flemmatica da non esser nemmeno capace di una vigorosa
antipatia. Discorrendone co' miei amici, io la chiamavo _poggiapiano_,
non già perchè la credessi fragile. Dio guardi, ma perchè nel muoversi,
nell'aprir la bocca, la mi aveva sempre l'aria d'una persona che ha
paura di romper qualche cosa.
Confesso ch'ero un giovine alquanto leggero; m'ero ammogliato
spensieratamente e adesso mi atteggiavo a vittima del matrimonio.
Alla mia età, col mio ingegno (scusate la modestia), col mio titolo di
dottore in matematica, con una discreta sostanza, con un'indipendenza
assoluta (chè pur troppo i miei genitori eran morti da un pezzo) avrei
potuto far la prima figura nel mondo, senza quella benedetta consorte
che non aveva un filo d'ideale. Basti dire che durante la luna di
miele, quando avevo l'ingenuità di leggerle i miei versi, non ci fu mai
caso di strapparle un grido d'ammirazione. Non vorrei che questa fosse
stata la prima origine della mia antipatia. Si dice sempre: _Cherchez
la femme_. Io direi: cercar la donna va benissimo, ma non è male cercar
la ragione delle cose anche nella vanità umana. Vanità ferita, vanità
soddisfatta, ecco la sorgente di tanti amori e di tanti odi. Come
vedete, diventando vecchio, son diventato filosofo.
Insomma era difficile trovare un connubio più annoiato del nostro.
Quando eravamo insieme, l'Adele ed io, ci si sbadigliava in faccia
ch'era un piacere a vederci. L'arrivo di Giovannino non cambiò questa
situazione interessante; tutt'altro. L'Adele volle esser la balia del
suo bambino; si fece camera a parte durante il tempo dell'allattazione,
e poi non si provò nessun bisogno di tornar alle prime abitudini. Tocca
a lei a parlare, — dicevo io nella mia sapienza, mentre cercavo fra
le quinte del teatro numerose distrazioni al mio talamo solitario. Ma
l'Adele non parlava; oh sì era dura più d'un macigno. Come la maggior
parte delle mogli virtuose, le bastava d'aver un figliuolo.
Bisogna confessare che Adele amava il suo Giovannino e ne aveva
grandissima cura; gli era sempre intorno a lisciarlo, a mutarlo di
biancheria, a farlo saltare sulle ginocchia. A me pareva ch'ella
giocasse alla bambola. Io nutrivo per mio figlio un affetto pieno di
dignità; ero un uomo troppo superiore alle svenevolezze. I grandi
sacrifizi, le grandi virtù, quelle le capivo benissimo e mi ci
sentivo adattato... ma il secolo è tanto prosaico! E sì che Giovannino
cresceva bene; a tre anni e mezzo era bello, vispo, un vero bocciuolo
di rosa che avrebbe fatto la delizia d'un uomo più serio di me. Ma
io gli badavo poco; anche quel bimbo, poveretto, mi pareva complice
dell'esaurimento della mia fantasia. Nè egli mi faceva troppo feste;
non aveva in bocca che la sua mamma. Con l'Adele ci bisticciammo
appunto a proposito di Giovannino, nè ricordo nemmeno perchè, tanto
la ragione era futile. Una parola tira dietro l'altra. — La bella vita
che si fa insieme! — disse l'Adele. — E allora ognuno se ne vada dalla
sua parte, — risposi. — Oh quanto a me, — ella soggiunse. Io colsi la
palla al balzo e spiattellai la mia idea di separazione; ella divenne
un po' pallida, ma quando seppe che tutto si compirebbe in silenzio e
che le avrei lasciato Giovannino fino a dodici anni, senz'altro obbligo
che di mandarlo da me quindici giorni ogni sei mesi, concluse che,
forse, per me, era meglio così. Io compii il suo pensiero. — Meglio per
tutti e due. — Poi continuai: — Bisognerà scrivere a tuo padre che ti
venga a prendere. — Gli scriverò io stessa domani. — Non occorre dirgli
tutto. — No, certo; gli dispiacerebbe. — Si trova un pretesto. La tua
salute... il bisogno d'un po' d'aria nativa... anche a Giovannino il
cambiamento farà bene... — Oh, Giovannino non può star meglio di così.
