Alla finestra: Novelle - 05

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ella riusciva ad aver le primizie di queste conoscenze, e noi, maligne,
si diceva ogni lunedì: stasera l'_oca dotta_ ha esposizione di animali
rari. Infatti ella era lì in mezzo alle sue celebrità che poi conduceva
alla sua volta negli altri _salons_, dondolandosi e gracchiando come il
volatile domestico di cui le si era dato il nome: _Cuà, cuà, cuà_....
Povera Aureli!... A questi uomini illustri ella mi dipingeva in
anticipazione quale una buona donnetta, un po' frivola, un po' vana....
Ond'io ero guardata sulle prime con qualche diffidenza.... ma non
tardavo a prendere la mia rivincita.... In mezzo al corteo dell'Aureli
c'era il buono e il cattivo, l'argento puro e l'argento _cristophle_,
ed io sapevo distinguerli così presto! Dell'argento _cristophle_ non mi
curavo affatto, lo lasciavo tutto alla mia dolcissima amica; io badavo
al buono e ti assicuro, Adelina mia, che gli uomini di vero ingegno
non davano retta alla contessa Aureli, ma a me.... Che le valevano
le sue citazioni dal greco e dal latino, le sue frasi lambiccate?...
Io ero spontanea, incisiva, originale nelle mie osservazioni; avevo
uno schietto entusiasmo per ciò che era grande, per ciò ch'era bello,
avevo uno sdegno profondo per tutto ciò ch'era ignobile.... — Voi avete
una fisonomia vostra, voi siete _voi_ — mi disse un giorno una certa
persona alla cui stima la contessa Aureli ci teneva di più. — Ella è
come l'acqua che s'adatta a tutti i vasi, come lo specchio che riflette
tutte le immagini e non ne trattiene nessuna, come l'eco che ripete
tutti i suoni.... La si ammira un momento, e si passa;... quanto a voi,
vi si ammira.... e si resta.
— Nonnetta mia, come parlava bene quella _certa persona_! Chi era?
— Che t'importa il nome, la mia fanciulla? Quella persona è morta in
esilio molto prima che tu nascessi....
— In esilio?
Una nube passò sulla fronte della contessa Olimpia; l'Adelina le si
avvicinò, sedette sopra uno sgabello a' suoi piedi e si pose in ascolto
senza batter palpebre.
— Eh Adelina, strani tempi eran quelli! Feste e baldorie alla
superficie e sotto i piedi un vulcano. Quanti giovanotti azzimati,
all'uscir d'un ballo, trovavano un commissario di polizia che li
conduceva in prigione e di là allo _Spielberg_. Dopo il 1848 si
cospirava con la speranza di riuscire; prima si cospirava con la
certezza di sacrificarsi, e d'esser chiamati pazzi dagli spiriti
positivi.... Allora ci voleva davvero una fede gagliarda, allora ci
voleva una forza di carattere!... Uno di questi forti caratteri era....
era lui, quegli di cui ti discorrevo.... Apparteneva a una cospicua
famiglia di Lombardia, era stato raccomandato alla contessa Aureli,
l'avevo conosciuto presso di lei.... Non si sarebbe certo supposto
ch'egli fosse un cospiratore. Era gioviale, elegantissimo, adorno di
tutte le doti di società, parlatore facile e arguto, pianista distinto,
e all'occasione perfino poeta estemporaneo. Io ero tentata di crederlo
frivolo.... E invece egli era tra gli affigliati più attivi della
_Giovine Italia_.... Si parlò per la prima volta di politica in un
gran ballo dato da una delle nostre famiglie patrizie. C'era l'Aureli,
c'ero io, c'erano tutte le signore della _high-life_, come usano
chiamarla adesso, e c'era anche lui. I padroni di casa avevano poi
stimato opportuno di comprendere tra gl'invitati alcuni ufficialetti
austriaci.... Io ero italiana nel fondo dell'anima; mi faceva male
la vista dei nostri oppressori; tremavo che uno di quegli ufficiali
mi si facesse presentare e mi impegnasse per una _polka_ o per una
quadriglia.... Avrei voluto andarmene, ma come fare? Come avvertire mio
marito, che s'era ritirato nella stanza da fumo insieme ad altri uomini
seri?... Intanto gli ufficialetti trovavano liete accoglienze presso
parecchie signore; l'Aureli mi passò vicino a braccio di un tenente;
ma non c'era pericolo ch'ella me lo presentasse; era un principe, ed
ella voleva tenerlo tutto per sè.... Girai gli occhi intorno; cercavo
istintivamente _lui_.... il conte.... Forse egli poteva venirmi in
aiuto.
