Alla finestra: Novelle - 02

Total number of words is 4609
Total number of unique words is 1766
36.9 of words are in the 2000 most common words
54.2 of words are in the 5000 most common words
62.1 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
E che baci si danno!... Che cos'hai, Gegia? Perchè mi guardi come una
bestia rara?
Ciò che la Gegia guardava era il gran mutamento operatosi nella sua
amica durante quell'inverno. I suoi occhi azzurri avevano acquistato
un'espressione nuova; parevano divenuti più grandi, più profondi;
le lunghe treccie non le scendevano più infantilmente giù per la
schiena, ma le erano raccolte intorno al capo; il vivo rossore delle
sue guancie aveva ceduto il posto ad un leggero incarnato, la faccia
già un po' troppo piena e paffuta s'era affilata alquanto e ridotta
di un bell'ovale; il collo lungo, ben tornito, sottile, si posava
superbamente sopra un magnifico giro di spalle degne d'esser modellate
da uno scultore. Dall'autunno non era forse cresciuta in altezza,
ma sembrava che fosse, tanto aveva acquistato ormai l'aspetto d'una
ragazza fatta.
La Gegia le esternò la sua ammirazione; ella fece spallucce e sorrise.
Era avvezza ormai a ben altri omaggi!
— Ho continuato a intagliar fiori di carta, — osservò la povera
inferma, credendo di dir cosa grata alla Lotte. — Oh come debbo esserle
riconoscente per le lezioni che mi diede!...
— Bah! — rispose la tedesca con indifferenza. E mutò argomento. — E
io ho ballato, cara mia ho ballato tutto questo inverno, ciocchè è
meglio che far fiori di carta. Avevo ballato anche negli anni scorsi,
ma non tanto, e non col gusto di quest'anno.... Che effetto singolare
quell'esser portate in aria.... Tutto si confonde insieme, il suono, la
luce, l'alito....
Ma si fermò a questo punto, chè le parve di veder una nube sulla fronte
della sua disgraziata interlocutrice. Tolse da un vaso un mazzolino
di fiori, e presa la mira lo gettò in camera della Gegia. — Ti servirà
pei tuoi lavori, — le disse. Poi, dimentica del riserbo delicato che le
aveva fatto poc'anzi interrompere il suo discorso, soggiunse: — Ma non
ti darei per tutto l'oro del mondo quella viola lì. — E additò un fiore
che era in un bicchiere, posato sul marmo del suo lavamano. — Oh quella
viola non la darei a nessuno, a nessuno.
E si allontanò canticchiando la ballata di Goethe:
_Es war ein König in Thule_
_Gar treu bis an das Grab...._
La Gegia non era in grado di fare uno studio psicologico nè sugli
altri, nè su sè stessa; ella capiva soltanto che in quei pochi mesi un
mondo di pensieri nuovi, di nuove impressioni, di nuovi affetti s'era
spalancato dinanzi alla Lotte, e che in quel mondo ella ci era entrata
come una regina. Ormai a parlare con lei le sembrava di discorrere con
una persona che fosse sulla punta di un campanile; tanto ci correva
tra loro! La fortunata fanciulla (chè, grande e grossa com'era, non
toccava ancora i quindici anni) aveva la coscienza della sua bellezza,
della sua forza, e la lasciava trasparire con la baldanza dell'età
sua. Bisognava veder la mattina, quando faceva la sua _toilette_, come
si compiaceva a guardarsi nello specchio! Certa di non aver di fronte
altri che la Gegia, ella spesso non si curava nemmeno di abbassar le
tendine e terminava di vestirsi a finestre aperte. Eppur la Gegia la
divorava cogli occhi come se fosse stata un giovinotto, ed ammirava
quelle spalle che parevan tagliate nel marmo, e le curve del seno mal
dissimulate dal candido lino, le braccia ignude fin sotto le ascelle e
arrovesciate dietro la nuca ad annodare le diffuse treccie dei lunghi
capelli. E sentiva in cuor suo come un misto d'invidia, di desideri
ancora mal noti, di sfiducia desolata e profonda. Era ella pur nell'età
in cui nella fanciulla si sveglia la donna, e acquistavano un senso per
lei tante frasi udite, tante cose vedute, e il sangue le correva nelle
vene più infiammato, più rapido. Adesso capiva davvero il cinguettìo
delle coppie innamorate che ad ora tarda venivano a dirsi qualche
paroletta furtiva sotto la sua finestra, e adesso intendeva ciò che
significava l'esser _novizze_, come le si narrava or dell'una, or
dell'altra delle ragazze, che, un po' più grandicelle, avevano, anni
addietro, giuocato con lei. E, coricatasi, vegliava a lungo pensando,
e si voltava e rivoltava nel suo letticciuolo; poi quando cedeva alla
stanchezza e chiudeva gli occhi, i sogni si calavano in frotta sul
suo capezzale. Era, in sogno, bella anche lei, bella come la Lotte,
aveva anche lei il suo _moroso_, era fidanzata.... Poi si destava in
sussulto, la fredda realtà le si parava dinanzi, e piangeva.