— Non importa, son cose che si dicono... Una volta arrivati, a grado a
grado, si mettono le faccende in chiaro.
Ella non rispose, ma parve persuasa delle mie osservazioni. Io uscii
leggero come una piuma. Ero sul punto di riacquistar la mia libertà, e
pensavo al miglior modo di usarne. Ormai m'era concesso tutto fuorchè
prender moglie. E questa impossibilità non m'era affatto sgradevole.
Del resto, io non intendevo certo di nasconder il mio stato coniugale;
non ero poi un furfante a questo segno. Ma lo ripeto; l'essenziale era
l'esser libero. La presenza di Adele, che, a parlar sinceramente, era
tutt'altro che brutta, mi tagliava i nervi e le ali. Fatalità!
I miei amici, tutti scapoli, si congratularono meco della mia
risoluzione. A questa bisognava venirci; quando non si sta bene insieme
il meglio è dividersi — fu la profonda sentenza d'un dottorino in
filosofia ch'era il Solone della brigata. Poi ognuno disse la sua.
Il più vecchio tra noi aveva trentadue anni; io, ammogliato con un
figlio, non ne avevo che ventisette. M'ero sposato a ventidue anni e
mezzo, prima ancora d'aver compiuto gli studi universitari. Si può dar
di peggio? — A quell'età non si è responsabili delle proprie azioni, —
disse il nostro sapiente. — Verissimo, non si è responsabili.
La mia coscienza era tranquilla, il mio spirito era elastico come non
era stato da un pezzo. Voglio esser sincero; quella sera si sturò una
bottiglia di sciampagna in onore della mia emancipazione, si bevette a'
miei futuri trionfi letterari. Chi poteva dubitare di questi trionfi?
Gli altri, forse; io no sicuramente.
Ero uscito di casa subito dopo desinare; rientrai a notte avanzata. Con
mio grande stupore mia moglie mi venne incontro.
— Giovannino è caduto, — diss'ella, — e ha riportato una terribile
contusione a un ginocchio.
— Caduto? Come? Dio buono!... I bimbi... si sa... bisogna avere un po'
d'attenzione.
— Non ne ha colpa nessuno, — ella rispose calma ma seria. — Chiamai
subito il medico.
— Soliti casi. Bastava un bagno d'arnica.
— Non è vero... Il medico dice che bisogna star a vedere...
— Oh!... I medici...
— Ha fatto una fasciatura e tornerà domattina.
— Roba da nulla... Perchè stai alzata?
— Perchè quel benedetto bimbo non s'è quietato un momento.... Sentilo
come strilla.... Vado di là.... Vuoi vederlo?
— Adesso mi pare inutile... Lo vedrò domani.
E mi ritirai nella mia camera ch'era all'angolo opposto
dell'appartamento. Ne chiusi bene i due usci in modo da non sentir
rumore di sorta, e dopo essermi spogliato, mi cacciai sotto le coperte.
— Le donne! — riflettei tra me, — fanno un chiasso d'inferno per ogni
bazzecola. E i medici gettan olio sul fuoco... Tutto per darsi aria
d'importanza, tutto per tirar acqua al proprio mulino... Il mondo è
pieno d'egoisti.
Stirai le braccia voluttuosamente, mi acconciai meglio il guanciale
sotto la testa, e non istetti molto ad addormentarmi, persuasissimo
di tre cose: _primo_, che Giovannino non s'era fatto quasi niente;
_secondo_, che l'Adele aveva esagerato il male apposta per darmi noia;
_terzo_, che io ero la sola persona savia ed equanime della famiglia.
La mattina, alzatomi abbastanza tardi, mi recai nella camera di
Giovannino, dove mia moglie aveva vegliato tutta la notte. Giovannino
si lamentava sommessamente, ma era rosso in viso, e aveva un po' di
febbre.
Il medico esaminò la gamba, ch'era tutta gonfia intorno al ginocchio,
e ordinò l'applicazione delle sanguisughe.
— C'è frattura? — io chiesi.
— Frattura, no...
— Quando non c'è frattura.... — diss'io gravemente.