— Ah! Era un conte?
— Sì... Lo vidi alla fine appoggiato allo stipite di una porta, e,
appena egli rivolse lo sguardo dalla mia parte, gli feci segno col
ventaglio di avvicinarsi. — Siete accigliato stasera? Che avete?
— Nulla, contessa, ma me ne vado. — No, non andate — soggiunsi —
impegnatemi invece per tutti i balli che ho disponibili.... Qui c'è il
mio libretto.... Riempite i vuoti col vostro nome... Lo so che ballate
poco, ma si tratta di rendermi un servigio... Vi spiegherò poi...
Fate presto. — E gli posi in mano il libretto... Non c'era tempo da
perdere, perchè proprio in quel punto la padrona di casa si fermava
davanti a me con un ufficiale a braccio. — Avete un _valzer_ o una
_polka_ pel barone? — ella mi chiese, presentandomi il suo tedesco
di cui non rammento più il nome. — Grazie, sono impegnata — risposi.
— Per tutti i balli? — Per tutti. — Il barone non mi perdonerà certo
d'essere arrivata troppo tardi — ella disse. L'ufficiale aggiunse
qualche complimento in pessimo italiano. Poi si allontanarono insieme.
Io respirai. — Era per questo? — domandò il conte, che s'era tenuto
alquanto in disparte. — Sì, era per questo; non volevo ballare
con un ufficiale austriaco. — E io volevo andarmene appunto perchè
c'erano gli ufficiali austriaci. — Adesso siete contento di rimanere?
— Contentissimo; vi ringrazio e vi ammiro... più del solito. —
L'orchestra intuonò un _valzer_. — È il quarto ballo, è mio — esclamò
il conte. Io mi alzai, egli mi cinse la persona col braccio, e ci
slanciammo, cullandoci sull'onda dei suoni, in mezzo alle coppie che si
urtavano, s'intrecciavano, si confondevano in una ridda vorticosa...
Ah! la musica di quel _valzer_ la ho ancora negli orecchi... E posso
dire di aver presente tutta la festa come se fosse una cosa di ieri,
onde al bisogno saprei descrivere perfino le _toilettes_ delle signore,
una per una... Che ciarliera di nonna, non è vero, Adelina?
— Parla, parla, mi diverto tanto.... E il conte?
— I miei sentimenti patriottici esercitarono sul suo animo un fascino
maggiore della mia bellezza. Ebbi da lui confidenze che non avevano
avuto i suoi più intimi amici, ed io sola, fra quante erano le sue
conoscenti in Venezia, seppi che tempra di eroe egli avesse e quali
cure ansiose e profonde si celassero sotto il suo sorriso.... Ero
superba e tremavo... A ogni suo viaggio, e di questi viaggi a me erano
ben noti gli scopi, temevo ch'egli non tornasse più..... Mi ricorderò
finchè io viva d'una sera d'inverno.... Quanti inverni sono passati da
allora, Adelina mia!... Il conte era partito da due mesi e non ne avevo
notizia. Subito dopo pranzo m'ero ritirata nelle mie camere, e me ne
stavo nel salottino da lavoro sentendo di fuori scrosciar la pioggia
e il vento gemere sinistramente all'imboccatura del rio. M'ero messa a
sfogliare un libro, poi avevo preso in mano il ricamo; poi, infastidita
anche di questo, m'ero adagiata sulla poltrona davanti al caminetto.
