Alla finestra: Novelle - 03

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della Gegia era una giovine vispa ed allegra e si divertiva un mondo
a ridere a spese della zia Marianna, la quale non sapeva raccapezzarsi
in mezzo a quelle novità. Si aveva un bel gridarle nell'orecchio che i
Tedeschi andavano via d'amore e d'accordo; ella ripeteva sempre che li
aveva visti per la strada con la loro brava baionetta al fianco e che
bisognava aver perduto il senno a far le bandiere tricolori mentr'essi
erano qui.
— Ne ho conosciuti di quelli che andarono sulla forca per meno, — ella
soggiungeva, ed era vero. Ma non c'era caso di farle intendere che i
tempi erano cambiati. Ella scrollava le spalle e si ritirava nel campo
trincerato della sua cucina ove la si sentiva brontolare: — Che il
Signore ce la mandi buona! Sono impazziti tutti!
Il signor Menico invece, dacchè non v'era più dubbio sulla prossima
partenza degli Austriaci, era diventato un eroe, e non era contento
della soluzione pacifica delle cose. — Credete pure, _tose mie_, — egli
diceva alla Gegia e alla sua compagna, — che ci voleva un altro poco di
sangue.
— Com'è cattivo, signor Menico! — osservavano le ragazze tra il serio
e il faceto.
— Cattivo! Cattivo! — egli rispondeva, prendendo tabacco. — Non è
cattiveria.... È che noi altri uomini del 48 siamo fatti così. Quando
si son vedute le bombe a due passi.... capite.... eh!... Non racconto
frottole.... vi sono testimoni.
Anche il padre della Gegia, Filippo, faceva in quei giorni men rare
apparizioni nella camera della figliuola. I maligni susurravano che
non gli dispiacesse fare il galante alla Pina, l'amica della Gegia, la
quale era piuttosto belloccia ed appetitosa.
— Quel Filippo, — soggiungevano le donnicciuole con un sorriso
indulgente, — benchè non sia lontano dai cinquanta, sta sempre dietro
alle gonnelle. È vero ch'è un uomo da poter piacere ancora meglio di
tanti zerbinotti.
Una volta egli magnificava alle due ragazze la nuova livrea che avrebbe
indossato il giorno dell'arrivo del Re.
— Oh come pagherei a vederlo in gran gala, — esclamò la Pina.
— Paghereste a vedermi, _fia mia_? — egli replicò chinandosi verso di
lei tutto ingalluzzito. — Ebbene, volete venir quel giorno a palazzo?
Dirò ai padroni che siete una mia parente e vi troverò un posticino
sulla _riva_ o a una finestra perchè possiate assistere allo spettacolo
e veder davvicino anche me.
— No, no, questi sotterfugi non mi vanno a genio.
— Eh che scrupoli.... Via!
— No, no e no.
— Andiamo, bella ragazza, non pigliate il caldo. Fatemi piuttosto
sapere per quel giorno dove sarete, a che finestra, a che _traghetto_,
e io farò il possibile perchè la gondola passi da quella parte, e
quando sarò presso vi farò un segno, che, capite, coi padroni in barca,
non posso mica chiamarvi....
— Diamine, s'intende. Ma, quando sarà?
— Il giorno preciso non è ancora stabilito. Bisogna prima che entrino
le truppe.
— E queste entreranno?...
— Il 19 del mese. — S'era già in ottobre.
— Che spettacolo sarà anche quello! — esclamò la Gegia.
C'era un tal fondo di mestizia nella sua voce, che la Pina ne fu
commossa, e soggiunse:
— Poverina! Che peccato che tu non possa veder nulla! — Indi battendosi
il fronte con la palma, continuò: — A proposito; dicono che lasceranno
andar la gente nell'entrata del palazzo di fronte che guarda sul
Canal grande. Sapete, Filippo, che bella cosa dovreste fare? Un po'
prima di andare in gondola coi padroni, venir qui, trasportar la Gegia
abbasso, trovarle un buon posto, e poi, più tardi, passare a prenderla
e riportarla su.