— Oh! — rispose il dottore. — Ci son contusioni peggiori delle fratture.
— Che strambo gusto hanno i medici di metter le pulci nell'orecchio! —
io pensai.
Ad ogni modo, finchè non ci si vedeva chiaro, non era possibile
scrivere a mio suocero che venisse a prendersi l'Adele.
E Giovannino non migliorava punto. Era sempre gonfio, non poteva
appoggiare la gamba in terra, non poteva muoversi senza provare uno
spasimo. Avvezzo com'era a correre e a saltar tutto il giorno, doveva
essere una gran pena pel povero piccino quello starsene duro stecchito
nel letto o sul canapè. Pochi giorni avevano bastato a fargli perdere
i suoi rosei colori, a infossargli le guancie, a illanguidire i suoi
occhi vivi e lucenti. L'Adele non si moveva più dal suo fianco, faceva
di tutto per tenerlo allegro, e ogni volta ch'io uscivo mi diceva: —
Porta dei balocchi nuovi a Giovannino. — E lo diceva come la cosa più
naturale del mondo, come se fosse proprio un obbligo per me di andar in
persona nei negozi dei giuocatoli, e come se tra me e lei non si fosse
ormai d'accordo di separarci. Dal canto mio che dovevo fare? Comperavo
i balocchi a dispetto delle grasse risate de' miei amici. Altro che
l'emancipazione! Questa malattia di Giovannino era pure un brutto
contrattempo.
La cosa andava in lungo. Il medico curante desiderò un consulto, e
chiamammo uno tra più distinti chirurghi del paese, il quale, dopo
molti preamboli, concluse che s'era formato un tumore, che il bambino
doveva aver tendenze linfatiche, che occorreva per lo meno una cura
lunga, e altre allegrezze consimili.
Da quel momento la gamba del povero Giovannino fu martoriata in tutte
le maniere. Empiastri, vescicanti, tagli, iniezioni caustiche, ogni
mattina c'era una nuova tortura.
Era uno strazio superiore alle mie forze, tantochè quando veniva
il dottore, io sentivo un bisogno prepotente di prender aria. Mia
moglie, beata lei, col suo carattere flemmatico poteva assistere
alla medicatura, tener ferma la gamba del povero malato, e meritarsi
il titolo d'infermiera modello. Quand'io, addolorato davvero dalle
sofferenze del bambino, lasciavo scapparmi dal labbro due o tre
imprecazioni, ella trovava ancora il modo di sorridere, e di dire: Che
ci si guadagna a prendersela con la Provvidenza?
Del resto io non mi meravigliavo della sua calma ma della sua
robustezza fisica. A primo aspetto, la si sarebbe giudicata piuttosto
una donna gracile, ma conveniva pur ch'ella avesse una fibra d'acciaio
per non ammalarsi vegliando quasi tutte le notti, standosene sempre
chiusa fra quattro muri. Ero molto più patito io che pure mi coricavo
regolarmente ogni sera e passavo fuori di casa la maggior parte della
giornata. Questione di temperamento, di nervi: mia moglie non aveva
nervi.
Erano passate quattro settimane dacchè Giovannino s'era fatto male
alla gamba, e il nefasto tumore che gli si era formato non accennava
menomamente a guarire. I due medici alla cura si mostravano un po'
imbarazzati a rispondere alle nostre interrogazioni; _speravano_ che
tutto sarebbe finito bene, ma dovevano convenire che la cosa tirava
assai in lungo, e che s'erano manifestate delle complicazioni inattese.
Su un milione di cadute che fanno i bimbi, appena una porta simili
conseguenze. Questo colpo di fortuna era toccato a noi.
L'Adele, seria ma tranquilla, espresse il desiderio di sentire un terzo
parere. Questa volta si ricorse a un chirurgo celeberrimo d'un'altra
città, uno di quegli omenoni le cui parole valgon tant'oro. E lo dico
senza metafora.
Egli esaminò per un'ora buona la gamba di Giovannino, toccando,
premendo, introducendo la sonda senza misericordia. Giovannino avrebbe
fatto pietà ai sassi. Io sudavo freddo e dovetti uscir di camera a tre
riprese. Mia moglie, tenendo strette le mani del povero martire, non
faceva un movimento, non diceva una parola. Aveva gli occhi asciutti,
le labbra inchiodate.