Ad un tratto s'aperse l'uscio dietro di me, e mi voltai in sussulto.
— Sono io — disse una voce ben nota. Sentii che eravate qui e sono
venuto senza lasciar tempo al servo di annunziarmi. — Voi! — esclamai,
correndogli incontro. — Ma perchè trasformato così? — Il conte (era
lui) non aveva più la sua folta barba. Egli si guardò attorno e mi
chiese: — Siete ben sicura che nessuno ci ascolti, che nessuno ci
sorprenda? — Chiusi gli usci di dentro. — Ebbene? — La polizia è sulle
mie traccie — egli soggiunse. — Questa notte m'imbarco. — Dio mio!
Questa notte! E lasciate l'Italia? — Per sempre forse — egli rispose
cupamente. — Non ci vedremo più? — diss'io congiungendo le mani. — È
per questo che scelsi la via di Venezia.... Per Genova mi sarebbe stato
più facile l'imbarco, ma non vi avrei dato l'ultimo addio.... Come
siete pallida, Olimpia.... e come siete bella nel vostro pallore!....
Figgete in me i vostri occhi stupendi ed il lume soave me ne resterà
nell'anima per tutta la vita.
— Oh nonna, sentirsi parlare così!
— Egli era tanto eloquente ch'io pendevo rapita dalla musica di quella
voce, dal fascino di quegli accenti.... Egli, il forte, egli che aveva
la fibra d'un eroe di Plutarco, egli avvezzo al comando, egli era lì
supplichevole davanti a me, povera donna.... Di fuori infuriava la
burrasca, di fuori lo attendevano insidie infinite, la carcere forse,
forse il carnefice, nella ipotesi men triste l'esilio; era in poter
di me sola, prima che egli partisse, di versare qualche dolcezza su
quell'anima esulcerata.... Oh certo, le coscienze rigide, inflessibili,
mi condannano...
— Io no...
— Tu! Che ne sai tu della vita, o fanciulla?
Vi fu qualche istante di silenzio.
— Finisci la storia, nonnetta mia — disse timidamente l'Adelina.
— Conveniva romper gl'indugi. Ogni soverchio ritardo poteva esser
fatale. Il conte volle che, in presenza sua, abbruciassi alcune
lettere. — Voi foste la mia confidente — egli disse infine.... In quei
tempi, Adelina mia, non ero la gran chiacchierona che sono adesso. — Le
cose che vi ho rivelate seppellitele nella vostra memoria, i nomi che
avete intesi dimenticateli; se vi si interroga sul conto mio mostrate
di avermi conosciuto solo come uomo di società... È impossibile misurar
le conseguenze di una parola imprudente... E voi siete madre, non
dovete affrontare inutili rischi.... — Quand'egli si decise a partire,
erano le dieci...
— E giunse in salvo?
— Sì, prima a Corfù, poi in Inghilterra... Ma la nostalgia l'uccise
dopo tre anni.... Che cosa fai, Adelina?
— Nulla; rasciugo con un mio bacio quella lagrimetta che ti riga la
guancia....
— Basta; cose vecchie, cose vecchie — disse la nonna, scrollando la
testa come a cacciar via i pensieri importuni. — E lei, signorina, è
contenta di avermi tirato in lingua anche oggi?.... Faccio male, faccio
assai male; bisognerà che mi metta un bavaglio alla bocca....
— Nonnetta bella...
— Che c'è?
— Vorrei sapere...
— Ha saputo anche troppo, signora curiosa.
— Una domanda.... una sola.
— Via, sentiamo.
— _Quella sera_, dove mai s'era cacciato il nonno?
— Il nonno dormiva ogni sera nella sua camera dalle otto alle dieci.