Mentr'ella parlava, la Gegia la guardava prima con maraviglia, poi
con commozione e con riconoscenza. Dopo tanti anni avrebbe potuto
davvero uscire dal suo tugurio, risalutare il sole, riveder l'azzurro
del cielo? Avrebbe potuto mescolarsi alla gioia degli altri, vivere
un giorno nel mondo, ella, la sepolta viva? Ma quando i suoi occhi
s'incontrarono in quelli del padre, ella capì che aveva sognato.
— Ma, Pina, che idee vi saltano in capo? — proruppe Filippo con aria
infastidita. — Come volete che la Gegia, nello stato in cui si trova,
vada in mezzo a quella calca? Sono momenti in cui rischiano di rompersi
le gambe anche i sani, e lasceremo schiacciar lei ch'è malata?... Un
bel servizio che fareste alla vostra amica!... Quanto a me poi avrò
proprio tempo di portare in collo la gente....
La Pina stava per replicare, ma l'altra le accennò che tacesse.
— Basta, — ripigliò Filippo in tuono più dolce, — quasi quasi andavo in
collera con voi, e io con le belle _tose_ voglio esser sempre in buoni
termini.
Ma la Pina non gli diede retta e si voltò da un'altra parte. Alla Gegia
intanto colavano due grosse lagrime per le gote, e Filippo che non
voleva veder musi lunghi uscì dalla stanza, dicendo: — Ecco ciò che si
guadagna a tener discorsi senza sugo.

VIII.
Son passati sei mesi, sono entrate le truppe, è arrivato il Re, è
arrivato Garibaldi, la città a poco a poco è tornata nel suo stato
normale, e la _Calle Lombarda_ ha ripreso un aspetto più calmo.
Nondimeno le bandiere sventolano ancora dai balconi per qualunque
pretesto, e gli _organetti_, che meriterebbero un po' d'indulgenza
dai signori perchè sono l'orchestra del povero, vengono di tratto in
tratto a suonare sotto la finestra della Gegia l'inno di Brofferio
o quello di Garibaldi. È l'unica distrazione che le abbiano recato
i tempi nuovi; ella non si è mossa neppur nei dì più solenni; non
ha visto i bersaglieri, non ha visto il Re, non ha visto l'eroe di
Marsala. Ha tutt'al più un'idea delle _camicie rosse_, perchè Maso,
un ragazzo ch'era cresciuto sotto i suoi occhi ed era andato ad
arruolarsi volontario nel maggio 1866, reduce in patria, volle farsi
ammirare nella sua divisa dai vecchi suoi conoscenti e salì anche
dalla Gegia. Del resto, ella non si occupa di politica, non legge nè
il _Rinnovamento_, nè il _Corriere di Venezia_, quantunque li senta
gridar dalla strada, non è informata nè delle tendenze radicali del
fruttaiuolo il quale sparla volentieri del Governo, nè delle tendenze
reazionarie di _siora_ Veronica che comincia a vedere in pericolo la
religione e teme si voglia assassinare il Papa. La solitudine si è
rifatta intorno a lei; non ci sono più gli Austriaci, ma per essa il
mondo è com'era prima. Aveva sperato senza saper precisamente nè per
che ragioni sperava, nè che cosa sperava; ora che tutti quei bei sogni
si sono risolti in nulla, la vince uno scoraggiamento infinito. Si
prova spesso, tanto per ingannare il tempo, a cantar qualche aria che
le ha insegnato la Pina, ma la sua voce esile, dolce, simpatica, muore
nelle lagrime. Ed ella guarda la finestra chiusa del palazzo Dareni, e
ripensa alla Lotte che con tanta sicurezza le aveva detto di tornare e
ormai non sarebbe tornata più.