Dopo l'esame locale vi fu l'esame generale che parve dar risultati
soddisfacenti. Malgrado delle sue tendenze linfatiche, Giovannino era
robustissimo. I tre medici si ritirarono in un angolo della camera a
conferir tra loro; poi suggerirono d'accordo una nuova cura. Se non
riuscirà nemmen questa.... — disse il dottor Allinori, ch'era l'ultimo
chiamato.
— Allora? — chiese mia moglie con un filo di voce.
— Allora sarà necessario pensare a qualcos'altro — soggiunse il
chirurgo senza spiegarsi di più.
Quand'egli s'accomiatò, io lo seguii nell'andito, gli misi in mano un
biglietto di banca di grosso taglio, e susurrai: — Ebbene?
— Eh, si fa un altro esperimento...
— Ma non crede che se ne verrà a capo?
— Speriamo di sì... Se no bisognerà prendere un partito estremo...
— Quale?
— Oh!... Adesso è inutile... Se ne riparlerebbe...
— No, dica dica... Quale partito?
Il dottor Allinori abbassò la voce.
— L'amputazione.
S'intese un grido represso. Era mia moglie. Ella ci era venuta dietro
in punta di piedi, e perchè l'andito era buio, aveva potuto avvicinarsi
inavvertita e sentir la terribile parola pronunziata dal dottore.
— Signora, signora, — disse costui dolente dell'accaduto. — Non si
sgomenti... Sono eventualità remote... Noi medici dobbiamo preveder
tutti i casi.
L'Adele si era già ricomposta.
— Lo so, — ella rispose. — Ma tornerà, non è vero?
Si stabilì che il dottor Allinori sarebbe tornato di lì a quindici
giorni. E intanto si sperò nella nuova cura.
L'idea dell'amputazione era orribile. Io non riuscivo nemmeno a
concepire quel demonietto di Giovannino senza una gamba. E dire che
quelle sue belle coscie di rosa e di latte, que' suoi polpacci sodi
erano il grande orgoglio di sua madre, la quale, appena capitava
un conoscente, non sapeva far di meglio che alzare il gonnellino
del bimbo e magnificarne le forme piene e rotonde. Tutte cose ch'io
avevo apprezzate poco finchè Giovannino era sano, ma che apprezzavo
moltissimo oggi che la fatalità veniva a colpir così crudelmente
la povera creaturina. Sì, lo confesso, ora soltanto cominciavo a
provar davvero il sentimento della paternità; la gamba di Giovannino
m'apparteneva; io non dovevo permetter che il ferro d'un chirurgo la
tagliasse. E cercavo di tirar dalla mia parte mia moglie, di strapparle
una feroce, una decisiva protesta contro la barbarie che si tramava a
nostro danno. Ella si contentava di rispondere: — Speriamo che non ce
ne sia bisogno.
Giovannino non soffriva sempre. Egli aveva i suoi lucidi intervalli,
in cui rideva, scherzava come una volta. Avevamo fatto fare apposta per
lui una carrozzetta a molle, da tirarsi a mano, ch'era una maraviglia.
E quando il tempo era bello, lo si conduceva in giardino e anche
fuori di casa, ed egli beveva avidamente l'aria libera e il sole, e si
deliziava nel profumo dei fiori e nel volo capriccioso delle farfalle,
egli che, fino a poco tempo addietro, era una farfalla ed un fiore.
Bisognava tenerlo fermo sul sedile, perch'egli, dimenticando il suo
male, avrebbe voluto ogni momento saltar giù e mettersi a correre
come facevano gli altri fanciulli. O perchè doveva egli esser diverso
dagli altri fanciulli? Del resto, egli non aveva alcuna coscienza
della gravità del suo stato. Calcolava sempre di alzarsi _domani_,
di tornar _domani_ quello ch'era una volta. La sua mamma secondava
queste fantasie; io, quand'ero presente a tali discorsi, duravo fatica
a frenar le lagrime. Allorchè la bambinaia era stanca di tirar la
carrozza, Adele, ch'era la sola ad aver autorità sul piccolo malato
e che doveva quindi stargli sempre a fianco per impedir ch'egli si
movesse, mi diceva: — Roberto, mettiti un po' tu al posto della Lisa.