— Ecco, dal suo punto di vista, sarebbe forse stato meglio ch'egli
avesse dormito dalle sei alle otto.


NEVICA

Il termometro segna appena un grado sopra zero, il cielo è coperto
di nubi bianche di cattivo augurio, spira un'aria rigida e acuta; che
ragione può avere il signor Odoardo di starsene alla finestra della sua
camera da studio alle nove della mattina? È vero che il signor Odoardo
è un uomo robusto e ancora nel fior dell'età, ma via, non bisogna far
troppo a fidanza con la propria salute, nè tirarsi i malanni addosso.
Ahimè, ahimè, la ragione mi par d'averla scoperta. Dirimpetto alla
finestra del signor Odoardo c'è la finestra della signora Evelina, e
la signora Evelina ha gli stessi gusti del signor Odoardo. Anch'ella è
li a prendersi il fresco, appoggiata al davanzale, in veste da camera,
con le sue chiome bionde e ricciute che le cascano ogni momento sulla
fronte e ch'ella respinge indietro con una leggiadra scrollatina di
capo. La strada è abbastanza angusta e si può benissimo conversare da
una parte all'altra, ma col tempo che fa non ci sono che due finestre
aperte, quella del signor Odoardo e quella della signora Evelina.
Non c'è che dire: la signora Evelina, venuta da qualche settimana
ad abitare nella casa di facciata e una magnifica vedovella, i suoi
capelli sono oro filato, la sua carnagione è un impasto di latte e di
rosa, il suo nasino volto un poco all'insù non è greco sicuramente,
ma è più gustoso che se fosse greco, la sua bocca fregiata di denti
bianchissimi par che inviti ai baci, e i suoi occhi poi, i suoi occhi
azzurri hanno la trasparenza di un cielo sereno, ed ella sa girarli in
un modo! Nè le bellezze della signora Evelina finiscono lì; che persona
giusta, spigliata, che linee morbide, eleganti, che manine, che piedi!
Ah, signora Evelina, signora Evelina, comincio a credere anch'io che
il signor Odoardo non abbia tutto il torto di starsene alla finestra a
pigliare il fresco invece di chiuder le imposte e di mettersi vicino
alla stufa che arde romorosamente nella stanza. Di lei piuttosto
mi meraviglio, perchè in fin dei conti il signor Odoardo non è un
brutt'uomo, ma è poco distante dai quarant'anni, ed ella non ne ha che
ventiquattro. Così giovine e già vedova! Povera signora Evelina! È vero
ch'ella ha una gran forza di carattere. Volge il sesto mese della sua
vedovanza ed ella s'è omai rassegnata, quantunque il suo defunto marito
le abbia lasciato appena quanto basta per vivere modestissimamente.
Però la signora Evelina non ha imbarazzi di figliuoli, è sola, è
padrona di sè e non dovrebbe esserle difficile di passare a seconde
nozze, con quegli occhi, con quei capelli, con quel nasino volto
all'insù. Non c'è niente di male a confessarlo, la signora Evelina
aspira al matrimonio, e se il nuovo marito non fosse più di primo pelo,
pazienza!
Ora non è inutile a sapersi che il signor Odoardo è un uomo agiato, ed
è vedovo anche lui... Che combinazione!
Si sposino dunque, e che la sia finita!... Già è la conclusione
ordinaria di queste faccende.
Si sposino! È presto detto... Il signor Odoardo è ancora perplesso.
Se si fosse trattato di levarsi un capriccio ho una gran paura che la
perplessità gli sarebbe svanita. _Errare humanum est._ Ma la signora
Evelina è una donna seria, non vuole frascherie, vuole un marito...
oh la signora Evelina è una donna positiva; sa far girare le teste
degli altri, ma sa tenere a posto la propria. È così furba la signora
Evelina.