Non andò molto infatti che i proprietari del palazzo lo appigionarono
ad altri. Una parte ne fu presa da certo dottor Galeni, avvocato di
grido, il quale consacrò ad uso di studio due stanze sul _rio_ e il
gabinetto respiciente la _calle_. La Gegia, che seguiva con grande
attenzione questi preparativi, vide una mattina l'avvocato, persona
grave e dall'aria diplomatica, accompagnar nel gabinetto un giovine
alto, macilento, e vestito di panni sgualciti.
— Si metterà qui, — disse l'avvocato accennando al suo interlocutore
il tavolino appoggiato alla finestra. — Qui c'è penna, carta e
calamaio. Adesso le porteranno un documento da copiare e vedremo la sua
calligrafia.
Ciò detto, il dottor Galeni uscì.
L'altro sedette, si guardò intorno, rimboccò le maniche del vestito,
mise nell'asticciuola una penna nuova, che premette prima sull'unghia
del pollice sinistro, quindi lambì con la lingua e finalmente immerse
nel calamaio. Dopo fatti questi preparativi, egli segnò alcune cifre
sopra un foglio e parve soddisfatto dell'opera sua. Intanto un uomo di
mezza età venne nel gabinetto con una carta in mano.
— Copii da qui sin qui, — egli disse posando la carta sul tavolino e
ponendo il dito successivamente sul punto da cui doveva cominciare e su
quello ove doveva finire la trascrizione. — Quando ha terminato passi
dal cavaliere.
— Col manoscritto? — chiese il giovane timidamente.
— Già. Non si tratta appunto di questo?.... E badi che il cavaliere non
vuole che ci siano pentimenti e scancellature.
Il cavaliere, com'è agevole intendere, non era altri che l'avvocato
Galeni, insignito appunto in quei giorni dell'ordine de' SS. Maurizio
e Lazzaro.
Rimasto solo, il candidato si accinse con grande impegno al lavoro che
doveva decidere delle sue sorti. Tanta era la sua paura di distrarsi
ch'egli non alzava mai gli occhi dal foglio, ma scriveva con la fronte
increspata e morsicandosi il labbro inferiore.
Dopo una mezz'ora, egli diede un'occhiata complessiva al suo compito
e con qualche trepidazione uscì dal gabinetto per sottoporre la sua
scrittura all'esame del principale. Quand'egli tornò, era un altr'uomo.
Il saggio era riuscito soddisfacente e Carletto Miglioli era stato
assunto all'altissimo ufficio di giovine di studio presso l'avvocato
cavaliere Galeni collo stipendio cospicuo di _trenta_ lire al mese e
con l'obbligo di lavorare soltanto sette ore al giorno, dalle nove alle
quattro.
Bisogna riconoscere che il buon Carletto era uomo di facile
contentatura. Il giovine d'avvocato, almeno in Venezia, è il _paria_
della società, da' cui non riceve altro compenso che quello di esser
chiamato _giovine_ tutta la sua vita fino ai cent'anni inclusivi, se
ha la poco invidiabile fortuna di arrivarvi. Egli può scegliere due
strade, una dritta, ed una tortuosa. Seguendo la prima, egli adempie
coscienziosamente a' suoi doveri, copia con meccanica esattezza le
scritture forensi, porta ai clienti le lettere, del principale, si
mantiene un perfetto galantuomo, e nel termine di un lustro al più
perviene allo stato di piena indigenza e di compiuto idiotismo.
Seguendo la seconda egli aggiunge alle sue mansioni altri piccoli
uffici, assume certe cause minuscole che l'avvocato disdegna, si fa
consigliere dei negozianti che vogliono fallire senza inciampare
negli articoli del Codice penale, e aguzza così il poco ingegno e
campa alla meno peggio, ma diventa in pari tempo un tipo esoso di
_azzeccagarbugli_, uno degli esseri più sfuggiti dai galantuomini.