Una notte, nella quale non le riusciva di quietarsi, intese aprire
adagio adagio le imposte della finestra dirimpetto. Tese l'orecchio
e distinse la voce della Lotte, a cui una voce d'uomo rispondeva
dal basso. Stettero forse cinque minuti a scambiarsi delle parole in
tedesco; poi si udì lo scoccare di due baci, di due baci innocenti,
intendiamoci, perchè l'uno scendeva da un primo piano alla strada,
l'altro saliva dalla strada a un primo piano. Ma i baci _mandati_ fanno
più strepito dei baci _dati_ e quel suono impedì alla Gegia di dormire
anche il resto della notte. La mattina poi, quando la Lotte si affacciò
alla finestra, ella le mise addosso certi occhi, che quella, contro il
suo solito, divenne rossa, parve confusa, ed abbassò il viso.
La Gegia non potè a meno di lasciarsi scappar dal labbro. — Oh sia
sicura che non dirò niente.
— Di che cosa? — rispose la Lotte facendosi di tutti i colori.
— Oh bella.... di questa notte.
— Che intendereste dire? — replicò la tedesca rizzando il capo in aria
corrucciata ed altiera.
Alla Gegia vennero le lagrime agli occhi. — Scusi, — balbettò, — io non
ci ho colpa.... non dormivo....
— Passate la notte alla finestra?
— No, no.... ma sentivo ugualmente... Del resto non potevo capir
nulla.... Non capisco mica il tedesco, io.
— Ebbene! che male c'è? Era il cameriere di una mia amica che veniva a
domandarmi se la sua padroncina aveva lasciato da me il suo ventaglio.
Non ci voleva un grande acume a capire che questa era una bugia, ma la
Gegia non aggiunse parola. La Lotte chiuse la finestra dispettosamente,
e non si fece più vedere per alcune ore. Ma sulle due ricomparve con
cera rabbonita, si guardò intorno e chiese alla Gegia — C'è nessuno da
te?
— Sì, c'è la zia — rispose l'altra cui non pareva vero d'essere
interrogata amichevolmente.
— Che seccatura!
— Oh, la sta sempre in cucina e sente appena le cannonate.
— Ebbene, vengo, dopo tanto tempo, a darti una nuova lezione di fiori.
E queste ultime parole le pronunciò ad alta voce, come se desiderasse
che fossero intese.
La Gegia aveva lasciato dormire da alcune settimane quei suoi lavorucci
di carta, e teneva tutto chiuso in un cassetto del suo tavolino. Aveva
bisogno di guadagnar quattrini e perciò doveva attendere a infilar
perle e preparar qualche ninnolo di conterie, che il buon Menico
vendeva per lei. Adesso tirò fuori dal tavolino la carta a colori, i
modelli e gli arnesi che le erano stati regalati dalla Lotte, e stette
in aspettazione della bella vicina.
— Buondì, Gegia — disse la Lotte entrando senza preamboli, e voltandosi
con una certa compiacenza a raccoglier la coda della sua lunga vesta di
percallo, che s'era impigliata nell'uscio. — Stamattina fui cattiva, ma
che diamine? Se ti sentivano.... Basta.... _À quelque chose malheur est
bon_.
— Le domando scusa di nuovo...
— Ci hai creduto alla storiella del cameriere?
— Ma.... sì.
— Baie! Hai una testolina troppa svelta.
La Gegia non rispose. Dopo una pausa di qualche secondo, ella disse: —
Non siede?
— Chè! Bisogna ch'io me ne vada subito.... I miei genitori sono andati
a fare una visita. Se tornano e non mi trovano in casa, sto fresca.