Se è così furba, la spunterà. A forza di ronzarle attorno, il signor
Odoardo terminerà col bruciarsi le ali. Questo è senza dubbio il suo
parere, gentile lettrice, e non le dissimulo che è anche il mio. Così
non può durare sicuramente. Le visite del signor Odoardo alla signora
Evelina sono troppo frequenti; adesso ci si aggiungono anche i colloqui
dalla finestra. Bisogna prendere una risoluzione, e il signor Odoardo
ha una gran paura che la risoluzione gli sarà strappata più presto
ch'egli non vorrebbe, in giornata forse, quand'egli si recherà a casa
della vedova.
L'uscio della camera da studio del signor Odoardo è proprio dirimpetto
alla finestra. Perciò una corrente d'aria fredda che gl'investe la
persona l'avverte che l'uscio fu aperto. E mentr'egli si volta, sente
una voce cara e simpatica che gli dice:
— Addio, babbo, vado a scuola
— Buon dì, Doretta — risponde il signor Odoardo chinandosi a baciare
una vezzosa fanciulla tra gli otto e i nove anni, e nello stesso tempo
dalla finestra dirimpetto la signora Evelina grida anche lei:
— Buon dì, Doretta.
La Doretta che aveva già fatto una smorfia a vedere il babbo in
conversazione con la vicina, ne fa un'altra a sentirsi salutare. E
biascica di mala voglia:
— Buon giorno.
Poi, mogia mogia, col suo panierino infilato al braccio, ella se ne
va a raggiungere la donna di servizio la quale l'attende in andito.
La Doretta si sente un gran pizzicore negli occhi, e basterebbe un
nonnulla a farla piangere.
— Mi piace tanto quella bimba — dice la signora Evelina con la
più dolce inflessione di voce che si possa immaginare — ma le sono
antipatica.
— Oh non creda... La Doretta è ritrosa per sua natura.
Il signor Odoardo risponde così, ma nel fondo del suo cuore è persuaso
anch'egli che sua figlia non ha nessuna tenerezza per la signora
Evelina.
Intanto il freddo si fa sentire più acuto, e il vento porta in giro
qualche piccolo fiocco di neve. Non c'è caso, a meno di voler rimanere
intirizziti, bisogna mettersi al riparo dall'aria.
— Nevica — dice la signora Evelina guardando in alto.
— Oh era da aspettarselo.
— Ebbene, vado a sbrigare le faccende di casa. A rivederci... Verrà a
trovarmi più tardi?
— Sì mi procurerò questo piacere.
— A rivederci.
La signora Evelina chiude gli sportelli, saluta nuovamente dietro i
vetri con un cenno del capo e con un sorriso, poi si dilegua.
Il signor Odoardo rientra anch'egli nello studio, e accorgendosi che
fa molto freddo, caccia legne nella stufa, e inginocchiato davanti allo
sportellino rianima il fuoco col soffietto. La fiamma divampa allegra,
romorosa, e manda vivi bagliori sulla parete.
Di fuori continua a cader qualche fiocco di neve. Forse non farà più di
così.
Il signor Odoardo con le mani nelle tasche dei calzoni, con la testa
china al suolo, misura in lungo e in largo la stanza. Egli è turbato,
profondamente turbato. Sente che è in un punto critico della vita,
sente che in pochi giorni, in poche ore forse si deciderà di tutto il
suo avvenire. È egli innamorato sul serio della signora Evelina? Da
quanto tempo la conosce? Sarà buona come l'_altra_, saprà essere una
seconda madre per la Doretta?
S'ode un suono di passi nell'andito. Il signor Odoardo si ferma in
mezzo alla camera. L'uscio si apre di nuovo, e la Doretta, rossa
in viso, col cappuccio di lana calato sulla fronte, col soprabitino
abbottonato fino al collo, con le mani incrociate e nascoste entro le
maniche, corre verso il babbo.
— Nevica, e la direttrice ci ha mandate indietro.
Ciò detto, la fanciulla si leva il cappuccio e il soprabito e va a
riscaldarsi alla stufa.
— La stufa brucia, ma la camera è fredda — ella esclama.