In media il giovine d'avvocato guadagna meno del più modesto artigiano,
ma ha d'altra parte l'inestimabile vantaggio di dover vestire con una
certa cura affine di non esser preso in isbaglio per un facchino quando
si reca nelle aule tribunalizie, e di non offendere con una _toilette_
troppo democratica i nervi della moglie dell'avvocato quando ella viene
nello studio del consorte. È vero che qualche volta all'abbigliamento
del subalterno provvede la liberalità del principale, che cede al
_giovine_ la roba usata. Allora il _giovine_, secondo la sua statura,
ha corte o lunghe le maniche, lunghi o corti i calzoni, e secondo il
suo diametro acquista nel suo vestito l'aspetto di un naufrago che non
riesce ad emerger dall'onda, o quello di un fiume che non può più stare
fra le sue rive.
Tra il signor Carletto e la Gegia non si tardò a scambiarsi ogni
mattina il saluto. E al saluto tenne presto dietro qualche parola.
— Gran bella giornata — disse una volta il giovine alzando gli occhi
dalla carta e guardando il cielo ch'era tinto del più limpido azzurro.
— Beato lei che può passeggiare — rispose la Gegia.
— Passeggiare! Passeggiare!... Il troppo moto fa appetito.
— Tanto meglio.
— Eh signora Gegia, tanto meglio per chi può soddisfarlo. Ma chi ne ha
pochi del mese....
Rituffò la penna nel calamaio e si rimise a scrivere.
La Gegia ricominciò anch'ella a infilare le sue perle. Di lì a poco
ella chiese: — Ha famiglia?
Carletto mise un punto su un _i_, forbì la penna sulla manica, e poi
rispose: — La mia vecchia mamma.... Povera mamma!... Magari vivesse
sempre.... Non so rassegnarmi all'idea di star solo.
— Via, signor Carletto — disse la ragazza — loro uomini hanno sempre
qualcheduno che _gli_ vuol bene. Se non ci fosse la mamma ci sarebbe la
sposa.
— Oh sì, con un franco al giorno.
— È poco, assai poco, ma una brava massaia risparmia più che non
costi.... Veda, per esempio, una moglie la divezzerebbe da quel brutto
vizio....
— Che vizio?
— Quello di forbirsi la penna nel vestito.... Sa, gli abiti non si
conservano mica a quel modo....
— Ha ragione, lo dice anche la mamma, povera vecchia.... Ma per
quanto faccia ci ricasco sempre.... Oh dove siamo? — egli ripigliò
come fra sè. — Sicuro, sicuro.... Ecco il punto. — E lesse per meglio
raccapezzarsi: _Non è vero e si nega essere l'istromento dotale fatto
in modo da ingenerare equivoci. L'istromento dotale della sullodata
nobil donzella, in data 8 giugno 1850 rogito Paolucci, dice chiaro:
sono assegnati alla sposa di dote sessanta mila fiorini austriaci_....
Corbezzoli. Sessanta mila fiorini! Ha inteso, signora Gegia?
— Altro che inteso! Ma, così va il mondo! Chi troppo, chi troppo poco.
— A chi un milione di capitale, a chi una lira al giorno di stipendio.
— Ma potrà avere un avanzamento.....
— Noi giovani d'avvocato si resta sempre a un punto.... Basta, finiamo
questa scrittura.
La Gegia chinò gli occhi sulle sue perle e non aggiunse parola.
Una mattina il giovine depose sul davanzale della finestra un vaso
d'erbarosa.
— O cos'è quella, roba? — chiese la Gegia sorridendo.
— Un capriccio mio. Mi piace tanto l'odore dell'erbarosa che ho voluto
avere uno di questi vasi sul balcone dello studio.... La mamma ci ha
lasciato il cuore a veder scompagnata la sua collezione.
— Ha una collezione di piante?
— Dico così per dire. Ci sono altri due vasi, uno d'erba cannella,
l'altro di cedrina È il nostro lusso. Ogni mattina la mia vecchierella
va a guardarseli, li rimonda, li odora, ogni dopo pranzo li inaffia....