— Ah! Credevo fosse venuta per i fiori — osservò la Gegia guardando un
po' mortificata tutta la roba ch'ella aveva messo sul tavolino apposta.
— No, no, i fiori non c'entrano — replicò la Lotte. E si diresse verso
un cassettone sul quale erano collocati alcuni gingilli in conterie. —
Oh! il bel panierino! Oh il bel monile! Come mi piacerebbe averli!
— Li prenda.
— Purchè non sia come l'altra volta, sai. Voglio pagarli.
— Valgono così poco...
— Alle corte. Se non lasci ch'io me li pigli e li paghi, vado in
collera.
— Che debbo dirle? Faccia lei.
— Così mi piace. — Involse i due oggetti nel fazzoletto bianco, poi
si avvicinò alla Gegia e le diede una moneta chiusa diligentemente
entro un pezzo di carta. Infine, chinandosele all'orecchio, le disse:
— Se domani viene qui una donna portando _qualche cosa_ per me, mi
prometti di passarmi quella cosa dalla finestra? — E per prevenire ogni
obbiezione, soggiunse: — Ho un panierino di paglia che farò scorrere
lungo una cordicella di cui ti getterò uno dei capi. Mi prometti?
La Gegia non s'era ancor formata un'idea chiara di ciò che le si
domandava. Aveva un confuso barlume che ci fosse qualche cosa di male,
ma come risponder di no alla Lotte, che, bella e gran signora com'era,
aveva tanta degnazione per lei? Così, divenendo rossa, articolò un sì
appena percettibile.
— Grazie! — disse la Lotte. Le passò la mano sui capelli e soggiunse: —
I bei capelli che hai! E anche il viso è bellino... Sembri una Madonna.
Indi, senz'altri indugi, sgusciò via rapida e leggera com'era venuta,
e la lasciò mezzo sbalordita.
Ma lo sbalordimento della Gegia s'accrebbe, quando, rimasta sola, ella
spiegò la cartolina che aveva ricevuta e vi trovò un napoleone d'oro.
Senza saper precisamente il perchè, ella si sentì montar le fiamme al
viso; credette per un istante a uno sbaglio, ma poi si ricordò che
quella cartolina era preparata, e che doveva essere stata preparata
appunto per evitare le obbiezioni ch'ella avrebbe mosso senza dubbio
nel ricevere un compenso tanto maggiore del prezzo di ciò ch'ella
dava. Non erano, no, i suoi gingilli che le venivano pagati con quel
napoleone d'oro; era il servigio che si era chiesto da lei e ch'ella
aveva promesso di rendere. Oh se avesse potuto ritirar la sua parola!
Se avesse potuto consigliarsi con qualcheduno! Ma con chi? Suo padre
non capitava quasi mai a casa, ed era diventato poco men d'un estranio
per lei; colla zia Marianna bisognava rinunziare a discorrere, tanto
era sorda; il signor Menico ella non lo vedeva che di lì a cinque
giorni. E poi poteva tradire il segreto della Lotte? E se, dopo tutto,
la Lotte non le avesse chiesto che la cosa più naturale del mondo? E se
avesse voluto beneficarla? Aveva ella il diritto di essere orgogliosa?
Di rifiutare un piacere a chi glielo domandava con tanta grazia? Ma
se non fosse un piacere onesto? Onesto! E sapeva ella veramente ciò
ch'era onesto e ciò che non era? Chi glielo aveva insegnato? Torturata
da questi dubbi, la Gegia passava quel napoleone d'oro da una mano
all'altra quasi fosse rovente, e si guardava intorno come a cercare
un'ispirazione che non veniva, un buon suggerimento che nessuno le
dava. Ma quando vide entrare la zia Marianna, la fanciulla ripose
istintivamente la moneta nel cassetto del suo tavolino; non era a lei
ch'ella avrebbe potuto confidarsi. La zia Marianna era brontolona
per indole; quel giorno poi ella accusava cento malanni, prevedeva
che sarebbe caduta inferma e che l'avrebbero spedita all'ospedale. E
si lamentava in anticipazione della sua cattiva stella e del pessimo
cuore degli altri. La Gegia era avvezza a questi pronostici e a questi
lamenti; pur quel giorno ne fu colpita più del consueto; pensò che
una volta tanto la zia poteva dire la verità e che s'ella infermava
sul serio sarebbe convenuto fare ogni sacrifizio per salvarla dallo
spauracchio dell'ospedale. In questo caso i quattrini non sarebbero
stati mai troppi e quel famoso _marengo_ avrebbe servito a fare una
buona azione. Così si decise a tenerlo, lieta forse in cuor suo d'aver
trovato un motivo che giustificasse a' suoi occhi un tale proposito.