Infatti, colpa la finestra rimasta aperta una buona mezz'ora, il
termometro non segna che 5 gradi Réaumur.
— Babbo — ripiglia la Doretta — oggi voglio restar reco tutto il giorno.
— E se il babbo avesse da attender ai fatti suoi?
— No, no, smetti per oggi.
E la Doretta, senz'aspettar risposta, va a prendersi i suoi libri, la
sua bambola e il suo lavoro. Indi sciorina i libri sullo scrittoio,
adagia la bambola sul canapè e colloca il lavoro sopra uno sgabello.
— Ah! — ella esclama con aria d'importanza. — Che bella cosa che oggi
non ci sia scuola!... Così avrò tempo di ripassar la lezione... Ih!
guarda adesso come nevica.
Nevica infatti. Prima è un pulviscolo bianco, molto minuto, ma molto
fitto, che mosso in giro vorticoso dal vento, viene a batter sui vetri
con un suono secco, metallico; poi il vento rimette della sua violenza,
i fiocchi si fanno più larghi e cadono silenziosi, incessanti,
monotoni. La neve si distende come un soffice tappeto sulle vie, come
un lenzuolo sui tetti, s'insinua nelle spaccature dei muri, s'accumula
sui davanzali delle finestre, involge le sbarre delle inferriate,
s'arrovescia e resta sospesa a festoni dagli orli delle grondaie e
delle cornici.
In istrada deve far sempre un gran freddo, ma la camera si
riscalda rapidamente, e la Doretta montando sulla sedia osserva con
soddisfazione che il termometro è salito a undici gradi.
— Sì, cara — risponde il signor Odoardo — e l'orologio segna undici
ore. Va a ordinare che ci preparino la colazione.
La Doretta obbedisce, e rientra di lì ad un momento.
— Babbo, babbo, sai la novità? La stufa del salotto non vuol ardere e
tutta la stanza s'è riempiuta di fumo...
— Allora, bimba mia, facciamo colazione qui.
Questa savia risoluzione empie di gioia l'animo della Doretta, che
s'affretta a recar la notizia in cucina, poi in tre o quattro viaggi,
porta ella stessa dal salotto da pranzo alla camera da studio le
posate, i piatti, la tovaglia e i tovagliuoli, e con l'aiuto del
servo apparecchia la mensa sopra un tavolino del babbo. Com'è allegra
la Doretta! Come s'è dissipata la nube che un paio d'ore prima le
ottenebrava la fronte! E come adempie bene agli uffici di casa!
Il signor Odoardo la guarda con compiacenza, e non può trattenersi
dall'esclamare:
— Brava Doretta!
È innegabile, la Doretta è tutta la sua mamma. Anche la sua mamma era
un'eccellente massaia, un modello d'ordine, di pulizia, di buon garbo.
Ed era leggiadra come la Doretta, quantunque ella non avesse i capelli
biondi e gli occhi affascinanti della signora Evelina.
Insieme al servo che porta la colazione, entra un nuovo personaggio, il
gatto soriano Melanio, il quale non manca mai ai pasti della Doretta.
Il gatto Melanio è vecchio; ha visto nascere la Doretta e la onora
della sua protezione. Non c'è mattina che egli non miagoli all'uscio
della sua camera come a domandarle s'ella ha passato bene la notte,
non c'è sera ch'egli non le tenga compagnia fino all'ora in cui ella
si corica. Ogni volta ch'ella esce egli la saluta con un leggero _gnau
gnau_; ogni volta che egli la sente venire le corre incontro e le si
stropiccia intorno alle gambe. A pranzo e a colazione, quand'ella fa
colazione in casa, egli si mette vicino alla sua seggiola e aspetta in
silenzio ch'ella gli dia i rilievi della mensa. Però il gatto Melanio
non ha l'abitudine di visitare lo studio del signor Odoardo, ed egli è
piuttosto meravigliato di trovarvisi in questo momento. Dal canto suo
il signor Odoardo accoglie con una certa diffidenza il nuovo ospite, ma
la Doretta interviene in favore dell'animale e si fa mallevatrice della
sua onesta condotta.