— C'è sole almeno a casa sua?
— Oh sì, grazie a Dio.... sulla finestra della mamma ce n'è a tutte le
stagioni. Stiamo in una catapecchia, proprio sotto il tetto, ma sole ce
n'è.... La non si muove mai di casa, la povera mamma; o che farebbe se
non avesse il sole?
La Gegia sospirò.
— E qui non capita mai.
— Dice davvero?
— Mai, fuori che un quarto d'ora al giorno per due settimane di giugno.
— Sicuro, è questo enorme palazzone qui che fa ombra.
— Carletto! — gridò una voce imperiosa dal di dentro!
— Vengo, vengo.... È l'avvocato che chiama — disse il giovine correndo
dal suo principale.
Di lì a poco egli tornò al suo posto con un fascio di carte sotto il
braccio, borbottando: — Oggi sto fresco. C'è da lavorare fino alle sei.
Scrisse per un'ora senza fiatare; poi alzò gli occhi e disse: — Ieri
cantava, signora Gegia. Perchè oggi è così silenziosa?
— Ho paura di disturbarlo.
— No, in verità; mi fa tanto piacere a sentirla e lavoro lo stesso....
Ha una voce così dolce.
La ragazza arrossì; e con una voce tremola dapprincipio ma che poscia
si fece più sicura intuonò l'aria della _Traviata_: _Ah forse è lui che
l'anima_, ecc.
— Oh la _Traviata_! Come mi piace!
— L'ha sentita?
— Una sola volta.... Che opera!

IX.
Era stato per una settimana un tempo diabolico. Quantunque fosse
d'aprile era caduta un'acqua gelata, accompagnata da un vento di
tramontana che metteva i brividi e trasportava in pieno gennaio. S'eran
dovute tener chiuse le imposte, e la Gegia e il signor Carletto si
erano appena salutati con un cenno del capo.
Il primo giorno in cui ricomparve il sole, la Gegia si trovava come
il solito per tempissimo alla sua finestra. Ella aveva una certa
impazienza di ricominciare gl'interrotti colloquii e aspettava le nove.
Ma le nove suonarono e Carletto non venne.... Nè alle dieci, nè alle
undici, nè a mezzodì. La pianta d'erbarosa beveva allegramente i raggi
del sole e una bianca farfalla, venuta non si sa di dove e smarrita in
quel vicolo solitario svolazzava contenta intorno alle sue foglie.
Sul mezzogiorno venne la serva dell'avvocato a tirar le cortine. La
Gegia si fece coraggio e chiese: — Non s'è visto stamane il signor
Carletto!
— Mi pare — rispose l'altra ch'era sgarbata e aveva una grande
antipatia per la _zoppa chiacchierona_, com'ella chiamava la Gegia — mi
pare che se ci fosse l'avrebbe visto prima di me.
La ragazza non rilevò il tuono scortese della risposta, ma soggiunse:
— È malato forse?
— Che vuol ch'io sappia? — replicò la fantesca stringendosi nelle
spalle.
— Non mangi oggi? — chiese a ora di pranzo la zia Marianna alla Gegia
quando vide che non toccava nemmeno le vivande.
— No, non ho fame.
— Come? — fece la zia accostando l'orecchio.
— Non ho fame.
— Se non ti piace, non so che farci.... Che vorresti ch'io ti
preparassi? Un piatto di fegatini?.... Povera scema!
— No, zia, non ho detto che non mi piace, ho detto che non ho fame.
— Pollame? Oh sì, proprio.
La zia Marianna era più sorda del solito e la Gegia dovette rinunziare
a farsi intendere.
Nella sera venne per pochi istanti anche il barcaiuolo Filippo, le cui
visite si facevano sempre meno frequenti. Quando s'accorse dell'umor
nero della Gegia, invece di confortarla, corrugò la fronte, prese
da un cassetto due o tre oggetti che gli occorrevano e se ne andò
brontolando: — C'è un bel gusto a venire a casa. Una è sorda come una
campana e quell'altra ha sempre la cera scura e contrita.... Vorrei
sapere che cosa le manca....