V.
Il panierino tragittò più d'una volta fra le finestre lungo la
cordicella. I bimbi della _calle_, ne ridevano e salutavano questi
passaggi aerei coi loro frizzi; le donnicciuole facevano i loro
comenti, tanto più ch'esse avevano visto una femmina ignota salire
replicatamente della Gegia. Nondimeno le cose sarebbero andate
liscie se un bel giorno il paniere non si fosse piegato troppo da
una parte e non avesse lasciato cadere il suo prezioso carico nella
via sottoposta. Il carico, che consisteva in una semplice letterina
scritta in carta sottile, fece parecchie leggiadre giravolte prima
d'arrivare in istrada, ma alla fine andò a terminare in grembo ad un
monello che giuocava sullo scalino di una porta. Si può immaginare
l'agitazione delle due ragazze. L'una, la Lotte, spintasi fuori con
mezza la persona dalla finestra, seguiva collo sguardo il volo del suo
biglietto; l'altra, la Gegia, che non poteva muoversi dalla sedia, lo
seguiva col pensiero e non era la meno inquieta. — Ps! Ps! — fece la
Lotte al ragazzo, vedendo che in quel momento non c'erano altri nella
_calle_. E avvicinate le mani alla bocca in modo da raccogliere il
suono, gli disse: Vieni subito al portone che scendo io. — Lasciò la
finestra e fu presto sulle scale. Il fanciullo, cui non pareva vero
di prendersi una mancia dalla signorina, aveva prontamente obbedito
e, tenendo delicatamente fra le dita il biglietto, aspettava che il
portone si aprisse. Volle sfortuna che in quel momento arrivasse dalla
strada nientemeno che _Herr Graf_ von Rheinstadt, il padre della Lotte.
Come costui vide il garzoncello all'uscio di casa sua, gli domandò
brusco che cosa volesse. L'interrogato, tra pella confusione, tra pel
dubbio di non farsi intendere in veneziano, si spiegò a gesti segnando
prima la finestra della Gegia, poi quella del palazzo e sforzandosi
a descrivere con la mano la caduta della lettera. Ma prima che la
spiegazione fosse compiuta, la porta si aprì, comparve la Lotte, la
quale rimase pietrificata alla vista del suo maestoso genitore. _Herr
Graf_ credette d'aver capito abbastanza, strappò il biglietto dalle
dita del ragazzo e a titolo di mancia gli amministrò uno scappellotto.
Indi, spingendo avanti di sè la figliuola, entrò in casa e si tirò
dietro il portone con gran fracasso. Di lì a poco la cameriera tedesca,
che, mesi addietro, aveva accompagnata la Lotte in casa della Gegia,
venne alla finestra del gabinetto della sua padroncina, rivolse alla
povera inferma uno sguardo velenoso e le gridò due volte _Unverschämte!
Unverschämte!_ (svergognata). Indi chiuse le imposte. Nello stesso
tempo il ragazzo ch'era stato così mal ricompensato dei suoi servigi
pensò di sfogar la sua stizza andando sotto al balcone della Gegia e
urlando: — Tutto per colpa tua, brutta storpia! brutta....! E qui c'era
una parola brutta davvero che il lettore mi dispenserà dal ripetere.
Quando la cosa si divulgò nel vicinato, le femminuccie della _calle_
si mostrarono tutte piene di scrupoli virtuosi. Il giudizio meno
ostile alla Gegia fu quello di _siora_ Veronica. _Poverazza! Bisogna
compatirla. Non la pol far ela e la tien terzo ai altri._ E il
barcaiuolo Filippo, informato della faccenda, s'infiammò di un sdegno
veramente magnanimo. — Quella lì, vedete — egli disse, parlando della
Gegia — dopo una roba simile, io non la conosco quasi più per mia
figlia. — Onde gli spiriti timorati convennero che Filippo era un
_uomo giusto_ un uomo il quale, _in materia d'onore_, non guardava in
faccia nemmeno alle sue creature. In quanto alla zia Marianna, ella
aveva subodorato qualche novità. Ma siccome nessuno voleva perdere il
fiato con lei, così alle sue interrogazioni si rispondeva gridandole
nell'orecchio: — _Domandate a vostra nipote_. Era un altro martirio per
la Gegia che diceva con voce supplichevole: — _Mi lasci stare. Ma mi
lasci stare._ E la sorda si ritirava in cucina sbuffando e ripetendo su
tutti i tuoni: — _Mi par d'essere in una gabbia di matti_.