È un pezzo che la Doretta non mangia di così buon appetito. E dopo
ch'ella ha fatto onore alla sua colazione, ella sparecchia la tavola
col garbo e con la prestezza con cui l'ha apparecchiata, e in pochi
minuti la camera da studio del signor Odoardo è tal quale era prima.
Rimane bensì il gatto Melanio che si è accomodato accanto alla stufa e
al quale la Doretta ottiene la grazia di essere lasciato tranquillo....
finchè non disturbi.
A forza di andare e venire la camera si è raffreddata di nuovo. Il
termometro è disceso di un grado e mezzo e la Doretta per farlo salire
vuota quasi tutta la paniera delle legne nella stufa.
Come nevica, come nevica! Non sono più fiocchi staccati, è come se una
tela bianca a trafori si svolgesse continuamente davanti agli occhi. Il
signor Odoardo comincia a credere che non gli sarà possibile di far la
sua visita alla signora Evelina. È vero che non c'è che un passo, ma
bisognerebbe sprofondarsi quasi fino alle ginocchia. A ogni modo, chi
sa? Può essere che più tardi smetta di nevicare. Già è appena suonato
il mezzogiorno.
La Doretta è colta da un'idea luminosa:
— Se rispondessi ora alla lettera della nonna!
Di lì a poco la Doretta è nella poltrona del babbo, davanti alla
scrivania, con due guanciali sotto al sedere per istar più alta, con le
sue gambine penzolanti nel vuoto, con la penna sospesa in mano, con gli
occhi fissi in un foglio di carta rigata su cui non si leggono finora
che due parole: _Cara nonna_.
Il signor Odoardo, addossalo alla stufa, guarda la figliuola e sorride.
Pare che la Doretta abbia finalmente trovato il modo di cominciare,
perchè ella rituffa la penna nel calamaio, abbassa la mano sulla carta,
corruga un poco la fronte, e spinge fuori la punta della lingua.
Dopo alcuni minuti di lavoro assiduo, ella alza il capo e domanda:
— Che devo dire alla nonna circa all'invito di andar a passare qualche
settimana con lei?
— Dille che adesso non puoi, ma che ci andrai nella primavera.
— Insieme con te?
— Insieme con me — risponde macchinalmente il signor Odoardo.
Certo però, che s'egli fosse fidanzato con la signora Evelina questa
visita alla suocera gli recherebbe non lieve imbarazzo.
— Ho finito — esclama la Doretta con aria trionfante.
Ma a questo grido ne succede un altro, mezzo di dolore, mezzo di rabbia.
— Che c'è?
— Uno sgorbio.
— Vediamo.... Che fai, scioccherella?... Adesso non c'è più rimedio.
La Doretta era corsa con la lingua sulla macchia d'inchiostro e aveva
sciupato il foglio.
— Bisogna ricopiare — ella osserva mortificata.
— Ricopierai stasera. Dà qui intanto.... Non c'è male, non c'è
proprio male. Ci sarà da aggiungere e da levar qualche lettera, ma in
complesso, per una bambina della tua età, si può contentarsi. Brava
Doretta!
La Doretta riposa sugli allori, giuocando con la bambola. Ella veste la
sua _Niní_ con l'abitino di lusso e la conduce a far visita al gatto
Melanio. Il gatto Melanio, che sonnecchia con gli occhi semiaperti,
si mostra piuttosto annoiato di quegli omaggi, si rizza sulle quattro
zampe, piega ad arco il corpo flessuoso e poi si raggomitola, voltando
la schiena alla visitatrice.
— Ah, Melanio è poco gentile oggi — dice la Doretta mentre riconduce la
bambola verso il canapè. — Ma non tenergli il broncio; egli non è mica
sempre scortese; dev'essere effetto del tempo.... Anche a te, _Niní_,
fa sonno questo tempo, non è vero?... Andiamo a dormire.... Così...
dormi, dormi, piccina.