Povera Gegia! Che cosa le manca? L'aria, la luce, il movimento, la
vita, tutto.
La ragazza passò una notte angustiatissima. Ella non poteva scacciare
il pensiero di Carletto. Se fosse malato assai? Era così pallido! E
faceva una vita!
Ma il sentimento di lei non era che un sentimento di pietà o vi
si mesceva un altro più soave, più dolce, un altro di cui ella non
osava render conto a sè stessa? Sarebbe possibile ch'ella, la povera
rattratta, si cullasse in vaghe fantasie d'amore? E a che pro, infelice
ch'ell'era? Chi avrebbe chiesto un sorriso dalle sue labbra, una
stretta dalle sue braccia?
La Gegia lo sapeva anche troppo, ma nondimeno appena alzata ella non
istette dieci secondi senza volger gli occhi verso la finestra di
faccia, e quando vide comparire Carletto non potè a meno di farsi
rossa, di lasciar cader l'ago e le perle e di batter festosamente le
mani gridando: — Oh! è qua, signor Carletto.
— Buon giorno, signora Gegia.
— Fu malato!
— Ebbi un po' di febbre.... Sfido io! Con questi tempi. — E tossì.
— Le è rimasta la tosse?
— Oh passerà.
Indi, svolgendo le carte che aveva sul tavolino, — Oggi c'è razione
doppia, — egli disse.
— Povero signor Carletto.... Invece per ristabilirsi le occorrerebbe
l'aria, il sole....
— I discorsi che faceva la mamma ieri.... Ma io le rispondevo: Abbiamo
torto a lagnarci.... C è dirimpetto al mio studio una ragazza che non
può muoversi mai.... E alla sua finestra non ci arriva un raggio di
sole....
— Ha pensato a me?
— Sicuro. E la mamma pronta: Hai ragione, Carletto.... Quella povera
ragazza è a peggior partito di te.... E dille ch'io pregherò la Madonna
che la faccia guarire....
— Oh benedetta!...
— E dille, continuò la mia vecchia, che non si scoraggi e che la
Madonna ha fatto ben altri miracoli che questi....
— Grazie, grazie di queste parole, — replicò la Gegia con le lagrime
agli occhi.
— Oh come volentieri la ci verrebbe ella stessa a ripetergliele se non
fossero ormai due anni che non fa le scale.
— Ma si figuri.... Speriamo che i pronostici della sua mamma si
avverino, e se Dio vuole ch'io mi possa muovere da questa sedia, il
primo luogo ove andrò, dopo la chiesa, sarà a casa sua....
— E che festa le si farebbe!
Carletto aveva tanto da lavorare che non fu detta quasi più una
parola in tutto quel giorno; ma la Gegia provava in cuore una dolcezza
ineffabile e nuova. Carletto aveva pensato a lei, aveva parlato di lei
con sua madre. Ella non voleva guardar più in là, non osava chiedere
a sè medesima se le sue belle fantasie fossero mai destinate a prender
forma; perchè guardare il domani, se l'idea del domani non poteva che
amareggiare le gioie dell'oggi?
Oh se le fosse dato guarire! Era giovine tanto! Aveva tempo ancora di
amare, di godere!
Nel dopo pranzo sentì nella _calle_ la voce di Maso, quel giovine
ch'era stato con Garibaldi, e ch'ella aveva riveduto, dopo il suo
ritorno, tre o quattro volte.
— Maso! Maso! — ella gridò.
— O che mi chiama, Gegia?
— Sì, potreste venire un momento da me?
Il giovinetto fece in quattro salti le scale.
— Mi fareste un gran piacere senza dirlo a nessuno?
— Dica liberamente.
— Conoscete la Filomena, Maso?
— La conciaossi, quella che anni fa veniva a curarla?
— Sì, quella appunto.... Se poteste cercarla e mandarmela?