In quale stato d'animo fosse la Gegia è facile immaginare. Il
rimprovero che la sua coscienza le aveva già diretto faceva sentir più
acerba la sua puntura dopo che la disgraziata ragazza trovava intorno
a sè la riprovazione degli altri. Perchè così nel biasimo come nella
lode che l'uomo dà a sè medesimo accade ben di rado che si astragga
affatto dal giudizio altrui, e la coscienza dell'individuo, per altera,
per illibata che sia, muta i suoi responsi col mutar dell'ambiente
in cui vive. Ma la Gegia, in mezzo alla sua mortificazione, aveva
un altro pensiero che la crucciava. Era il pensiero della sua amica
alla quale ella non sapeva che punizioni si fossero inflitte. A veder
sempre chiusa la finestra, ove la bella giovinetta soleva venir così
spesso a conversare con lei, ella sentiva stringersi il cuore. Certo
la Lotte era stata mandata via di casa, forse la si era cacciata in
un ritiro, povera creatura! La Gegia se la figurava già vestita di
saio, coi capelli corti, come, da bambina, aveva visto le monache nel
convento delle _Terese_. E anche lei, anche la Lotte, doveva dunque
rinunziare al mondo, doveva rinunziare all'amore! _Anche lei!_ Chi
può assicurarci che nel pronunziar questa frase le Gegia non provasse
in cuor suo quell'amaro conforto che è pur nella certezza del dolore
diviso? Chi può assicurarci che ella non fosse in preda a quella
strana contraddizione, che, mentre sveglia in noi tutto lo spirito di
sacrifizio necessario a toglier di pena un amico, di farebbe accogliere
come un disinganno la notizia che l'amico non ha nulla sofferto?
Questo disinganno, se era tale, la Gegia non tardò a subirlo. Pochi
giorni dopo l'avvenimento della lettera, ella sentì salir dalla strada
la voce della Lotte, il fruscio della sua vesta, lo scoppiettar del
suo riso. _Cò presto la ghe xè passada!_ dissero le comari della calle
vedendola vispa, ilare, elegante. Il romanzo della Gegia era andato
in fumo, la sua amica era sempre felice, ed ella piangeva a lagrime
dirotte.
Col chiudersi della finestra di facciata s'era chiusa per la Gegia una
gran parte del suo piccolo mondo. Ella passava intere giornate senza
scambiare una parola, chè con la zia Marianna era inutile discorrere
e le sue vicine non capitavano che di rado a visitarla. E poi queste
visite erano quasi sempre una fonte di mortificazioni per lei. Ogni
momento le si diceva: — Sai, la tale si marita a Pasqua e la tal'altra
fa l'amore con questo o con quello. — E qualche volta era la fidanzata
stessa che veniva a darle la buona nuova. Veniva tutta in fronzoli,
fresca, rosea, ridente, mostrando le _buccole_ che le aveva regalato
_el novizzo_, vantando, col freddo egoismo dei felici, la buona ventura
che l'era toccata e descrivendo in lungo e largo i suoi piani per
l'avvenire.
Povera Gegia! E pensare che queste ragazze erano, da bimbe, men
belle di lei. Pensare che suo padre, il quale allora l'amava, non si
stancava di ripetere: — Come la mia figliuola non ce n'è una in tutta
la parrocchia! — Adesso ella conservava ancora un pallido ricordo di
quel suo profilo di vergine, conservava i suoi bei capelli biondi,
i suoi grandi occhi bruni. Ma quegli occhi erano scemi dell'usato
splendore, e giravano intorno null'altro esprimendo che una mestizia
quasi rassegnata; ma le guancie avvizzite avevano ormai la tinta
giallastra della cera. Nel suo complesso aveva il curioso aspetto di
una bambina vecchia. La statura, la sottigliezza delle braccia, la
curva appena visibile del seno, le avrebbero fatto dare tredici anni
al più, ma guardandola in viso, specialmente se vinta dalla stanchezza
ella chiudeva un istante gli occhi, si sarebbe detto: È una donna di
trenta. Nel fatto, al momento di cui parliamo, non ne aveva che sedici.