— Io obbedivo, e principiavo a far confidenza con mio figlio. Era pur
bello Giovannino! Il vento scompigliava sulla sua candida fronte i
suoi ricciolini biondi e tingeva in rosa le sue guancie pallide. Gli
occhi perdevano per un istante la loro espressione di sofferenza e
riacquistavano un raggio dell'antica luce. I suoi braccetti sottili si
agitavano con voluttà e le sue manine battevano una contro l'altra.
— Com'è bello! — esclamai un giorno davanti all'Adele.
— Oh! — ella rispose. — Adesso?
E le sue pupille s'inumidirono e parvero guardar nel passato.
Ella intendeva dire: — Una volta era bello!
E io una volta ci badavo appena!
Ogni mattina, anche quando non veniva alcuno dei dottori, l'Adele
medicava la gamba del bimbo, ed ella si disimpegnava dell'ufficio
delicato con una sicurezza, con una calma, con una sollecitudine
ammirabili. Si sarebbe detto ch'ella fosse vissuta dieci anni in
un ospitale come assistente chirurgica. Era innegabile; mia moglie
aveva le sue buone qualità, ed era per lo meno strano ch'io volessi
separarmi da una donna simile, mentre tanti mariti... basta.... Ma
d'altra parte, c'era quella benedetta incompatibilità di carattere. E
poi la separazione era desiderata dall'Adele quanto da me!... Beninteso
che non si poteva pensarci finchè durava la malattia di Giovannino.
Quand'egli fosse guarito, sarebbe stata altra cosa.... Ma se non
fosse guarito?... Era una idea ch'io respingevo da me, ma che tornava
inesorabilmente ad angosciarmi.... Se non fosse guarito?... Certo
allora la separazione sarebbe stata ancora più facile; che vincolo
avrebbe tenuti stretti l'Adele e me?... Se non fosse guarito?... Oh!
Era orribile!
Io che non mi sentivo in grado di star presente alla medicatura,
domandavo sempre all'Adele: — Dunque? — Ma pur troppo nè da lei, nè dai
medici mi riusciva ottenere una risposta favorevole.
La nuova visita del dottor Allinori ebbe un risultato sconfortantissimo.
— Pur troppo non c'è nessun miglioramento, — egli disse, rispondendo
agli sguardi ansiosi dell'Adele e di me.
E tentennò il capo e discorse sottovoce co' suoi colleghi.
— Si può aspettare ancora un poco, — egli concluse prendendomi da
parte. — Chi sa?... La natura fa miracoli.... Ma se il miracolo non
viene, è inutile, bisogna ricorrere all'ultimo mezzo che suggerisce la
scienza.
Gli altri assentirono.
— L'amputazione! — esclamai.
La tremenda parola m'abbruciava la lingua e io attorcigliavo
rabbiosamente il fazzoletto intorno alle dita.
Mia moglie non tardò a raggiungerci. Ella aveva indovinato tutto. Mi
pose la mano sulla spalla, e bisbigliò:
— Coraggio!
Era lei che faceva coraggio a me!
— Urgenza vera non ce n'è, — riprese il dottor Allinori. — Ma non
bisogna attender che il male sia eccessivamente progredito, se non si
vuol trovare il corpo esausto di forze.... Io devo esser qui di nuovo
verso la fine della ventura settimana, e allora....
— Sono poi sicuri di salvarlo con l'amputazione? — interruppe mia
moglie con voce più ferma di quella che avrei avuto io.
— La sicurezza assoluta non si ha mai, ma si può avere una sicurezza
relativa.... Se il bambino non fosse robusto, se tutti i suoi visceri
non fossero sani, se il male che gli si è manifestato non avesse
avuto una causa traumatica, confesso che non oserei consigliar questa
prova.... che è grave.... Ma insomma, nel caso nostro, un sessanta per
cento di probabilità favorevoli ci deve pur essere.