— Anche subito.
— Grazie, Maso.... Basterà che venga domani sulle dieci, all'ora che
non c'è la zia.
— A proposito, e dov'è adesso la signora Marianna?
— Dorme col gatto in grembo.... di là in cucina.
Il giovine sorrise e poi domandò peritoso: — Vuol riprendere la sua
cura?
— Sì, Maso, vorrei tentare. Mi pare impossibile ch'io non debba guarir
mai.
— Ha ragione, — rispose l'altro con la baldanza della sua età. — Provi,
provi, abbia pazienza a curarsi e vedrà che tornerà anche lei come le
altre. Oh la Filomena ne ha fatte delle cure, più assai dei dottori
con tutto il loro latino. Coraggio, Gegia, se lo ricorda di quando si
correva insieme?
— Se me lo ricordo! E la nostra gita al Lido.... quell'estate?...
— Ah sicuro.... Quanti anni sono?
— L'anno prima ch'io m'infermassi.... d'estate.... Mi par ieri, c'era
il babbo che aveva una giornata di libertà, c'era tuo padre buon'anima
e la tua mamma, oh guarda che adesso ti do del _tu_ come allora....
— Si figuri.... Ma è quello che deve fare....
— Purchè tu faccia lo stesso....
— Eh mi ci proverò.
— E c'era anche la Pina, — continuò la ragazza, — eravamo insomma una
brigata d'otto o dieci. Ci dirigemmo a San Nicolò del Lido, tirava un
venticello fresco ch'era una delizia e la barca andava su e giù, su
e giù.... Mi par di vedere ancora una dozzina di barche di pescatori
che, in fila, si dirigevano al porto.... Avevano il vento in poppa,
le vele spiegate, certe vele a rattoppi, giallastre, rossiccie, con un
emblema per ciascuna, o la Madonna, o un Santo, o un cuore, o un mostro
marino.... Le ci sfilarono davanti una dopo l'altra queste barche, e
noi si gridava «Buona pesca!»
— Che memoria ha! — esclamò Maso.
— Oh Maso, — replicò la Gegia, — tu hai visto tante cose nel mondo,
io ne ho viste così poche.... È naturale che me ne rammenti. — Indi
riprese animandosi sempre più: — A un punto il babbo perdette la
pazienza e disse: Come si va adagio! E afferrò il remo d'uno dei
barcaiuoli e si mise a vogar lui.... Allora sì ci parve di volare
sull'acqua.... E il desinare sotto il gran platano, lo hai presente?
— Un poco....
— Soltanto il principio, siamo intesi.... Perchè ho una gran paura che
noi ragazzi fossimo brilli dopo il primo bicchiere....
— Lo credo anch'io, — proruppe Maso ridendo, — perchè ho una vaga
reminiscenza che quel famoso albero mi volesse cascare ogni momento
sulla testa.
— Ma! Per me le son cose finite.... E intanto ti trattengo qui con
queste chiacchiere, e chi sa quante belle _tose_ ti aspettano.
— Oh mi canzoni — disse Maso. E soggiunse:
— Dunque andrò per la Filomena.
— Sì, grazie.... E scusa, sai.
Il giovine sgusciò via.

X.
Era altrettanto facile di guarire la Gegia, quanto di far passeggiare
per la piazza il campanile di San Marco; nondimeno la ciarlatana si
guardò bene dallo scoraggiare la inferma; la rimproverò anzi di non
aver fatto nulla da un paio d'anni, ma le soggiunse che ciò non rendeva
punto disperata la cosa e che perseverando nei rimedi ella avrebbe
potuto ricuperar pienamente l'uso delle sue gambe. Indi le ordinò certi
empiastri di sua recente invenzione, che s'erano chiariti efficaci
in casi più gravi del suo. E la Gegia sperò e ubbidì ciecamente alle
prescrizioni della ciarlatana, dando fondo per pagarla a poche lire
ch'ella aveva risparmiate in più anni. Non toccò per altro il napoleone
d'oro che le era stato regalato tanto tempo addietro dalla Lotte;
questo napoleone, che le rimordeva di quando in quando la coscienza,
ella aveva destinato di serbarlo ad un'opera buona, di farlo servire a
vantaggio di qualchedun altro.