VI.
Era il principio del 1866. L'aria era piena d'elettricità. Si sentiva
vicina una nuova guerra, l'ultima forse, quella che dopo tanti amari
disinganni avrebbe finalmente riunito Venezia alla patria comune.
Non si discorreva d'altro; due nomi che da sì lungo tempo erano nel
cuore di tutti, tornavano sulle labbra e si ripetevano dagli adulti,
dalle donne, dai fanciulli con una baldanza che nulla valeva a
temperare: _Vittorio_ e _Garibaldi_. I muri erano coperti ogni notte
di questa iscrizione bizzarra: _Viva VERDI_. Era un anagramma a cui
il celebre maestro di musica prestava ben volentieri il suo nome, e
significava _Viva Vittorio Emanuele Re d'Italia_. La polizia aveva un
bel dar di bianco al voto sacrilego; era lavoro di Sisifo. I monelli
canticchiavano sommessamente per le strade l'inno di Garibaldi; gli
adolescenti aspettavano con impazienza che venisse il giorno opportuno
di passare il confine; dietro le vetriate dei merciai facevano capolino
le stoffe verdi, rosse, bianche, mal dissimulate dalle lane e dalle
sete d'altri colori.
Di tutto questo rimescolìo la Gegia capiva qualche cosa delle
chiacchiere delle vicine, ma le informazioni più esatte le riceveva dal
signor Menico, quand'egli veniva il sabato a pagarle la sua settimana.
Il signor Menico era stato guardia civica nel 1848-49, e se lo tiravano
in lingua raccontava come uno degli ultimi giorni dell'assedio, essendo
in fazione davanti una caserma in Cannaregio, da cui si vedevano i
forti, una palla di cannone era piombata sul tetto d'una casa vicina,
e dopo molti giri e rigiri era caduta a due passi da lui portandosi
dietro la grondaia. — Capite? a due passi! egli diceva. E ingrossava
la voce e tentennava il capo con aria d'importanza come a significare:
Una cosa simile è toccata a pochi! Malgrado di ciò il signor Menico
non era un leone, e con la teoria che _i muri parlano_, egli lasciava
volentieri da parte la politica. Ma adesso, con la Gegia, egli si
faceva coraggio e dopo averle chiesto regolarmente se la zia Marianna
continuava ad esser sorda, le raccontava le novità del giorno, e le
assicurava sulla sua parola d'onore che questa volta i Tedeschi se
ne sarebbero andati davvero. Glielo aveva detto persona che non era
solita ad ingannarsi. E la Gegia a poco a poco andava infiammandosi
per questa idea della patria che non le riusciva ben chiara, ma che
pur doveva essere assai bella, e che forse l'era tanto più accetta
quanto più le dava da pensare e la distraeva dalla muta contemplazione
delle sue miserie. Del resto, gl'infelici sono rivoluzionari per
loro natura. Chissà che il mondo cambiando non diventi migliore
per essi, chi sa che le loro pene non si alleviino, che l'egoismo
altrui non si corregga! Se avessero domandato alla Gegia: credi tu
che _gli Italiani_ restituiranno il vigore alle tue membra, faranno
giungere alla tua finestra il sole alla tua anima sitibonda l'amore?
ella avrebbe, sospirando, risposto di no; ma poichè nessuno glielo
chiedeva, ella si nutriva, inconsapevole, di dolci illusioni. Pur
la martellava un pensiero, il pensiero della Lotte che, quantunque
dimentica di lei, ella non aveva cessato di amare. Che sarebbe avvenuto
della giovinetta col mutar delle cose? Avrebbe ella dovuto soffrire?
S'era pur scritto anche sul muro di Cà Dareni — _Morte ai tedeschi_
— e quando nella _calle_ giungevano gli accordi del pianoforte
della Lotte e il suono del suo canto, i monelli, ormai imbaldanziti,
urlavano _Canta, canta, che presto te tocarà pianzer_. Oh se la Gegia
avesse potuto consigliarla a fuggire! Ma non ci fu bisogno del suo
consiglio, perchè una settimana prima della dichiarazione di guerra
il conte di Rheinstadt risolse improvvisamente di andarsene con la
famiglia. La Gegia non ne sapeva nulla quando una mattina vide aprirsi
improvvisamente la finestra del palazzo e comparire la Lotte in abito
e cappellino da viaggio.