_Niní_ dorme. La sua testa di legno riposa sopra un guanciale, il suo
corpicino di cenci e di crine è involto da una coperta di lana, le
sue palpebre sono abbassate. Poichè _Niní_ alza ed abbassa le palpebre
secondo che si trova ritta o giacente.
Il signor Odoardo guarda prima l'orologio e poi guarda fuori della
finestra. Sono le due suonate e nevica sempre.
La Doretta ha un'altra idea.
— Babbo, sta a sentire se so bene quella favola di La Fontaine: _Le
corbeau et le renard_.
— Sentiamo pure la favola — risponde il signor Odoardo, prendendo dalle
mani della fanciulla il libro aperto alla pagina 18.
La Doretta comincia:
_Maître corbeau, sur un arbre perché,_
_Tenait en son bec un fromage._
_Maître... maître... maître...._
— Avanti.
— _Maître_....
— _Maître renard_.
— Adesso mi ricordo:
_Maître renard, par l'odeur alléché,_
_Lui tint à peu près ce langage:_
_Hé! bonjour...._
A questo punto la Doretta interrompe la sua declamazione perchè il
babbo non bada a lei. Infatti il signor Odoardo ha chiuso il libro
sull'indice e guarda da tutt'altra parte.
— Ebbene, Doretta — egli osserva distrattamente — perchè non prosegui?
— Ecco, non dico altro — ella replica ingrugnata.
— Ih, che permalosa! Che cosa c'è?
La bimba, ch'era seduta su un panchettino, s'è alzata in piedi, e ha
capito benissimo perchè il babbo non le dia retta. Nevica meno, e di là
dalla strada, dietro i vetri della finestra dirimpetto, è comparsa una
testa bionda, è comparso il busto della signora Evelina.
Coraggiosissima donna! Ella spalanca gli sportelli, e con una paletta
di ferro sbarazza in parte il davanzale dalla neve. I suoi occhi
s'incontrano con quelli del signor Odoardo; ella compone le labbra a un
sorriso, e tentenna il capo, come a significare; Che razza di tempo!
Bisognerebbe esser proprio incivili per non dire una parola alla
intrepida signora Evelina. E il signor Odoardo, che non è incivile,
cede alla tentazione di socchiudere un momento la finestra.
— Brava, signora Evelina, non ha paura della neve.
— Oh, signor Odoardo, che tempo indemoniato!... Ma, se non m'inganno,
c'è la sua Doretta con lei.... Buon dì, Doretta.
— Doretta, vieni qui, vieni a salutar la signora.
— La lasci stare, la lasci stare, i bimbi fanno così presto a buscarsi
un reuma.... Ah, non c'è caso, bisogna chiudere.... Capisco che per
oggi devo rinunziare alla sua visita....
— Ma.... Vede che strade!
— Eh, uomini, uomini.... Si dicono il sesso forte.... Basta... a
rivederla.
— A rivederla....
Si richiudono gli sportelli da una parte e dall'altra, ma questa
volta la signora Evelina non iscompare. Ella è lì seduta accanto alla
finestra, e poichè adesso nevica meno, il suo profilo stupendo si
disegna nitidissimo dietro i vetri. Dio! Dio! Com'è bella la signora
Evelina!
Il signor Odoardo passeggia per la stanza di pessimo umore. Gli pare di
far male a non andare dalla seducente vedovella e gli pare che farebbe
peggio ad andarvi. Sul fronte della Doretta s'è calata nuovamente una
nuvola, quella nuvola stessa che vi si era calata la mattina.
Non si parla più della favola di La Fontaine. Invece il signor Odoardo
brontola infastidito:
— È sempre freddo in questa benedetta camera.
— Sfido io, — replica la Doretta con un po' di acredine nella voce, —
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