A Carletto la Gegia non disse nulla della cura intrapresa. Bensì a
lunghi intervalli si lasciava sfuggir qualche parola che accennava
all'idea della guarigione, faceva qualche progetto per quando fosse
guarita.
Così pure, da pochi giorni e precisamente dacchè Carletto le aveva
riferito il colloquio avuto con sua madre intorno a lei, ella aveva
ripreso ne' suoi ritagli di tempo un'occupazione smessa da un pezzo:
quella dei fiori di carta.
Un dì Carletto se ne accorse e le chiese: — Anche i fiori sa fare con
quelle sue manine?
— Sono inezie.... Ho imparato da una signorina tedesca che abitava
costì....
— Come son belli!
— Le piacciono?
— Tanto. E lavora per commissione?
— Sì — rispose la Gegia abbassando gli occhi e sorridendo.
— Lo sa, signora Gegia — disse Carletto alcuni giorni dopo — che mi son
fatto fare il ritratto?
— Mi canzona? Il ritratto?
— In fotografia.... C'è un mio amico che s'è messo a fare il fotografo
e ha voluto usarmi questa cortesia. Me ne diede sei copie.
— Davvero? — soggiunse la Gegia e non osava chiedergliene una. Poi,
sforzandosi di parer disinvolta. — Sarà una sorpresa che vorrà fare
alla sua amorosa....
— Ma se non l'ho, io, l'amorosa.
La povera Gegia non osava sperare di esser lei la preferita; pur le era
un gran conforto il sentire che il cuore di Carletto fosse libero. E si
fece coraggio a dire:
— Già che ne ha sei copie, potrebbe darmene una?
— Sicuro che gliela darò.
— L'ha con sè?
— No, la porterò domani.
— Si ricordi, sa — disse la Gegia a Carletto, quando questi alla solita
ora si mosse per andarsene.
— Oh non dubiti.
Di lì a un'ora si bussò alla porta della Gegia.
— Chi è? — disse la ragazza.
— Sono io, sono Carletto che le porto oggi stesso il ritratto. Posso
entrare?
— Vengo, vengo — disse la Gegia tutta confusa di questa visita che le
metteva addosso uno strano turbamento.... Non ch'ella potesse temere
della sua riputazione. Prima di tutto c'era nella camera attigua la zia
Marianna: poi chi si sarebbe sognato di attribuire un intrigo galante
a lei, la storpia, la paralitica? Ella pensava invece che Carletto
non l'aveva vista sino allora che dalla finestra; egli poteva crederla
impedita nei movimenti, non rattratta com'era.
Depose in fretta sopra il tavolino che le stava allato la ciotola di
perle e gli aghi, si ravvolse le gambe in una coperta di filo, tanto
per nascondere alla meglio la parte inferiore della persona; quindi
tirò la funicella che girava tutto intorno alla parete e di cui uno dei
capi pendeva vicino allo stipite della finestra, a portata della sua
mano, l'altro era legato al saliscendi dell'uscio.
Carletto entrò.
— Perdoni la libertà, signora Gegia — egli disse — ma ho pensato
che domani debbo andare al tribunale per conto dell'avvocato e
trattenermivi forse tutto il giorno. Così volli anticipare e farle oggi
una visitina.... Eccole il ritratto.
E le porse una fotografia molto mediocre, che per vero dire non adulava
l'originale, nè faceva un grande onore all'artista.
Carletto aveva stimato opportuno di farsi ritrarre in piedi, locchè
dava maggior risalto al taglio disgraziato del suo soprabito e
alla cortezza fenomenale de' suoi calzoni, dono generosissimo del
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