— Addio, Gegia.
— Oh, va via? — rispose questa, che avrebbe voluto dirle tante cose.
— Sì, addio di nuovo, chè se i miei genitori sanno che sono venuta di
qua, mi fulminano.
— E — balbettò l'altra — non ci vedremo,... più?
— Sì, di qui a un mese.... Questa volta metteremo presto giudizio ai
matti....
— E se si vince noi, invece?
— Chi? noi...? Oh, anche tu, Gegia, — esclamò la Lotte col tuono del
_tu quoque, Brute_. Poi soggiunse ridendo: — Va là, che non c'è questo
pericolo. — E volò via. Pochi minuti dopo un servitore che rimaneva a
custodia del palazzo venne a richiudere le imposte.
Nel 1866 Venezia attraversò un periodo di alcune settimane che fu tra i
più curiosi ed originali che si riscontrino nella storia. Abbiamo mille
esempi dell'ansietà di un popolo che attende da una guerra il proprio
riscatto e di questa guerra segue con animo intento le varie vicende,
ma non son molti i casi nei quali una intera città per venti e più
giorni esulta della indipendenza conquistata sotto gli occhi dei nemici
che si trovano ancora entro le sue mura, e che di feroci e spietati
ch'erano prima diventano indifferenti e quasi benevoli e assistono, con
l'arma al braccio alle dimostrazioni fatte contro il loro governo. Uno
spettacolo simile l'offerse Venezia dalla metà di agosto al 19 ottobre
di quell'anno 1866. Sottoscritto l'armistizio, si trasse come un gran
sospiro dai petti. Finalmente! Finalmente se ne vanno! Dopo tante
disillusioni, dopo tante lagrime, dopo tanto sangue è giunto il gran
giorno! e la vita del paese era tutta in questo pensiero, e ciascuno
aveva bisogno di espandere la sua gioia, di narrare agli altri ciò
che gli altri sapevano, e di farsi narrare ciò che un momento prima
egli stesso aveva narrato. Le cose ripetute cento volte non perdevano
mai della loro novità, erano come una musica divina che l'orecchio
non si stanca di intendere. Nè si parlava più a bassa voce come per
lo addietro, nè si cercavano i crocchi fidati degli amici; era amico
chiunque favellasse italiano. Si consumava la giornata nelle vie, in
piazza, ai caffè. Di tratto in tratto circolava per le bocche una voce.
Son passati pel Canalazzo, son scesi al Municipio o al Comando militare
due, tre ufficiali del nostro esercito venuti a trattare degli alloggi,
delle formalità della consegna, ecc., ecc. Talvolta era vero, talvolta
no; nondimeno bastava il dubbio perchè nessuno rimanesse fermo, ed
era un correre, un urtarsi, un farsi strada a furia di gomiti per
giungere sino al luogo indicato, ove molto spesso si restava con un
palmo di naso, perchè gli ufficiali o erano già partiti, o non erano
neppure arrivati. Ma se spuntava un kepy, le grida, gli applausi non
terminavano più, e lungo il passaggio della gondola che accompagnava i
parlamentari alla stazione la gente si accalcava ai traghetti, sulle
_fondamente_, alle finestre, sventolando i fazzoletti e salutando di
giocondi _viva_ i fratelli che entro pochi giorni sarebbero venuti a
fermar stabile dimora in Venezia. E le bandiere tricolori, preparate a
migliaia nel segreto delle pareti domestiche, cominciavano a mostrarsi
qua e là come se non potessero tollerare più a lungo l'ipocrisia di
quel nascondiglio e anelassero all'aure aperte e serene. In qualche
luogo solitario e remoto della città si addestrava intanto con serietà
eroicomica una larva di guardia nazionale, vestita d'uniformi di
fantasia, armata di fucili di legno, che i fucili buoni non erano
ancora permessi e forse avrebbero fatto paura ai guerrieri, e già si
disegnavano in lontananza le ambizioncelle del pizzicagnolo aspirante a
caporale, e del chincagliere che si sentiva chiamato agli alti destini
di luogotenente.