— Un sessanta per cento! — diss'io cupamente. — E gli altri quaranta?
— Caro ingegnere, — ripigliò il dottore, — siamo in burrasca e non
dobbiamo farci illusione.... Un sessanta per cento di probabilità
favorevoli val meglio che un novantanove per cento di probabilità
sfavorevoli.
— Dunque non c'è altra uscita? — chiesi di nuovo con l'angoscia
nell'anima.
— Se in otto o dieci giorni non nasce una crisi benefica, non ne vedo
altre, — replicò il dottore. — Almeno questo è il mio parere. Che ne
dicono i miei colleghi?
I suoi colleghi dicevano quello che diceva lui. Parevano due pappagalli.
Non ne potevo più e uscii dalla camera, mentre mia moglie ripeteva al
dottore Allinori:
— Dunque lei tornerà nella settimana ventura?
Nella giornata colsi un momento in cui Giovannino dormiva per parlare
a quattr'occhi con l'Adele.
— No, no, — dissi, — i medici possono predicar finchè vogliono, noi
non dobbiamo lasciar tagliare la gamba a Giovannino. Farne uno storpio,
farne un infelice... no, no, non lo dobbiamo assolutamente.
— Ma se ci muore?
— Sarà una disgrazia, sarà una disgrazia immensa, ma non avremo
commesso una barbarie.... Non lo avremo sacrificato al nostro
egoismo....
— Roberto! Roberto! E si può lasciarlo morire? — ella proruppe con un
grido straziante.
Io volevo risponder di sì, ma invece mi presi la testa fra le mani e la
scossi con violenza.
— Maledetta la medicina, maledetti i medici. Tutti ignoranti, tutti
impostori, tutti ciarlatani!... Uno non ce n'ha da essere a modo?
A un tratto scattai dalla sedia esclamando con logica ammirabile:
— Voglio consultarne un altro ancora.... sarà il quarto.... Tanto
fa.... Andrò a cercarlo in capo al mondo, se occorre.
L'Adele non mi contraddisse, ma evidentemente ella non isperava nulla
da questo nuovo consulto ch'io ero deciso a fare, non sapevo ancora con
chi.
Passò qualche giorno prima ch'io fissassi le mia scelta fra le tre
o quattro celebrità che m'erano state additate. Diedi finalmente la
preferenza a uno ch'era allora in gran voga e che abitava in Firenze, e
risolsi di fare una corsa io stesso in quella città affine di condurlo
meco.
— Portami un gingillo nuovo da Firenze, — disse Giovannino.
Egli aveva intorno a sè una collezione di giocatoli, parte interi,
parte sciupati. C'era una dozzina di soldatini di piombo, c'eran
fantocci che a dar loro una spinta facevan prodigi acrobatici, e
agnelli belanti, e sorci che si caricavano e correvano per la camera,
c'era un convoglio di strada ferrata, un paio di cavalli zoppi, un
pesce dalle squame d'argento, un teatrino cogli scenari a colori, una
cucina di stagno, alcune scatole di cubi da costruzione, una lanterna
magica coi vetri rotti, tutta roba accumulata giorno per giorno
in questi mesi di malattia. Ma qualunque cosa Giovannino ci avesse
chiesto, l'Adele ed io ci saremmo gettati nel fuoco per contentarlo. Io
gli promisi il gingillo nuovo, ed egli mi baciò sorridente. Era magro,
era pallido. Povero Giovannino! Quel sorriso su quel volto bianco e
sparuto mi fece un senso!...
— Torna presto, — mi raccomandò l'Adele accompagnandomi fino alla scala.
— Posdomani son qui.... E tu, se c'è qualche cosa di nuovo, telegrafa
all'_Albergo del Nord_.
— S'intende.
Ci stringemmo la mano senz'aggiunger parola. In verità nessuno avrebbe
creduto che noi fossimo due coniugi risoluti a dividersi.
Il diavolo ci aveva messo la coda. Io avevo fatto i conti senza la
politica; il mio Ippocrate era senatore, e come tale si trovava a Roma.
In quel momento devono essermi scappate fuori delle grandi eresie. Devo
essermela presa coi medici senatori, e fin qui manco male, ma poi devo
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