VII.
Di questo moto, di questa vita un'eco giungeva sino alla buia ed
angusta viuzza abitata dalla nostra Gegia e interrompeva la triste e
monotona esistenza della poveretta.
I grandi avvenimenti rendono espansivi e loquaci, e le vicine,
perdonatole nella loro infinita clemenza lo scandalo del biglietto,
salivano adesso più sovente da lei a chiacchierar delle cose del
giorno. Inoltre una sua amica d'infanzia che aveva la commissione di
parecchie bandiere tricolori per l'ingresso _degli italiani_, sentì che
non poteva fare a meno di un aiuto e richiese la Gegia s'ella volesse
lavorare con lei e spartire i guadagni. L'offerta fu accettata con
entusiasmo, chè in quel tempo l'arte delle conterie dava alla Gegia
ben poco da fare ed ella aveva supplicato invano suo padre di crescerle
la mesata. Siccom'ella non si poteva muovere, l'altra trasportò da lei
il proprio laboratorio, e le due ragazze stavano insieme dall'alba al
crepuscolo a tagliare, a cucire quelle enormi pezze di lana, che coi
loro vivi colori parevano illuminare la malinconica cameretta. L'amica
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Alla finestra: Novelle - 03
  • Parts
  • Alla finestra: Novelle - 01
    Total number of words is 4529
    Total number of unique words is 1726
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    50.6 of words are in the 5000 most common words
    57.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 02
    Total number of words is 4609
    Total number of unique words is 1766
    36.9 of words are in the 2000 most common words
    54.2 of words are in the 5000 most common words
    62.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 03
    Total number of words is 4492
    Total number of unique words is 1650
    40.1 of words are in the 2000 most common words
    56.0 of words are in the 5000 most common words
    63.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 04
    Total number of words is 4501
    Total number of unique words is 1633
    39.6 of words are in the 2000 most common words
    55.4 of words are in the 5000 most common words
    63.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 05
    Total number of words is 4546
    Total number of unique words is 1616
    37.0 of words are in the 2000 most common words
    52.5 of words are in the 5000 most common words
    59.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 06
    Total number of words is 4513
    Total number of unique words is 1633
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    53.2 of words are in the 5000 most common words
    60.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 07
    Total number of words is 4557
    Total number of unique words is 1797
    35.8 of words are in the 2000 most common words
    51.6 of words are in the 5000 most common words
    59.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 08
    Total number of words is 4508
    Total number of unique words is 1796
    36.1 of words are in the 2000 most common words
    51.8 of words are in the 5000 most common words
    59.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 09
    Total number of words is 4416
    Total number of unique words is 1707
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    53.1 of words are in the 5000 most common words
    60.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 10
    Total number of words is 4346
    Total number of unique words is 1684
    38.0 of words are in the 2000 most common words
    53.3 of words are in the 5000 most common words
    61.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 11
    Total number of words is 4546
    Total number of unique words is 1715
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    53.1 of words are in the 5000 most common words
    60.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 12
    Total number of words is 4583
    Total number of unique words is 1821
    34.7 of words are in the 2000 most common words
    51.8 of words are in the 5000 most common words
    59.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 13
    Total number of words is 4432
    Total number of unique words is 1620
    38.0 of words are in the 2000 most common words
    54.1 of words are in the 5000 most common words
    62.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 14
    Total number of words is 4560
    Total number of unique words is 1722
    39.5 of words are in the 2000 most common words
    54.7 of words are in the 5000 most common words
    62.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 15
    Total number of words is 4413
    Total number of unique words is 1807
    36.1 of words are in the 2000 most common words
    51.5 of words are in the 5000 most common words
    59.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 16
    Total number of words is 4392
    Total number of unique words is 1666
    38.7 of words are in the 2000 most common words
    53.6 of words are in the 5000 most common words
    61.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 17
    Total number of words is 4563
    Total number of unique words is 1664
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    54.2 of words are in the 5000 most common words
    61.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 18
    Total number of words is 4569
    Total number of unique words is 1663
    39.6 of words are in the 2000 most common words
    55.0 of words are in the 5000 most common words
    62.5 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Alla finestra: Novelle - 19
    Total number of words is 519
    Total number of unique words is 309
    56.2 of words are in the 2000 most common words
    68.6 of words are in the 5000 most common words
    73.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.